di Massimo Pittau. Nel vasto quadro della cultura etruscologica odierna è comunemente nota la notizia che in una iscrizione etrusca compare in maniera abbastanza chiara un riferimento ad Annibale, il grande condottiero dell’esercito cartaginese. Come molti sanno, costui, durante la seconda guerra punica (216-202 a. C.), sottopose Roma a una prova durissima, che sarebbe potuta concludersi in maniera esiziale per questa città, se alla fine non fosse intervenuta la grande vittoria di Scipione l’Africano a Zama.
L’iscrizione si trova in una tomba a camera nella necropoli di Monterozzi di Tarquinia, dipinta su una parete, ed essa recita testualmente:
FELSNAS : LA : LEΘES
SVALCE : AVIL : CVI
MURCE : CAPUE
TLEXE : HANIPALUSCLE
Nella iscrizione gli etruscologi hanno individuato facilmente i significati di quasi tutti i singoli vocaboli, nonché i loro valori morfologici. In particolare hanno individuato il nome del condottiero cartaginese nel vocabolo HANIPALUSCLE e precisamente col significato «di quello (esercito) di Annibale» (HANIPALUS-CLE). Il riferimento al grande condottiero cartaginese è confermato dalla presenza nell’iscrizione del nome della città campana di Capua, la quale fu da lui conquistata nel 212/211 e la quale ha giocato un ruolo notevole nello svolgimento successivo della guerra.
Solamente di due vocaboli gli etruscologi non sono finora riusciti a dare una esatta o almeno verosimile traduzione, MURCE e TLEXE. Questi sono comunemente interpretati dagli etruscologi come due verbi al preterito, il primo all’attivo, il secondo al passivo, ma i significati prospettati per essi risultano fino ad ora assai dubbi. Trattandosi di due verbi, per di più entrambi di modo finito, si comprende facilmente come e perché in realtà il fallimento dei vari tentativi di dare loro un significato esatto o almeno verosimile pregiudichi alla base il significato effettivo dell’intera iscrizione. Se oggi, con questo mio breve scritto, io intervengo di nuovo su questa iscrizione, dipende dal fatto che ritengo di aver finalmente trovato il significato verosimile dei due citati verbi.
E precisamente: io interpreto il verbo MURCE come connesso coi lat. mora «indugio, ritardo», morari «attardarsi, indugiare, trattenersi, dimorare, soggiornare» [finora di origine incerta (DELL, DELI, DEI s. v. mora²) e pertanto probabilmente di origine etrusca] e traduco MURCE CAPUE come «dimorò, soggiornò a Capua» (toponimo in ablativo di luogo). È noto che Capua, in origine probabilmente osca, era diventata una città etrusca fin dal secolo V a. C. e – come già detto – fu conquistata da Annibale nel 212-211 a. C.
Interpreto invece il verbo TLEXE come «fu tolto, fu levato» in quanto connesso con la radice del verbo etrusco tul (Liber II 3, 15; III 22; IV 12, 13, 16; V 5, 9, 12; IX 4, 16, 18, 20; X 2; XI 19) probabilmente «togli!, leva!, solleva!» (imperativo forte sing.) (LEGL 121) da confrontare col lat. tolle (Trombetti, Olzscha). cisum pute tul «e tre volte solleva il calice»; ei(m) tul var «e non togliere affatto». (AV 0.28 – rec, su vaso) tul «solleva (alla salute)!». tule probabilmente «solleva!», «prendi!», imperativo debole sing., da confrontare ancora col lat. tolle e probabilmente da pronunciare tulle. (Ve 3.32 – 6: su ansa di vaso) mini tule «sollevami!» (= alla salute!) oppure «prendimi!, accettami (in dono)!».
Pertanto la mia traduzione dell’intera iscrizione è questa:
«La(ris) Felsinio (figlio) di Letio
visse anni 106
soggiornò a Capua
(e ne) fu cacciato dall’esercito di Annibale»
D’altra parte c’è da considerare che «fu tolto o levato dall’esercito di Annibale» potrebbe essere interpretato anche come «fu arruolato dall’esercito di Annibale», dandosi pertanto un argomento a favore di coloro che hanno interpretato che Felsinio fosse finito come soldato mercenario nell’esercito di Annibale, come di fatto era accaduto a numerosi individui di nazionalità etrusca. Io però escludo del tutto questa interpretazione, in primo luogo perché questa implicherebbe una certa forzatura del significato del verbo TLEXE «fu tolto, fu levato», in secondo luogo perché 70 o 60 anni dopo gli eventi storici su accennati, è estremamente improbabile che i familiari del defunto Felsinio facessero comparire nel suo epitaffio la notizia infamante della sua militanza nell’esercito di Annibale, cioè di colui che aveva seminato morte, distruzione e terrore in tutta Italia e quindi risultava essere ancora molto odiato dai suoi abitanti.
A maggior ragione, a mio avviso, va respinto il tentativo, che è stato pure effettuato, di vedere nella iscrizione un riferimento a qualche episodio bellico avvenuto nelle vicinanze di Capua. Nulla di tutto questo traspare o semplicemente trapela dalla nostra iscrizione.
C’è da precisare che il gentilizio FELSNAS (in genitivo patronimico fossilizzato) è del tutto isolato a Tarquinia, mentre è frequente nell’Etruria settentrionale. E infatti la lontana origine del nostro personaggio quasi certamente era Felsina o Bologna, dato che abbastanza chiaramente si vede che il gentilizio in origine era un cognomen avente il significato di «nativo di Felsina». In ogni modo il nostro personaggio dunque, una volta cacciato da Capua dall’esercito di Annibale, aveva finito per trasferirsi a Tarquinia, dove aveva terminato i suoi giorni.
In questo personaggio stupisce molto anche la sua lunga vita, 106 anni, e qualche interprete recente ha parlato in proposito di “longevità millantata”. Io però non condivido questa considerazione: anche nel presente dappertutto si trovano, come eccezione, individui centenari e supercentenari e niente impediva che questa eccezione valesse anche nell’antica Italia.
Massimo Pittau
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