Il 20 ottobre 2011 si concludeva la parabola umana di Muhammar Gheddafi, ma l’immaginario collettivo non gli ha decretato l’oblio toccato al tunisino Ben Alì, o all’egiziano Mubarak di cui ci si ricorda quasi con stupore quando compare alle udienze processuali.
Gheddafi mantiene intatto il carisma di una vita emblematica: da beduino a leader di una rivoluzione incruenta, fondatore di un’organizzazione statale che aveva reso la Libia il paese con il miglior Indice di Sviluppo Umano dell’Africa. L’unico con un programma di welfare. Per l’Africa e il suo sviluppo Gheddafi aveva investito molto dei proventi del petrolio, ed è questa una delle iniziative che poco sono piaciute a una popolazione che non vuole sentirsi africana e altrettanto poco sono piaciute alla scena internazionale che vuole l’Africa sia solo lo scaffale delle materie preziose per le compagnie internazionali. A certi paesi, come l’Arabia Saudita e l’America, non è piaciuto nemmeno il fiuto che gli fece individuare per primo in Osama Bin Laden un pericolo mondiale.
Continuano a stuzzicare il gossip mediatico gli aspetti volutamente teatrali del suo comparire sulla scena mondiale: costumi eccentrici di gusto africano invece di un completo Armani, le Amazzoni africane invece dei Contractors occidentali e il piacere della provocazione. Come quando arrivò nell’Aquila terremotata con la foto di Omar Al Muktar, l’eroe della lotta contro il colonialismo italiano, sul petto. O quando mise in imbarazzo l’Assemblea della Lega Araba:
Si pubblicano ancora pruriginosi libri e articoli sui costumi sessuali di un uomo che era devoto alla moglie, bella e tosta, che era invaghito dei suoi figli ai quali ha concesso tutto, ignorando l’invidia che li circondava. Un uomo che era anche, semplicemente, un nonno affettuoso.
Per decenni, il suo finanziare movimenti di liberazione, palestinesi e irlandesi, gli valse il titolo di amico dei terroristi e ne fece il colpevole ideale, pur continuando a mancare le prove, della tragedia Lockerbie , della scomparsa dell’Imam Musa Sadr, del massacro nella prigione di Abu Salim
Represse gli oppositori politici? Certamente sì. La “testa” dell’opposizione era nella diaspora che aiutata dai servizi segreti di Arabia Saudita e Stati Uniti organizzava attentati in Libia contro la sua persona. Quando, su suggerimento del delfino Saif Al Islam, svuotò le carceri dei detenuti politici fu l’inizio della fine per il regime, la Jamahirya e il benessere della Libia.
Innumerevoli sono stati i tentativi di assassinio cui è sfuggito, fino a che, sfruttando lo scontento della zona orientale petrolifera del paese verso la capitale amministrativa e politica di Tripoli (la Libia è stata formata accorpando regioni diverse fra loro nelle quali il tribalismo riveste tutto grande importanza), la coalizione di Usa, Francia e Gran Bretagna ha inventato e finanziato una ribellione armata che ha distrutto il paese e sterminato gran parte della famiglia Gheddafi, fino all’epilogo brutale nei pressi di Sirte che ha impresso sulla nuova Libia nascente un marchio di infamia. Il fantasma del Rais aleggia sulla fallimentare classe politica libica che del proprio nulla concludere accusa il sabotaggio dei “pro_gheddafi“.
Mad dog o Brother leader, Gheddafi compare tenacemente negli articoli internazionali, si parli di migranti, di petrolio, di caos libico. Lo spam commerciale sfrutta il suo nome, come quello dell’avvenente figlia Aisha diffondendo link di pagine che portano il suo nome, ma non la riguardano. Infine, in questo blog arrivano quotidianamente lettori con la query Google “morte di Gheddafi” variamente formulata, perché, come persiste il mistero sul luogo della sepoltura, persistono le perplessità sull’ultimo mese della sua vita, sulle modalità della cattura e dell’uccisione.
