Magazine Società

Annoiati dalla scuola

Creato il 25 marzo 2011 da Mdeconca

Sconcertante inchiesta di uno studio internazionale HBSC sui giovani di 15 anni ed il loro rapporto con la scuola:

Annoiati dalla scuolaLa scuola italiana, considerata assieme alla famiglia il contesto educativo e di sviluppo privilegiato, “piace molto” solo ad 1 studente di 11 anni su 3, con una preferenza delle ragazze (34,47%) rispetto ai ragazzi (25,02%). Ma è con l’avanzare dell’età anagrafica che il gradimento nei confronti dei nostri istituti scende sotto i livelli di guardia, se è vero che “piace molto” solo al 6.06% dei ragazzi e all’11,01% delle ragazze di 15 anni, ovvero meno di 1 studente su 10.

E’ questa la percezione, non proprio positiva, della scuola italiana che hanno gli studenti del Belpaese e che emerge da uno studio internazionale HBSC, che si occupa di monitorare i comportamenti collegati alla salute in ragazzi di età scolare e che in Italia è entrato a far parte di un progetto nazionale coordinato dall’istituto Superiore di Sanità. “L’atteggiamento conflittuale dei ragazzi nei confronti della scuola, vista come istituzione, è normale e fisiologico – spiega Alberto Ugazio, presidente della Società italiana di Pediatria – ma assolutamente non vedo correlazioni tra percezione negativa della scuola e abusi di vario tipo o comportanti sociali a rischio, che sono legati a fattori molto più complessi”. (fonte ANSA)

Perché la scuola non piace? Indubbiamente sono tanti i fattori che determinano un allontanamento della società civile:

1- aule sovraffollate;
2- proposte formative non sempre in linea con il contesto di riferimento (penso alla TV e ad internet);
3- insegnanti demotivati

Senza entrare nel merito dei problemi della scuola, è giusto tuttavia interrogarsi su quale sia il ruolo che oggi le dà la società.
Tutti l’attaccano, demagogicamente senza pietà, mettendone a nudo -spesso ingiustamente- le carenze: alunni poco preparati; insegnanti demotivati e ‘politicizzati’, didattica obsoleta. Nessuno però rivolge le stesse accuse alla società civile dalla quale la scuola prende le mosse e verso la quale rivolge la sua azione formativa.

I nostri figli non sono abituati a discutere, perché i modelli televisivi (non solo i talkshow, ma anche le recenti sedute del Parlamento) offrono spettacoli eticamente indegni la cui morale si può riassumere nella ‘legge del più forte’: chi urla di più, chi dice più bugie, chi appare di più, pur essendo meno.

La fatica per i nostri figli oggi è sinonimo di stupidità: perché faticare tanto sui libri per costruirmi una coscienza ed una conoscenza se basta un clic su Wikipedia, copiare da un compagno, fingere un mal di testa? “Secchione” è un insulto, studiare facendo il proprio dovere è sinonimo di perdita di tempo.
Al punto che la gara non è più a chi studia di più o meglio, ma a chi riesce a ricadere nel cono d’ombra dell’ignoranza e del bullismo. Siamo in una società fast food, in cui fare bene non è importante: è decisivo fare in fretta!

La scuola invece richiede ‘lentezza’: ognuno ha i suoi tempi, ognuno ha bisogno dei suoi spazi. Invece l’istruzione  è costretta in spazi  e tempi di apprendimento ridotti, perché la società ci vuole già pronti. Ma pronti a far cosa? La contraddizione di fondo risiede nel paradosso: “studia che altrimenti non trovi un lavoro!” Come si fa a far passare quest’idea in un bambino? Con i nostri tassi di disoccupazione nella migliore delle ipotesi un ‘posto di lavoro fisso’ si concretizza intorno ai 40 anni. Perché allora perdere tempo in scuole astratte e poi in università se posso approdare ad un posto altrettanto precario prima? Come facciamo a convincere i nostri quindicenni che studiare migliora la vita?

Il nostro paese non investe in istruzione: poco meno del 4% del Pil. Siamo legati a logiche contraddittorie: imparare di più e meglio, senza però “oneri per lo Stato” (formula di rito nella maggior parte dei documenti ministeriai).

Prima di sparare sulla scuola, sarebbe opportuno rivedere i modelli culturali che circondano la scuola, modelli suoi quali la società investe più che volentieri (reality, TV, internet …) senza però al contempo legarli a doppio filo all’istruzione. Normalmente si dice: “gli insegnanti si adeguino!” Ma siamo sicuri che quei modelli siano da imitare o non è forse il caso di rileggerli e armonizzarli ai veri bisogni dei giovani d’oggi, sempre più chiusi, sempre più pigri e sempre più intellettualmente demodé?


Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :

Dossier Paperblog

Magazine