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CRITERI DIAGNOSTICI
NelDSM-IV vengono descritti i criteri diagnostici clinici e psicopatologici che consentono di porre diagnosi dianoressia. Secondo il DSM-IV la diagnosi si effettua in presenza dei seguenti criteri:-Rifiuto di mantenere il peso corporeo al di sopra o al peso minimo normale per l’età e la statura.
-Intensa paura di acquisire peso o diventare grassi, anche quando si è sottopeso.
-Alterazione del modo in cui il soggetto vive il peso o la forma del corpo, o eccessiva influenza del peso e della forma del corpo sui livelli di autostima, o rifiuto di ammettere la gravità dell’attuale condizione di sottopeso.
-Amenorrea, cioè assenza di almeno 3 cicli mestruali consecutivi.Sebbene alcuni possano rendersi conto della propria magrezza, tipicamente i soggetti con questo disturbo negano le gravi conseguenze sul piano della salute del loro stato di emaciazione. Il soggetto giunge all'osservazione clinica, sotto pressione dei familiari, quando la perdita di peso si fa marcata.SOTTOTIPI ANORESSIAIl DSM-IV specifica due sottotipi di anoressia:•Con restrizioni: il soggetto si limita a ridurre l’assunzione di cibo senza adottare condotte espulsive come vomito, purganti, diuretici e senza abbuffate.
•Con abbuffate/Condotte di eliminazione: quando oltre alla riduzione dell’assunzione di cibo sono presenti abbuffate e condotte di eliminazione come vomito, purganti, diuretici
COME SI MANIFESTA LA PERDITA DI PESO?Le persone affette da anoressia di norma perdono peso diminuendo la quantità di cibo consumata. In molti casi la nutrizione viene ridotta a meno di 1.000 calorie al giorno. La maggior parte evita di ingrassare o assumere cibi ipercalorici ed elimina in parte o del tutto il consumo di carne. La dieta degli anoressici si basa quasi completamente su vegetali a basso contenuto calorico come lattuga, carote, ma anche yogurt.
Predominano condotte ossessive legate al cibo, ad esempionascondimento, sminuzzamento, rifiutano di mangiare in presenza di altri, cucinano per gli altri complessi piatti che non mangiano. Vi è un eccessivo investimento sul cibo, il soggetto ne parla sempre. Il cibo ed il peso diventano un’ossessione, infatti le persone affette da questa patologia non fanno altro che pensare al loro prossimo pasto.
Si comincia spesso anche a praticare una serie di esercizi fisici nel tentativo di bruciare calorie ma è praticamente impossibile per l’anoressico trovare soddisfazione nel proprio aspetto fisico che nonostante tutti i sacrifici non raggiunge mai la forma desiderata. Un aspetto spesso presente nelle anoressiche è il lavarsi fino a scorticarsi e la fissazione di mandare via lo sporco.Quando sono molto sottopeso, molti individui possono presentare sintomi depressivi, come umore depresso, ritiro sociale, irritabilità, insonnia e diminuito interesse sessuale. Possono soddisfare i criteri per un episodio depressivo maggiore. Molti sintomi depressivi possono essere secondari alle carenze alimentari e alla perdita di peso. L’eventuale presenza di un disturbo dell’umore associato deve quindi essere valutata dopo il parziale o totale recupero del peso corporeo.Altre manifestazioni sono: disagio nel mangiare in pubblico, sentimenti di inadeguatezza, bisogno di tenere sotto controllo l’ambiente circostante, rigidità mentale, ridotta spontaneità nei rapporti interpersonali.LE CAUSE DELL’ANORESSIALe cause di questa malattia possono essere molteplici. Nel tentativo di risalire alle origini dei disturbi dell’alimentazione sono state prese in considerazione la personalità, il bagaglio genetico, l’ambiente e le caratteristiche biochimiche dei pazienti.
Dal punto di vista psicologico l’anoressia mentale può essere vista come una difesa nei confronti di un ambiente familiare iperprotettivo e soffocante. Spesso l’anoressica non riesce ad esprimere i suoi disaccordi all’interno del nucleo familiare, dove ogni iniziativa o cambiamento è vissuto come un tradimento, e utilizza il cibo come arma per poter rivendicare il suo “non detto”. Il cibo allora può trasformarsi nel rifiuto di crescere, nel rifiuto di essere donna, di assomigliare alla propria madre o alle proprie sorelle, nel rifiuto d’affetto. Si è notato inoltre che modificazioni degli equilibri familiari, come perdite affettive e separazioni, possono essere la causa scatenante di questa malattia.
Altre cause che portano allo sviluppo di comportamenti anoressici possono essere la sensazione di non poter raggiungere i propri obiettivi per problemi di peso e apparenza, la sensazione di essere sottoposti a un eccesso di pressione e di aspettativa o di essere fortemente trascurati dai propri genitori, difficoltà ad essere accettati socialmente e nella propria famiglia, situazioni particolarmente traumatiche, come ad esempio violenze sessuali, drammi familiari, comportamenti abusivi da parte di familiari o persone esterne.INTERVENTO TERAPEUTICONegli anoressici il rapporto con la realtà è alterato per quanto riguarda la percezione dello schema corporeo, ma generalmente conservato per altri aspetti. Sarebbe perciò opportuna una terapia psicologica atta a supportare l’Io del soggetto per rafforzarlo, definirlo, strutturarlo maggiormente, migliorare la percezione e l’investimento nella realtà e favorire un processo di rielaborazione delle tematiche centrali del disagio. Se si considera che l’anoressica riduce ed esaurisce la sua esistenza intorno a due tematiche centrali concernenti il corpo e il cibo, appare evidente l’importanza di sviluppare altre forme di interesse e di investimento sul reale e promuovere un’apertura verso l’affettività.
Un approccio terapeutico condiviso è quello sistemico familiare. L’obiettivo è quello di favorire lo svincolo e l’individuazione dei membri del sistema familiare invischiato, promuovere la circolarità di una comunicazione chiara, rafforzare la figura paterna se è periferica, sostituire le regole disfunzionali con quelle funzionali e gestire costruttivamente la crisi per affrontare un nuovo ciclo vitale. Un ostacolo al trattamento dell’anoressia consiste nel fatto che nella maggior parte dei casi il soggetto non riconosce il proprio disturbo e quindi è scarsamente motivato al lavoro terapeutico.
Dott.ssa Rita Manzo
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