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Anteprima ed estratto di "Alice in zombieland" di Gena Showalter

Da Selly82 @SellyMoon

Cari lettori, 
oggi vi proponiamo una interessante anteprima dell'Harlequin Mondadori. "Alice in zombieland" il primo romanzo della serie urban fantasy young adult White Rabbit Chronicles scritta dalla apprezzatissima autrice di paranormal romance Gena Showalter uscirà in ebook il prossimo 23 gennaio! 
Spero di vederlo pubblicato a breve anche in formato cartaceo visto che la copertina (uguale all'originale) è davvero molto bella!
Titolo: Alice in zombielandAutrice: Gena Showaltercasa editrice: Harlequin MondadoriCanali: eBookGenere: Young adultPrezzo Ebook 6.99 EuroCODICE 9788858907610Data di uscita: 23 gennaio 2013

TRAMA

Non avrò pace finché non avrò rispedito nella tomba tutti i morti che camminano. Per sempre. Se qualcuno mi avesse detto che la mia vita sarebbe cambiata in un momento, sarei scoppiata a ridere. E invece è proprio quello che è accaduto. Un attimo, un secondo, il tempo di un respiro, e tutto ciò che amavo è sparito. Mi chiamo Alice Bell, e la notte del mio sedicesimo compleanno ho perso la madre che adoravo, la mia sorellina e il padre che non ho mai capito finché non è stato troppo tardi. Quella notte ho scoperto che lui aveva ragione: i mostri esistono veramente. Gli zombie mi hanno portato via tutto. E adesso non mi resta che la vendetta... Per realizzare i suoi propositi, Alice dovrà imparare a combattere contro i non-morti e fidarsi del peggiore dei cattivi ragazzi della scuola, Cole Holland. Ma lui nasconde dei segreti. E quei segreti potrebbero rivelarsi persino più pericolosi degli zombie.

RECENSIONIUno straordinario mix di horor, fantasy e romanticismo che vi farà dimenticare Twilight.


La Showalter ha creato un mondo fantastico che si intreccia con quello reale, sovvertendo le tradizionali regole dell’horror per creare un romanzo decisamente originale.  (Romantic Times Magazine)

Incalzante e ricco d’azione. Alice in Zombieland non mancherà di affascinare adulti e ragazzi.


