Sentenza annullata per l’ex dittatore Efrain Rìos Montt, 86 anni. La Corte Costituzionale del Guatemala ha ritenuto che fossero stati
Rios Montt quando era al potere
violati i principi del giusto processo, in quanto il collegio di tre giudici che lo ha sottoposto a processo non ha esaminato tutti gli scritti difensivi proposti dall’avvocato di Montt.
Il processo, iniziato nel marzo scorso, aveva portato a una condanna a 80 anni di carcere, 50 per genocidio e 30 per crimini contro l’umanità.
Montt è stato dittatore per 16 mesi tra il 1982 e il 1984 in seguito ad un colpo di Stato militare ed è ritenuto responsabile del genocidio dell’etnia Maya Ixil, sospettata di fiancheggiare l’opposizione. Le vittime del massacro sistematico di Montt ammontano a 1771 indigeni, residenti nel nord est del Paese. Massacrati i cui corpi sono stati gettati in fosse comuni.
Dopo la sua dittatura, finita anch’essa grazie ad un colpo di Stato che ha fatto subentrare un altro regime dispotico, Montt ha sempre fatto parte della vita politica guatemalteca, fino al 2012, quando si è ritirato facendo cessare così la sua immunità, sperando evidentemente di evitare il processo.
I 16 mesi di Montt, un periodo di repressione indiscriminato, si sono inseriti all’interno della guerra civile del Guatemala (1960-1996). Già nel 1954 un gruppo di criminali e oppositori, guidati dall’ex condannato a morte evaso Castillo Armas e sostenuti dagli Stati Uniti, rovesciano il governo democratico di Arbenz Guzmàn, appena cominciato.
Guzmàn aveva espropriato alcuni possedimenti appartenenti all’élite pseudo feudale, ridistribuendo le terre e provocando le reazioni dei padroni della terra. Con il colpo di Stato alcune terre sono state riprese, e alcune sono tuttora di proprietà di aziende statunitensi.
Durante la guerra civile si sono susseguite diverse dittature, che hanno provocato approssimativamente 200 mila tra vittime e scomparsi, per cui la Commissione per la verità dell’ONU ha ritenuto responsabile per il 90% il governo.
L’ingerenza dei Berretti Verdi USA all’inizio è stata massiccia: solo Bill Clinton ha pubblicamente ammesso i fatti avvenuti, condannando le azioni dei suoi predecessori.
Dopo i numerosi tentativi di processare i responsabili delle stragi, per cui ricordiamo Rigoberta Menchù Tum, guatemalteca premio Nobel per la Pace 1992, si era finalmente riusciti a portare Montt in tribunale.
È la prima volta nella storia in cui un crimine di genocidio viene giudicato da un tribunale nazionale, nel pieno rispetto del principio della complementarietà della giurisdizione della Corte Penale Internazionale. Questa scelta, per quanto coraggiosa, non è stata esente da critiche, incappando nell’accusa di parzialità. Forse proprio a questo servirebbe la ICC che però finora ha conseguito un solo arresto in più di 10 anni di attività. Mettiamo sulla bilancia l’effettività dei mandati di cattura emessi da questa Corte e la possibilità che comunque un processo interno non vada mai a buon fine, soprattutto in un Paese ancora corrotto come lo è il Guatemala.
Montt può ancora contare sui suoi sostenitori, da molti in patria viene ancora chiamato “El grande”. La figlia, Zury Rìos, continua sulle orme del padre, fondando il partito repubblicano PRI e difendendo le sue azioni a spada tratta. Uno dei generali di maggior fiducia di Monnt, Otto Perez Molina, è stato eletto nel 2011 e gode dell’immunità data al Presidente della Repubblica. La violenza nel Paese continua, tanto che l’ONU la definisce epidemica.
In uno Stato in queste condizioni, è capace l’impianto istituzionale di assicurare una qualsiasi forma di giustizia?