Magazine Cultura
Domani esce Another Year di Mike Leigh, come al solito in ritardo di mesi rispetto all'anteprima di Cannes. Essendo un film di Leigh è composto interamente di scene dialogate, di gente che per la maggior parte del tempo siede a un tavolo e racconta della propria vita. La cosa stupefacente è il modo con cui il dramma esce allo scoperto, senza che la patina della commedia leggera venga scalfita, ma solo leggermente incrinata, tra dubbi sulla moralità dei personaggi e certezze sulla loro spietatezza. La storia è quella di una coppia benestante e un po' attempata che, sicura della propria serenità, della propria casa tipicamente inglese e delle proprie placide abitudini, ama circondarsi di gente triste e sfigata: una collega della moglie dal cuore infranto, un amico del marito single e alcolizzato, il suocero vedovo e stanco della vita. Il tempo passa, le stagioni scandiscono l'esistenza, ma nella vita dei due protagonisti nulla cambia, né la loro gentilezza, né l'infelicità di quelli che loro vorrebbero aiutare. La scena iniziale, con una fantastica Imelda Staunton che in un consultorio sfoga la propria disperazione alla protagonista (che di mestiere fa l'assistente sociale) e quella finale, con un piano sequenza magistrale che dà il senso dell'intero del film, sono le cose migliori del film: per il resto, uno potrebbe giustamente dire che è la solita roba da Mike Leigh, che a forza di segreti e bugie ne abbiamo le scatole piene, ma conviene non fare troppo i pretenziosi e tenersi buono un regista con una simile capacità di mettere in scena lo spettacolo dolce della crudeltà umana.