- UN ESTRATTO -Un biglietto da Alice
Se qualcuno mi avesse detto che la mia vitasarebbe cambiata in un momento, sareiscoppiata a ridere. Dalla beatitudine allatragedia, dall’innocenza alla rovina? Ma per favore.E invece è andata proprio così. Un attimo,un secondo, il tempo di un respiro, etutto ciò che conoscevo e amavo è sparito.Il mio nome è Alice Bell e la notte del miosedicesimo compleanno ho perso la madreche amavo, la sorellina che adoravo e il padreche non ho mai capito finché non è statotroppo tardi. Fino a quell’istante, quandotutto il mio mondo è crollato e uno nuovoha preso forma intorno a me.Mio padre aveva ragione. I mostri camminanoin mezzo a noi.Di notte questi morti viventi, questi...zombie escono dalle loro tombe e bramanociò che hanno perduto. La vita. Si nutrirannodi voi. Vi infetteranno. E poi viuccideranno. Se questo accadrà, anche voiuscirete dalla tomba. È un cerchio senzafine, come un topo che corre all’interno diuna ruota di filo spinato: sanguina e muorelentamente mentre le punte acuminate glipenetrano sempre più nella carne, ma nonha modo di fermare lo slancio letale.Gli zombie non conoscono la paura, nonconoscono il dolore, ma hanno fame. Oh, sehanno fame. C’è un solo modo per fermarli,ma non posso spiegarvelo. Ve lo devo mostrare.Ciò che posso dirvi è che dobbiamocombattere gli zombie per renderli inoffensivi.Per combatterli, dobbiamo avvicinarcia loro. E per farlo, dobbiamo essere un po’coraggiosi e molto folli.Ma la volete sapere una cosa? Preferiscoche il mondo mi consideri pazza mentrecado combattendo, invece di trascorrere ilresto della vita nascondendomi dalla verità.Gli zombie sono reali. Sono là fuori.Se non state in guardia, prenderanno anche voi.E dunque, sì, avrei dovuto ascoltare miopadre. Mi aveva ripetuto mille volte di nonuscire mai di notte, di non avvicinarmi maia un cimitero e di non fidarmi mai, per nessunmotivo al mondo, di qualcuno che volessefarlo. Avrebbe dovuto seguire i suoistessi consigli... Invece si è fidato di me e iol’ho convinto a fare entrambe le cose.Se potessi tornare indietro, farei migliaiadi cose in modo diverso. Direi di no a miasorella. Non chiederei a mia madre di parlarecon papà. Non piangerei. Mi sigillereile labbra e ingoierei quelle parole odiose.E a parte questo, abbraccerei mia sorella,mia madre e mio padre un’ultima volta. Direi loro che li amo.Vorrei... oh, come lo vorrei..1.
Nella tana degli zombie
[...]La gente si era spostata nel foyer comeuno sciame di api, metà aspettava, l’altrametà si dirigeva verso le porte. Fu lì chetrovammo nostro padre. Si era fermato vicinoalle finestre e scrutava il parcheggio. Ilampioni illuminavano il tragitto fino allanostra Tahoe, che mamma aveva parcheggiatoillegalmente nel posto per i disabilipiù vicino, così da poter scendere e risalirepiù facilmente. La sua pelle aveva assuntouna sfumatura grigiastra e aveva i capellidritti in testa, come se avesse passato ledita tra le ciocche troppe volte.Mamma stava ancora cercando di calmarlo.Grazie al cielo era riuscita a disarmarloprima che uscissimo di casa. In genereportava pistole, coltelli e stelle ninjaogni volta che osava uscire.Appena li raggiunsi, lui si voltò e miafferrò per le braccia, scuotendomi. «Sevedi qualcosa nell’ombra, qualunque cosa,prendi tua sorella e scappa. Mi hai sentito?Prendila e torna subito dentro. Chiudile porte, nasconditi e chiedi aiuto.» I suoiocchi erano blu elettrico, da allucinato, e lepupille si erano dilatate fino a coprire quasidel tutto le iridi.Il senso di colpa divampò dentro di me.«Lo farò» gli assicurai, posando le mani sullesue. «Non preoccuparti per noi. Mi haiinsegnato a difendermi, ricordi? ProteggeròEm, a qualunque costo.»