Anna Politkovskaja
7 OTTOBRE 2012 – Nelle vaste distese russe, nelle città e nei paesini sperduti delle campagne, la gente ha ancora a cuore la tradizione ortodossa, in particolare la credenza secondo la quale il lutto per la morte di una persona debba durare quaranta giorni; questo è il tempo necessario affinché l’anima del defunto, accompagnata dalle preghiere dei propri cari, lasci il mondo terreno e salga in cielo.
Sei anni sono trascorsi dal 7 ottobre 2006, giorno in cui Anna Politkovskaja, giornalista della Novaja Gazeta, è stata prematuramente strappata a questo mondo, con quattro colpi di pistola nell’ascensore di casa sua. Anche se il tempo del lutto si è da molto concluso, il tempo della tristezza e dell’indignazione per il suo omicidio non accenna a placarsi. Nelle menti di tutti coloro che seguivano il lavoro di Anna Politkovskaja è ancora vivido il ricordo del suo instancabile impegno nella difesa dei più deboli e della sua integrità, che né pericoli né intimidazioni avevano saputo piegare.
Anna Politkovskaja, russa nata a New York nel 1958 da una coppia di diplomatici sovietici all’ONU, ha dedicato buona parte della sua vita a ciò che secondo lei era diventata ormai “una cancrena, un vicolo cieco” per i russi: la Cecenia. Questa piccola regione del Caucaso, a maggioranza musulmana stretta fra Inguscezia, Ossezia del Nord, Daghestan e Georgia a sud, è teatro da oltre vent’anni di un conflitto che dal suo inizio ad oggi ha causato la morte di circa 250 mila ceceni, ovvero un quarto della popolazione (fonte: PeaceReporter, quotidiano online di Emergency). Ufficialmente una repubblica federata alla Federazione Russa, la Cecenia iniziò a combattere per la propria indipendenza nel 1991, cercando di sfruttare il caos generato dal disfacimento dell’Unione Sovietica. Nel 1994 l’allora presidente Boris Eltsin inviò l’esercito russo nella regione per impedirne la secessione, dando così inizio alla prima guerra cecena che terminò nel 1996 con un cessate il fuoco e con il trattato di pace l’anno successivo. Tuttavia, la guerra tornò a divampare nel 1999 con la seconda guerra cecena, ad oggi non del tutto conclusa, che portò una nuova invasione da parte delle truppe russe. Nonostante il perdurare della lotta da parte dei ribelli separatisti, la maggior parte della Cecenia si trova ora sotto il controllo dell’esercito russo in quella che in molti hanno definito una “dittatura” da parte del presidente ceceno filo-russo Ramzan Kadyrov, figlio dell’ex presidente Ahmad Kadyrov, ucciso il 9 maggio 2004 da una mina nello stadio del capoluogo Groznyj.
In Russia, la Cecenia è sempre stata una materia scottante da trattare, in particolare per gli interessi che il Cremlino ha nella regione. Infatti, oltre ad essere molto ricca nel sottosuolo, oleodotti e gasdotti provenienti dal Mar Caspio attraversano il suo territorio per rifornire gli stabilimenti sul Mar Nero. Anna Politkovskaja, armata solo del suo coraggio e della sua penna, inizia ad occuparsi della Cecenia proprio quando farlo è diventato più difficile e pericoloso, in quanto dal 1999, quindi allo scoppiare della seconda guerra cecena, il governo russo ha impedito in tutti i modi la libera circolazione delle notizie e soprattutto la documentazione dei soprusi di cui la popolazione cecena è stata vittima negli anni. E sono proprio i civili ceceni, vittime di abusi, torture e stupri ad opera sia dei federali russi che dell’esercito del governo ceceno alleato del Cremlino, a trovare in Anna Politkovskaja la voce capace di denunciare al mondo queste ingiustizie.Nel suo ultimo articolo pubblicato postumo dai suoi colleghi della Novaja Gazeta è la stessa Anna a spiegare il suo impegno tenace nel difendere i diritti dei deboli e degli oppressi:
“L’ essenziale è poter fare quello che mi sembra importante. Raccontare la vita, ricevere ogni giorno in redazione persone che, disperate, non sanno più dove andare. Le autorità le fanno girare da un posto all’altro, perché le loro storie di sofferenza non collimano con le concezioni ideologiche del Cremlino, e infatti possono essere raccontate e pubblicate solo sul nostro giornale.”
