L’errore usuale degli antiabortisti, su cui spesso quelli dalla mente più aperta li seguono, è lo stesso degli “antispecisti”, su cui spesso anche i loro giusti oppositori li seguono.
Definizioni come “persona umana” o “diritto” vengono prese a priori, come realtà proprie. Quindi per prima cosa dovremmo decidere se il feto o l’animale è persona con diritti, e solo dopo comportarci di conseguenza, decidendo quali conseguenza pratiche discenderanno naturalmente dalla nostra decisione.
Ma come sempre, dovrebbe essere esattamente il contrario: facciamo una definizione teorica che descriva bene la soluzione che abbiamo trovato al problema pratico, non viceversa. Anche perché, altrimenti, su che basi, se non pratiche, potremmo mai prendere una decisione sulla teoria?
Quello che sfugge è che in realtà le definizioni come persona o diritto lasciano esattamente il tempo che trovano, se non ci fossero sarebbe del tutto identico, sono astrazioni di comodo. Diciamo che il neonato è persona umana, siamo tutti d’accordo, no? Eppure se a una persona umana adulta violassimo il diritto a decidere della propria vita, a
votare, a spostarsi liberamente, come accade a tutti i bambini e anche ai più che bambini fino ai diciotto anni, si direbbe che ne stiamo violando i diritti umani.
Questo molto semplicemente perché puoi anche chiamarlo per comodità “persona umana”, ma il neonato è comunque diverso, all’atto pratico, dall’adulto, e un po’ in tutti gli aspetti è più simile all’animale ed in gran parte è trattato, necessariamente, come tale; nessuno gli chiede se vuole prendere le medicine o vestirsi o vaccinarsi, come non lo si chiede al cane. E’ trattato, diciamo così, come un cane di gran lusso, in vista del fatto che diventerà un adulto. Ci sono alcuni cani che sono trattati meglio di molti bambini, eppure non sono definiti persone. Qualcuno crede che al cane importi? O che al bambino importi di essere chiamato persona, se comunque viene stuprato o muore di fame? Ovviamente no, lo chiamiamo persona puramente pro forma, ma questo non lo rende uguale all’adulto agli effetti pratici, agli effetti pratici resta qualcosa di diverso, di cui ci interessiamo un po’ per istinto, un po’ per investimento sociale. Chiamiamo persona me, chiamiamo persona anche il neonato, ma non siamo la stessa cosa, poco da discutere su questo. Fra me e il neonato c’è un insormontabile, profondissimo solco scavato dalla prassi.
Pensate a cosa vogliono gli antispecisti: vogliono ridisegnare il concetto di diritto e di persona. Ma qual è la critica più forte che gli si rivolge? Che non si può fare. Ampliamo il concetto di persona per includere gli animali, cosa abbiamo ottenuto? Niente. Restano diversi dalle persone, non parlano, non pensano, non scrivono, non leggono, non lavorano, non contribuiscono alla società, non ne capiscono né seguono le regole, e qualunque cosa tu faccia continueranno ad ammazzarsi a vicenda e a morire, letteralmente, come animali. Ce lo facciamo in brodo di avergli dato il riconoscimento di “persone”, questo non basta a cambiarne lo status ontologico di animali. Al massimo si otterrebbe che gli umani, in alcuni selezionati ambiti, si comportino con loro in modo diverso, tipicamente sotto attacco sono l’allevamento e la caccia e la sperimentazione animale; nulla cambierebbe per quanto riguarda fatti come l’agricoltura, o la lotta alle specie invasive o pericolose, ovvero, sempre e comunque, sarebbero nello stesso stato di minorità cui la loro natura li ha condannati senza appello. Chiamarli persone sarebbe una boutade, un gioco di parole, farebbe contenti quelli che per qualche ragione odiano l’allevamento e la sperimentazione animale, ma non cambierebbe lo stato naturale degli animali, e nemmeno rivoluzionerebbe in alcun modo la società umana … A meno di essere davvero convinti che chiamare un albero “quercia” o “pino” trasformi magicamente l’albero da latifoglia a conifera e viceversa.
Facciamo invece come fanno gli antiabortisti: ampliamo il concetto di persona, mettiamoci pure dentro il feto… che accade? In realtà praticamente nulla! Il problema pratico rimane identico, abbiamo un essere che non è uguale agli atti pratici alla persona adulta, e neanche al bambino, e neanche al neonato. Abbiamo un essere che è sostanzialmente un appendice del corpo della madre, che non ha cervello, non ha coscienza, non ha capacità di pensiero o parola; uno su tre di essi muore naturalmente, e non lo si seppellisce mica, e non lo si battezza mica, perché è DIVERSO da un adulto.. Se lo si lascia sviluppare, quel grumo di cellule presto o tardi sarà sostituito da una persona, ma tutti i feti di due mesi in tutta la storia dell’uomo sono fatti così, non sono come le persone. Hai voglia a farneticare che sono persone e che devono avere diritti di persone, semplicemente non è possibile. Anche qui, il massimo che si potrebbe ottenere sarebbe vietare l’aborto, ma il feto non ne guadagnerebbe magicamente di diventare una persona intera e completa, resterebbe un grumo di cellule, appendice del corpo della madre, mera potenzialità di una persona ma non una persona, se non nella fantasia dell’osservatore che vuole vederci un “soffio divino”. Possiamo accontentare gli integralisti religiosi, dirgli che è una persona e vietare l’IVG di conseguenza, ma non riusciremo mai a guadare un embrione umano distinguendolo da quello di un gatto o di un elefante, e nessuna legge potrà mai proibire a un gemello di riassorbire l’altro in utero, o ad un embrione di dividersi in due individui distinti … due cosine che le “persone” non fanno.
Prassi-teoria-prassi: ciò che resta di tutte le grandi teorizzazioni è semplicemente un irriducibile problema pratico. Cosa ci guadagna o ci perde la società nel cambiare in un qualche senso o in un altro il tipo di trattamento riservato al feto, come all’animale? È solo a questo che bisogna rispondere, e dopo si deciderà il nome più adeguato da dare alla situazione che si verrà a creare.
E penso che quale sia la migliore misura pratica per gestire simili questioni sia un problema in realtà di assai semplice soluzione…