«Okay» disse lui, anche se non sembravaper niente soddisfatto. «Allora va bene.»Avevo detto la verità. Non so per quanteore mi fossi allenata con lui nel giardinodietro casa, imparando a bloccare potenziali aggressori. Certo, quelle lezioni in teoriaservivano a impedire che i miei organi internidiventassero la cena di qualche esseredecerebrato, ma l’autodifesa era sempreautodifesa, giusto?Mia madre riuscì a convincerlo ad avventurarsiall’esterno. Nel frattempo la genteci scoccava occhiate sconcertate che cercaidi ignorare. Camminammo tutti insieme,come una vera famiglia, mettendo un piededavanti all’altro così in fretta che sembravavolassimo. Mamma e papà davanti, Eme io pochi passi dietro di loro, tenendoci permano mentre i grilli frinivano, fornendociuna bizzarra colonna sonora.Mi guardai intorno, cercando di vedereil mondo come doveva vederlo mio padre.Scorsi un lungo tratto di catrame nero...mimetizzazione? Un mare di macchine...possibili nascondigli? E dietro i boschi checoprivano le colline... luogo di riproduzionedegli incubi?In alto nel cielo splendeva la luna, pienae meravigliosamente nitida. C’erano ancoradelle nuvole, arancioni e un po’ inquietanti.E quello era... no, impossibile... Battei lepalpebre, rallentai. Caspita, sì! Era propriolui. La nuvola a forma di coniglio mi avevaseguita. Bizzarro.«Guarda le nuvole» dissi a Em. «Noti niente di strano?»Una pausa, poi: «Un coniglio?».«Esatto. L’ho visto anche questa mattina.Deve pensare che siamo proprio straordinari.»«Perché è così, infatti.»Mio padre si accorse che eravamo rimasteindietro, tornò indietro di corsa, mi afferròper il polso e mi trascinò con sé, più veloce,sempre più veloce... mentre io tenevo strettala mano di Emma e mi trascinavo dietrolei. Avrei preferito lussarle una spalla piuttostoche lasciarla indietro, anche solo perun secondo. Papà ci voleva bene, ma unaparte di me temeva che ci avrebbe lasciatelì, se lo avesse ritenuto necessario.Aprì la portiera dell’auto e mi scaraventòdentro come un pallone da calcio. Emma miraggiunse un secondo dopo e condividemmoun momento di eloquente silenzio dopoesserci sistemate.Divertente, dissi muovendo solo le labbra.Buon compleanno, replicò lei, altrettanto silenziosa.Non appena si sedette sul sedile del passeggero,papà bloccò le portiere. Tremavatroppo per riuscire a mettersi la cintura disicurezza e si arrese. «Non passare davantial cimitero» disse a mia madre. «Ma portacia casa più in fretta che puoi.»Avevamo evitato il cimitero anche all’andata,benché fosse ancora giorno, allungandoinutilmente un tragitto già lungo.«Certo. Non preoccuparti.» La Tahoe siaccese con un ruggito e mamma inserì la retro.«Papà» intervenni, nel tono più ragionevoleche riuscii a usare, «se prendiamo lastrada più lunga, resteremo imbottigliatidove ci sono i lavori.» Vivevamo appena fuoridalla grande, splendida Birmingham e iltraffico di per sé poteva diventare un orribilemostro. «Potremmo metterci mezz’orain più. E tu non vuoi che rimaniamo imbottigliatinel traffico al buio, vero?» Avrebberaggiunto livelli di panico tali che tutte noiavremmo artigliato le portiere pur di fuggire.«Tesoro?» disse mia madre. L’auto arrivòall’uscita dal parcheggio, dove avrebbe dovutosvoltare a destra o sinistra. Se fosseandata a sinistra, non saremmo mai arrivatia casa. Davvero, se fossi stata costrettaa sopportare mio padre per più di mezz’orasarei saltata fuori del finestrino e, con ungesto pietoso, avrei portato Emma con me.Se mamma avesse svoltato a destra il tragittosarebbe stato breve, avremmo dovutoaffrontare un breve attacco di panico e tuttosi sarebbe risolto in poco tempo. «Andròcosì veloce che non riuscirai nemmeno a vederlo, il cimitero.»«No. Troppo rischioso.»«Per favore, papà» dissi, pronta a usarela manipolazione. Dopotutto lo avevo giàfatto. «Fallo per me. È il mio compleanno.Non vi chiederò nient’altro, lo prometto,anche se vi siete dimenticati quello dell’annoscorso e non mi avete fatto nemmeno un regalo.»«Io... io...» Il suo sguardo continuava aguizzare qua e là, scrutando gli alberi vicinialla ricerca di un qualsiasi movimento.