Donna cecena ispeziona i cadaveri del villaggio alla ricerca di un familiare
Sono la sua empatia che la porta a condividere il dolore delle persone, la sua coscienza civica e professionale, la sua sete di verità, la sua caparbietà e la sua integrità a contraddistinguere Anna Politkovskaja e a procurarle il rispetto della stampa estera, delle organizzazioni umanitarie, nonché la fiducia della popolazione cecena. Contro tutte le avversità e i pericoli per la propria incolumità, compie lunghi e faticosi viaggi in territorio ceceno per documentare in prima persona le atrocità compiute; sostiene le famiglie delle vittime, visita ospedali e campi profughi, intervista militari russi e ceceni. Tuttavia, l’impegno di Anna Politkovskaja non si limita a riportare fedelmente su carta dei fatti. Lei non è una semplice spettatrice degli eventi, non ha paura di sporcarsi le mani.
Duranti i giorni infernali del Teatro Dubrovka a Mosca, dove il 23 ottobre 2002 un gruppo di kamikaze ceceni prende in ostaggio più di ottocento civili per chiedere il ritiro delle truppe russe dal Caucaso, Anna Politkovskaja dimostra tutto il suo coraggio, mettendosi a disposizione per portare dell’acqua agli ostaggi. Nessun altro giornalista l’ha fatto, forse per mancanza di intraprendenza o per la dubbia scusante che un giornalista dovrebbe essere neutrale. Ad Anna non interessano tutte queste scuse e giustificazioni; a lei interessa la sorte degli ostaggi, senza pensare alla sua reputazione. Anna si propone anche come mediatrice fra il governo e i kamikaze, dato che gode del rispetto dei guerriglieri ceceni. Tuttavia, il Cremlino, che non vuole scendere a patti con i terroristi, opta per un’azione di forza e decide il 26 ottobre di prendere d’assalto il teatro, pompando anche del gas nei condotti di areazione. Alla fine si conteranno quasi 130 morti, anche se tutt’ora non esistono cifre ufficiali sull’accaduto. A chi le fa notare di essere andata oltre il suo ruolo di giornalista, Anna Politkovskaja risponde così:
“Sì, sono andata oltre il mio ruolo di giornalista, ma sarebbe sbagliato dire che è stata una cattiva mossa dal punto di vista giornalistico. Mettendo da parte il mio ruolo come giornalista ho imparato così tante cose che non avrei mai scoperto restando una semplice giornalista, che sta in piedi fra la folla come qualsiasi altra persona.”
Due anni dopo, il 1° settembre 2004, a Beslan in Ossezia del Nord, una scuola viene occupata da un gruppo di guerriglieri ceceni che prendono in ostaggio più di 1200 persone, fra cui centinaia di bambini. Anna Politkovskaja si mette subito in viaggio per la città osseta, ma viene avvelenata. Un piano ben riuscito per tenerla lontana da Beslan. Nel frattempo, come successo già nella strage della Dubrovka, il governo russo, desideroso di mostrare la sua forza, interviene con un blitz, in cui muoiono più di 150 bambini. Questo suo impegno, tuttavia, ha un prezzo da pagare. E’ sola, è “una reietta” come lei stessa si definisce nel suo ultimo articolo “Il mio lavoro ad ogni costo” pubblicato postumo il 26 ottobre 2006:
“Sono una reietta. E’ questo il risultato principale del mio lavoro di giornalista in Cecenia e della pubblicazione all’estero dei miei libri sulla vita in Russia e sul conflitto ceceno. A Mosca non mi invitano alle conferenze stampa né alle iniziative in cui è prevista la partecipazione di funzionari del Cremlino: gli organizzatori non vogliono essere sospettati di avere delle simpatie per me.”
