Billy Lafitte, ex sbirro di Gulfport, Mississippi, ha avuto qualche problemino con la legge: impegnato nei soccorsi ai suoi concittadini colpiti dall’uragano Katrina, ha pensato non ci fosse niente di male a chiedere in cambio qualche piccolo “risarcimento”, magari in contanti; e, quando lo scandalo è scoppiato, i suoi colleghi, pur di mantenere le loro “merdose condizioni di vita”(1), hanno fatto in fretta ad additarlo come “esempio della corruzione, risultato di un filtraggio dei peggiori elementi del corpo da parte di quelli ‘buoni’”(2).
È così che Lafitte è finito a Yellow Medicine, Minnesota, a far da vice al cognato, il neoeletto sceriffo Graham: per dimostrare a moglie e figli di essere cambiato, e perché per uno sbirro corrotto come lui le occasioni lavorative non sono poi molte.
Ma tenersi sulla retta via non è facile in condizioni normali, figuriamoci, poi, quando dei temibili gangster asiatici, pronti a corrompere o sparare, arrivano in paese per scalzare i locali produttori di metanfetamine e finanziarsi chissà quale misterioso progetto…
A leggere Yellow Medicine, di Anthony Neil Smith, viene proprio in mente il primo incontro con Victor Gischler: non è solo una questione di stile, forme e temi; non dipende dal fatto che l’autore di La gabbia delle scimmie, Anche i poeti uccidono e Notte di sangue a Coyote Crossing sia apertamente citato in epigrafe, e nemmeno dalla circostanza (tutt’altro che accidentale) che i due autori siano entrambi editi in Italia da Meridiano Zero. No, è più che altro una questione di atteggiamento, di rapporto con la letteratura: Neil Smith, come Gischler, insegna scrittura creativa (e si vede). Neil Smith, come Gischler, ha sposato il pulp con americana scioltezza e post-moderno disinteresse per l’antica distinzione tra “alta” e “bassa” letteratura, o, se si preferisce, tra “letteratura” e “paraletteratura”(3). E, anche se si allontana dall’ironia e la comicità gischleriane, scegliendo modi più duri, “seri” e spigolosi, proprio come Gischler, Neil Smith porta alle ultime conseguenze l’eredità dei modelli letterari del genere: così, per esempio, in Yellow Medicine, la minaccia comunista che “giustificava” i comportamenti nevrotici e violenti del Mike Hammer di Spillane, si trasforma nella paura del terrorismo islamico post Undici Settembre, e avanza dal livello sottotestuale a quello testuale, facendosi elemento portante dell’intreccio. Ed è proprio grazie all’entrata in campo dei terroristi che il romanzo -per il resto solida opera d’intrattenimento- rivela uno dei suoi tratti caratteristici più originali: l’impagabile, assoluto, spregio del “politically correct”(4).
L’autore, libero da ogni preoccupazione relativa alla critica politicizzata e attenta alle problematiche di genere(5), si dedica con cura e un po’ di compiacimento alla creazione di un personaggio volgare ed eccessivo come Lafitte, e il risultato è un successo: se il romanzo funziona, non è tanto (o non solo) in virtù dell’intreccio(6), quanto per la voce sgradevole ma diretta del protagonista, che da sola porta avanti la narrazione, in prima persona e al passato, come secondo i canoni del genere.
Il romanzo Yellow Medicine, di Anthony Neil Smith è proposto ai lettori italiani da Meridiano Zero, nella bella traduzione di Luca Conti.
(1)Anthony Neil Smith, Yellow Medicine, Meridiano Zero, Padova 2011, p. 39. Traduzione di Luca Conti.
(2)Ibidem.
(3)Contrariamente a quanto si creda, solo in parte abbandonata, anche nel mondo anglosassone…
(4)Ma, se siete sensibili all’argomento, rassicuratevi: la “scorrettezza” di Lafitte è tanto esagerata da sfociare nel grottesco, risultando persino piacevole. E poi il protagonista risponde ai canoni di un eroismo cinematografico e letterario machista, violento e testosteronico che ha toccato i picchi di popolarità tra la fine degli anni ’80 e la metà dei ’90, e quindi un po’ di sgradevolezza è quasi di dovere.
(5)Sì, perché ormai si sa, la critica “seriamente impegnata” (ma in fondo anche quella che tanto “seriamente” impegnata non è), il più delle volte preferisce condannare in blocco e a priori i prodotti di genere, piuttosto che confrontarsi puntualmente con gli stessi…
(6)A tratti un po’ lineare, ma meccanicamente perfetto a dispetto di tutti gli eccessi.