«Per favore. Emma deve andare a letto,altrimenti si trasformerà in Lily dellaValle delle Spine.» L’avevamo soprannominatacosì molto tempo prima, leggendo unlibro di Patrick Carron, perché quando erastanca, si trasformava in una creatura intrattabileche si lasciava dietro una scia di cadaveri.Em fece una smorfia e mi diede un pugnoscherzoso. Io mi strinsi nelle spalle, un gestouniversale per dire: be’, è vero.Papà sospirò rumorosamente. «Okay.Okay. Ma, mi raccomando, infrangi la barrieradel suono, amore» disse, baciando lamano di mia madre.«Hai la mia parola.»I miei genitori si scambiarono un sorrisodolce. Mi sentii quasi in imbarazzo peraverlo notato; una volta era sempre così,loro due si scambiavano occhiate del generedi continuo, ma con gli anni i sorrisicomplici erano diventati sempre meno frequenti.«D’accordo, andiamo.» Mamma svoltò adestra e, con mia enorme sorpresa, cercòdavvero di infrangere la barriera del suono,violando tutti i limiti di velocità, passandoda una corsia all’altra, suonando alle autotroppo lente e lampeggiando perché le dessero strada.Ero impressionata. Le poche volte chemi aveva dato lezione di guida era semprestata un fascio di nervi, con il risultato chetrasformava in un fascio di nervi anche me.Non eravamo andate lontano e non avevamoosato superare i trenta chilometriall’ora anche fuori del nostro quartiere.Non smise un attimo di chiacchierarementre guidava e io controllai l’ora sul cellulare.I minuti scorrevano e ne passaronodieci senza nessun incidente. Ne mancavano ancora venti.Papà teneva la faccia premuta controil finestrino, il suo respiro accelerato appannavail vetro. Forse stava ammirandole montagne, le vallate e gli alberi lussureggiantiilluminati dai lampioni, invece dicercare mostri. Sì. Come no.«Allora, come sono andata?» mi sussurrò Emma.Le presi la mano e la strinsi. «Sei stata strabiliante.»Le sue sopracciglia scure si avvicinaronoe io capii cosa stava per arrivare. Sospetto. «Giuri?»«Giuro. Sei stata fantastica. In confrontoa te le altre bambine hanno fatto schifo.»Em si coprì la bocca per fermare una risatina.Non potei fare a meno di aggiungere: «Haipresente il ragazzino che ti ha fatto fare lapiroetta? Credo sia stato tentato di scaraventartigiù dal palco, in modo che finalmente qualcuno guardasse anche lui. Davvero,tutti gli occhi erano puntati su di te».La risatina proruppe, ormai inarrestabile.«Quindi stai dicendo che, quando sonoinciampata, se ne sono accorti tutti.»«Sei inciampata? Vuoi dire che non era lacoreografia del balletto?»Lei mi diede un cinque. «Bella risposta.»«Tesoro» intervenne mamma in tono allarmato.«Perché non metti un po’ di musica?»Mi chinai in avanti e guardai fuori dalparabrezza. Sì, ci stavamo avvicinando alcimitero. Se non altro non c’erano altreauto nelle vicinanze, così nessuno avrebbeassistito all’imminente crisi di nervi di miopadre. Perché sarebbe crollato, era sicuro.Sentivo la tensione crescere nell’aria.«Niente musica» disse lui. «Devo concentrarmi,restare in allerta. Devo...» Si irrigidì,stringendo il bracciolo del sedile tantoche le nocche sbiancarono.Trascorse un momento di silenzio, teso e pesante.Il suo respiro accelerò, diventò semprepiù rapido, finché esclamò con voce stridula:«Sono là fuori! Ci attaccheranno!».Afferrò il volante e lo girò bruscamente.«Non li vedi? Stiamo andando dritto versodi loro. Torna indietro! Devi fare inversione di marcia!»La Tahoe sterzò bruscamente ed Emmagridò. Le afferrai la mano e la strinsi, rifiutandomidi lasciarla andare. Il cuore mimartellava contro le costole, la pelle eracoperta da un velo di sudore freddo. Avevopromesso di proteggerla e l’avrei fatto.«Andrà tutto bene» le dissi.Tremava così forte da scuotere anche me.«Tesoro, ascoltami» disse mia madre cercandodi calmarlo. «Siamo al sicuro quidentro. Nessuno può farci del male. Dobbiamo...»