Sicuramente erano in molti ad aver paura di Anna Politkovskaja, del suo giornalismo, del suo coraggio, della sua devozione alla difesa dei diritti umani. Con i suoi articoli e i suoi libri di denuncia si era inimicata le forze militari russe e quelle governative cecene. Ed è proprio nella Cecenia e nel suo lavoro che è da ricercarsi il movente del suo omicidio. Dal Cremlino Anna Politkovskaja era considerata una giornalista di opposizione, una dissidente, una donna “non rieducabile” per la sua strenua ricerca della verità e per la sua incorruttibilità. Era accusata di essere dalla “loro parte”, dalla parte dei ceceni:
“Ma come posso dimenticare? Detesto la linea del Cremlino elaborata da Surkov, che divide le persone tra chi “è dalla nostra parte” e chi “non lo è” o addirittura “è dall’altra parte”. Se un giornalista è “dalla nostra parte” otterrà premi e rispetto, e forse gli proporranno perfino di diventare un deputato della duma, il parlamento russo. Ma se “non è dalla nostra parte”, sarà considerato un sostenitore delle democrazie europee e dei loro valori, diventando automaticamente un reietto. Questo è il destino di chiunque si opponga alla nostra “democrazia sovrana”, alla “tradizionale democrazia russa”.
Quasi a confermare questa etichetta di dissidente affibbiatale dal Cremlino, non era presente nessuna autorità russa al suo funerale. Ciò nonostante, tanta gente comune ha accompagnato il suo feretro, quella gente per cui Anna Politkovskaja scriveva.
La lista dei suoi nemici era lunga. Il primo fra tutti era Putin, denunciato dalla giornalista per la sua condotta autoritaria e per il non rispetto dei diritti umani in Cecenia, seguito dai vertici dell’esercito russo, per gli abusi commessi sulla popolazione. Infine, Ramzan Kadyrov, primo ministro ceceno appoggiato da Mosca, non aveva certo meno motivi di Putin per volere eliminare Anna Politkovskaja. Kadyrov, accusato di essere spietato e antidemocratico, ha al suo servizio una forza di sicurezza privata conosciuta con il nome di Kadyroviti, la quale è stata spesso protagonista di omicidi, stupri e sparizioni a danno dei civili ceceni. Giusto la settimana prima di morire in un’intervista a Radio Free Europe, Anna Politkovskaja definì Kadyrov “Lo Stalin dei nostri giorni”.
Se il mandante sia Putin, Kadyrov o qualche ufficiale alto in grado dell’esercito russo non è dato sapere. Ciò che è certo, invece, è che il mandante deve essere una persona molto influente, se dopo sei anni non si è ancora fatto nessun passo avanti verso la sua identificazione. Come è certo che Anna Politkovskaja è morta per la sua onestà, il suo coraggio, per il suo credere in un giornalismo non al servizio del potente bensì al servizio degli ultimi e degli oppressi.
Nella speranza che un giorno non troppo lontano venga fatta finalmente luce sui retroscena del suo omicidio, la vogliamo ricordare con le parole del filosofo André Glucksmann:
“Morta per niente? Morta per noi. Noi occidentali, che non l’abbiamo saputa leggere, né proteggere. Questo niente, per cui lei ha dato la vita, siamo noi. Sensibile al dolore degli oppressi, incorruttibile, glaciale di fronte alle nostre compromissioni, Anna è stata, ed è ancora, un modello di riferimento. Ben oltre i riconoscimenti, i quattrini, la carriera: la sua era sete di verità, e fuoco indomabile.”
Laura Fontana