“So ya
Thought ya
Might like to, go to the show
To feel the warm thrill of confusion
That space cadet glow
Tell me is something eluding you sunshine?
Is this not what you expected to see?
If you want to find out what’s behind these cold eyes?
You’ll just have to claw your way through this disguise”
Guardo alcuni video dei concerti di Roger Waters sparsi per l’Italia negli ultimi giorni. Non ce n’è uno in cui prima del palco non appaiano migliaia di fotocamere, iSega e così via. Mi chiedo poi se i paganti hanno provato mai a riflettere sul senso profondo di un’opera come “The Wall”, del “fascismo del rock” che è cardine della denuncia di Waters, che immagino incassi i loro dobloni d’oro lucidamente divertito di tanto autismo corale, infine sopreso di aver anticipato così perfettamente la realtà con un’opera che sembrava visionaria. Sembrava. La realtà poi ha cominciato a osare più dell’arte. Nessun “Giudice Verme” farà cadere il muro. Solo una raffica di click e applausi. Almeno il rumore di migliaia di stivali che toccano terra all’unisono ha tutto un altro fascino, raramente persino una vaga utilità.