Anteprima: "This must be the place" di Paolo Sorrentino

Creato il 14 ottobre 2011 da Dallenebbiemantovane

Ieri sera mi sono fatta un’ora di fila nella speranza (senza certezze) di essere tra i fortunati che avrebbero visto This must be the place (Italia-Irlanda-Usa 2011, di Paolo Sorrentino, con Sean Penn) in lingua originale.
Ce l'ho fatta per un pelo. Di per sé l’iniziativa, che faceva parte degli Incontri del Cinema d’Essai, una due giorni di film e dibattiti gratuiti che si è appena svolta nella mia città, era lodevole. 
Tuttavia, trovo semplicemente vergognoso costringere la gente a una fila di ore all’aperto – peraltro senza transenne, permettendo quindi a chiunque di inserirsi lateralmente e passarti davanti, tutti tranne un mio amico che è stato cacciato via da un vecchiaccio in vena di polemiche – senza avere la certezza di entrare davvero. Per poi scoprire una volta dentro l’Ariston, che la prevendita non era iniziata alle 20.30 come annunciato dai giornali e dai siti della manifestazione, ma un paio d’ore prima, per cui ti vedevi passare davanti gente che, chissà perché, aveva avuto il suo biglietto da un pezzo. Senza contare i Vip (ci sono anche nelle piccole città) che, una volta riconosciuti, vengono fatti passare comunque.
Bisognerebbe immaginarsi che la gratuità dell’evento è sempre garanzia di file pazzesche, anche da parte di persone non interessate; e che la proiezione della pellicola in inglese non era affatto stata pubblicizzata, altro fattore che avrebbe dissuaso molti. La prossima volta mettete un biglietto simbolico, 1 euro, 2 euro, e magari ditelo forte e chiaro che il film è in lingua!

Troppo nervosismo, troppa furbizia, troppe scene all’italiana.
Non ne vale la pena, lo dico francamente; neanche per Sorrentino. Questa è l’ultima volta che mi faccio coinvolgere in un’iniziativa così caotica e insensata; la prossima volta sarò ben felice di pagare il mio biglietto, sia pure con eventuale riduzione del lunedì, e se lo riterrò meritevole, di noleggiare o acquistare il dvd per rivederlo in lingua originale.


Il film, peraltro, è strepitoso e poggia al 90% sull’interpretazione magistrale del protagonista. Sfido qualunque altro attore a recitare en travesti senza cadere nel comico involontario. Penn di comico ha molto, ma solo grazie ai dialoghi brillanti e alla maschera da depresso (o annoiato, come sostiene con qualche ragione la moglie pompiera, una Frances McDormand fantastica a sua volta).
Per questo personaggio, a parte la famosa questione della camminata “da ricchi che si vergognano di essersi arricchiti”, ha quella schiena dritta ma avanzata, da anziano precoce, quelle gambette rigide da sciatica, quelle pieghe buccali, quel rossetto sbavato, quel trolley perennemente trascinato come il peso del passato, elementi che tutti insieme fanno non solo il personaggio ma l’intero film. Oscar subito e facciamola finita, insomma.


A proposito di dialoghi: sono davvero ben fatti, esilaranti, con perle di saggezza che resteranno nella storia del cinema:

"La vita è piena di cose bellissime"

 

“Ha notato anche lei? Qui nessuno lavora più, tutti fanno qualcosa di artistico.”

 

“Perché non hai figli?
“Con un esempio simile, la probabilità che nasca una stilista strampalata è troppo alta.”

“Non ti ho invitato a cena per darti una cazzo di intervista!”

Fino alla più sublime: “Jane, Jane perché hai permesso che un architetto scrivesse cuisine nella nostra cucina?"

Non solo dramma, non solo commedia, non solo road movie, anche in questo Sorrentino non si lascia incasellare facilmente. Riconosci il tocco del regista napoletano nelle carrellate fluide intorno ai personaggi, anche se si nota qui una libertà di espressione, ispirata probabilmente dai cieli nuvolosi irlandesi prima e dai grandi spazi aperti americani poi, che nei suoi film precedenti non c’era.
Fare un road movie, soprattutto quello all’americana (e Sorrentino dichiaratamente si ispira a Una storia vera di Lynch, prendendone anche l’attore Harry Dean Stanton) è un’operazione che comporta sempre dei rischi: primo fra tutti quello di non dare al protagonista una motivazione che lo spettatore sia disposto a prendere sul serio; o quello di fargli incontrare a getto continuo sempre e solo personaggi bizzarri, pretestuosi, “divertenti” e in definitiva poco credibili.
Qui no: il viaggio è fatto anche di banalità come il pistacchio più grosso del mondo, i denti lavati in motel di cui sei l’unico cliente, gli sguardi persi nel vuoto e i silenzi.

C’è da dire che per un personaggio come Cheyenne, pop star in ritiro volontario, annoiato dalla vita e da se stesso, un lungo viaggio può essere un antidoto alla suddetta, indipendentemente dalle velleità di trovare criminali nazisti, e anche semplicemente un modo per riavvicinarsi al proprio Paese di origine e al proprio padre ormai morto. Quindi ci sta.
In questo senso, persino la vendetta postuma del figlio nei confronti del persecutore del padre si risolverà in chiave minore, senza bisogno di utilizzare la “pistola per uccidere, ma proprio per uccidere impunemente” (come si congratulava il venditore di armi), ma in un bellissimo paesaggio innevato.
E del resto la galleria di professoresse in pensione, cameriere infelici, autostoppisti indiani muti, camionisti laconici, viene resa con una certa umanità: non si ride di loro e delle loro angosce, al massimo si sorride qua e là (la scena in cucina con l’oca, il pick up in fiamme per autocombustione, la partita di ping pong...). Senza dimenticare David Byrne dei Talking Heads nei panni di se stesso, in una scena di inganno visivo alla David Lynch, da antologia del cinema.
Come peraltro i paesaggi del New Mexico e dello Utah non sono solo sfondi vacui, e certe scene come quella di madre e figlio che nuotano nella piscina gonfiabile nuova, hanno una loro bellezza visiva che solo Sorrentino poteva darci.

Senza contare che non era scontato che un regista italiano, cioè della periferia dell’(ormai ex) impero, riuscisse a produrre e dirigere star e comprimari americani in America senza cadere nel kitsch.
Sono di parte, penso si intuisca, ma trovo che in un mondo pieno di prodotti banali i film di Paolo Sorrentino siano necessari.

Tra le poche recensioni serie finora circolanti in rete, segnalo volentieri quella di PianetaDonna con un’interessante intervista al regista.


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