«No! Se non torniamo indietro ci seguirannofino a casa!» Mio padre era completamentefuori di sé e non aveva sentito nientedi ciò che mia madre gli aveva detto. «Dobbiamo tornare indietro!» Afferrò di nuovo ilvolante, lo girò ancora, con maggior forza, ein quel caso l’auto non si limitò a sterzare,ma fece un testacoda.Continuò a girare come una trottola perquella che mi sembrò un’eternità. Serrai lapresa sulle dita di Emma.«Alice!» urlò lei.«È tutto okay. È tutto okay» ripetei, comese fosse un mantra. Il mondo ronzava intornoa noi, sfocato... l’auto sbandava... miopadre imprecò... mia madre boccheggiò...l’auto si inclinò, si inclinò...FERMO IMMAGINE.Ricordo quando Em e io facevamo quelgioco. Alzavamo al massimo il volume delnostro iPod dock – rock martellante – e ballavamocome se avessimo un attacco epilettico.Poi una di noi urlava fermo immaginee ci bloccavamo di colpo, cercando di nonridere, finché una di noi non urlava la parolamagica che ci faceva muovere di nuovo.Balla!In quel momento avrei voluto poter urlare fermo immagine e rimettere a posto lascena e i protagonisti. Ma la vita non è ungioco, vero?BALLA.L’auto si staccò dall’asfalto, si capovolse,cadde a terra, rovesciata, poi si ribaltò dinuovo. Il suono del metallo che si accartocciava,del vetro che andava in frantumi e legrida di dolore mi risuonarono nelle orecchie.Fui scaraventata avanti e indietrosul sedile, il mio cervello diventò un frappéalla ciliegia dentro la scatola cranica, mentreun susseguirsi di colpi e urti mi toglieva il fiato.Quando finalmente ci fermammo erocosì intontita e confusa che mi sembrava cistessimo muovendo ancora. Almeno le urlaerano cessate. Sentivo solo un fischio nelle orecchie.«Mamma? Papà?» Silenzio. Nessuna risposta.«Em?» ancora niente.Mi guardai intorno. Avevo la vista un po’ appannata,qualcosa di caldo e umido mi colavatra le ciglia, ma ci vedevo abbastanza bene.E ciò che vidi mi distrusse.Urlai. Mia madre era coperta di tagli, ilcorpo pieno di sangue. Emma era riversasul sedile, la testa con un’inclinazione innaturale,la guancia squarciata. No. No, no,no.«Papà, aiutami. Dobbiamo tirarle fuori!» Silenzio.«Papà?» Lo cercai... e mi accorsi che nonera più nell’abitacolo. Il parabrezza era infrantumi e lui giaceva immobile su una distesadi frammenti di vetro qualche metropiù avanti. C’erano tre uomini in piedi intornoa lui, illuminati dai fari dell’auto.No, non erano uomini, mi resi conto. Nonpotevano esserlo. Avevano la pelle cascantee butterata, i vestiti sporchi e laceri. I capellipendevano in ciocche rade dagli scalpichiazzati e i loro denti... erano così taglientimentre... mentre si lanciavano su mio padree svanivano dentro di lui, per riemergereun secondo dopo e... e... divorarlo. Mostri.Cercai di liberarmi, dovevo portare Emin salvo – Em, che non si muoveva e nonpiangeva – dovevo raggiungere mio padre,aiutarlo. Urtai qualcosa di duro e taglientecon la testa. Avvertii un dolore devastante,ma cercai di resistere mentre le forze miabbandonavano, la vista si offuscava...Poi fu notte-notte per Alice e non seppialtro. Almeno per un po’.

La serie "The White Rabbit Chronicles" è composta da:
1. Alice in Zombieland 
2. Through the Zombie Glass (in USA nel 2013)
L'AUTRICE
Gena Showalter
Americana, ha pubblicato il suo primo romanzo nel 2004 e oggi ha al suo attivo oltre 30 romanzi di diversi generi – erotico, paranormal, per ragazzi – che sono subito balzati in vetta alle classifiche del New York Times. In Italia ha ottenuto uno strepitoso successo con la serie Lords of the Underworld.


Ho letto tutti i romanzi della serie "Lords of the Underworld" e mi piace lo stile di questa autrice, inoltre la trama di questo libro è decisamente interessante. Adult o young adult per me non fa differenza perché leggo entrambi, quindi sicuramente questo romanzo non mancherà nella mia libreria!

Non vedo l'ora di seguire il BIANCONIGLIO! E voi? ;)
A presto!

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