Il post Dossier Gheddafi di questo blog riassume le versioni assunte come ufficiali e qualche circostanza taciuta. Tutto ciò che i media hanno pubblicato, dalle interviste alle argomentazioni degli opinionisti, partiva dall’assunto che Gheddafi si sia improvvisamente palesato il mattino del 20 ottobre uscendo da Sirte con un convoglio e incappando in una milizia. La tesi del post è che questo assunto sia fasullo: con i mezzi tecnologici a disposizione della Nato era possibile individuarne la posizione e organizzare, dopo la fuga da Tripoli, in qualunque momento la sua cattura. Un recente articolo in Agoravox indebolisce ulteriormente la veridicità dell’assunto mediatico.
Gheddafi spiato
Oltre alla Nato, anche i ribelli disponevano di aeromobili a pilotaggio remoto. Quelli che correntemente sono chiamati droni.
Aeryon Scout
Il 22 agosto 2011, all’indomani dell’entrata delle milizie dei ribelli in Tripoli, la compagnia canadese Aeryon Labs Inc. pubblica un video e un articolo nel quale rivela di aver condotto insieme alla National Security Zariba – partner dei governi occidentali per le operazioni belliche in Africa- e al CNT – il Consiglio della rivoluzione insediato a Bengasi – un’operazione di addestramento all’uso del suo modello di drone Scout rivolta ai miliziani di Misurata.
Il video mostra le prestazioni del velivolo, la duttilità del comando direzionale e l’adattamento alla luce diurna e notturna. Questi due screenshots già permettono di dubitare che un personaggio noto, circondato da persone note ai più come le guardie del corpo, potesse sfuggire alle capacità scrutatrici di Scout. Il CNT che, è accertato, era in contatto telefonico con i ribelli durante l’operazione del 20 ottobre, può aver disposto diversamente dagli eventuali accordi definiti dalla Nato. Ci sono ipotesi di trattative intercorse con Gheddafi andate per le lunghe; i ribelli, ignorando la bandiera bianca che è stata vista sventolare, possono aver ricevuto l’ordine di trasformare un’uscita concordata in una soluzione finale, o in una barbara vendetta.Resta da chiarire la ragione per cui tanto a lungo si è atteso a individuare Gheddafi. Il motivo fu “punire” Sirte bombardandola quotidianamente per la sua fedeltà? Sarebbe una prassi criminale di competenza della Corte Penale Internazionale.
Fu per dei traffici riguardanti l’oro della Libia? Per spartizioni fra le nazioni della coalizione delle risorse libiche? E tutto andava definito prima della cattura e/o morte del Rais, perché quello avrebbe segnato la “liberazione della Libia“.
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Per definire la situazione odierna della Libia è sufficiente rammentare che vi sono due governi, nessuno con piena capacità di decisione.
Un governo guidato da Abdullah Al-Thinni, l’uomo dalle molte abdicazioni, votato a fine settembre dal Parlamento uscito dalle ultime elezioni. Ascoltato all’Onu, visitato dal nostro ministro Federica Mogherini, è privo di potere concreto. Il Parlamento con sede formale a Tobruk, in realtà si riunisce a bordo di un traghetto greco , l’Elyros, per motivi di sicurezza.
L’altro governo è guidato da Omar Hassi, che ha ottenuto la fiducia del Parlamento precedente che si è auto convocato a Tripoli. Al momento del giuramento erano assenti dieci ministri… Ha il sostegno delle milizie di Misurata e, alla prova dei fatti, questo è tutt’altro che secondario.
A Bengasi il generale in pensione Khalifa Haftar continua la crociata contro le milizie, condotta con una milizia altrettanto irregolare, ma con la protezione degli Stati Uniti e dell’Egitto.
L’Egitto ha annunciato il lancio dei un’operazione aerea che durerà tra i tre e i sei mesi e coinvolgerà anche la Marina egiziana al largo di Tobruk; ironia della sorte, la Cirenaica, che tanto aveva invocato e applaudito i bombardamenti Nato su Tripoli, li sta ora ricevendo sul suo territorio dall’amico Egitto.
Nei giorni tra l’11 e il 17 ottobre, secondo un comunicato del governo Hassi, nei vari scontri sono rimaste uccise 100 persone , di cui 18 nella sola giornata di venerdì a Bengasi.
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