Qui non si tratta di divergenze ideali o di una sana competizione politica. Non più. Questo ormai è un incubo, l’incubo permanente di un antiberlusconismo che seguita, dopo anni, ad ossessionare magistrati e parlamentari, giornalisti e cittadini che da un lato predicano tolleranza e dall’altro se ne stanno stretti in trincea, vigili, pronti a scagliare l’ennesima granata – giudiziaria o politica o mediatica – contro Silvio Berlusconi ed indirettamente, ma neanche tanto, contro quanti votano centrodestra, detestati e giudicati alla stregua di lordi complici di un regime da annientare.
La partigianeria dichiarata di certe procure e la chiusura preventiva del centrosinistra ad un governissimo temporaneo ma indispensabile al Paese si spiegano solo così: appartenete ad una razza inferiore e beota, con voi nessuna tregua, non se ne parla proprio, costi quel che costi. Anche se siete e rappresentate quasi un terzo degli elettori, anche se l’ingovernabilità rischia di tumulare un’economia già sofferente, anche se foste gli ultimi rimasti. Non c’è quindi spazio per la quiete nella dottrina antiberlusconiana, ma solo per pugni chiusi e musi lunghi. Persino la crisi, nella febbricitante logica dell’ideologia, diventa affare secondario. Ed è un peccato.
Peccato che prima di tutto penalizza, manco a dirlo, il centrosinistra, che in questo modo si è già lasciato scappare non uno ma tutta una serie treni buoni per il cambiamento, suo e del sistema politico, col quale magari ci saremmo evitati Grillo&Casaleggio. Lo ammettono, da quelle parti, pure osservatori ortodossi come Piero Sansonetti, il quale registra come purtroppo l’antiberlusconismo sia «diventato un gigantesco serbatoio nel quale sono state accantonate le energie e le idee della sinistra […] un macigno che» ha frenato «lo sviluppo di nuove idee, di analisi originali, di proposte, di anticonformismo» (La sinistra è di destra, Bur 2013). C’era Matteo Renzi, certo, ma sappiamo com’è andata.
Questo fa sì che larga parte della politica italiana, nonostante l’ondata grillina, sia ancora impossibilitata a cambiare, ad evolversi verso una dialettica altra dal duello celebrato nella presunzione tutta sinistrese di superiorità antropologica. Perché anche quando Berlusconi si ritirerà – e gli auguriamo di farlo in salute e per sua libera scelta – il problema rimarrà comunque dato che quelli che gli succederanno saranno ritenuti dai sacerdoti del moralismo eredi di una vergogna politica, incapaci, frutti avvelenati di un albero che andava abbattuto. La guerra dunque continuerà. La sola via d’uscita, la sola cura a vent’anni di odio si chiama futuro, e soprattutto voglia di andarci. Ne saranno e ne saremo capaci?