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Antifascismo militante fra conflitto, memoria e confusione storica

Creato il 17 giugno 2011 da Ilcasos @ilcasos

Valerio Gentili, Bastardi senza storia. Dagli Arditi del popolo ai combattenti rossi di prima linea: la storia dimenticata dell’antifascismo europeo, Castelvecchi, Roma 2011, pp. 184.

Copertina_bastardiUn tentativo di squarciare il velo che copre la memoria corta dell’oramai più che traballante movimento operaio europeo con una ricerca titolo un po’ “tamarro”. Le premesse con cui ci avviciniamo alla lettura non sono quindi delle migliori, ma devono essere vinte per apprezzare il valore della critica storiografica espressa dall’autore all’idea, «figlia di un’opera trasversale di rimozione storiografica, che la marcia di avvicinamento al potere dei fascismi europei non abbia trovato, sul terreno della violenza politica, nemici in grado di fronteggiare la situazione. Per motivi diversi si è preferito elidere il ruolo giocato, negli anni fra le due guerre, da quei movimenti “irregolari” che contesero ai fascisti non solo il mero terreno della violenza di strada ma un intero immaginario fatto di simboli, liturgie, marce, divise, slogan taglienti e affilati».
Associazioni di ex combattenti, come i tedeschi Reichsbanner schwarz-rot-gold (Vessillo dell’Impero nero rosso oro, associazione di veterani vicina al Partito socialdemocratico) e Rote Frontkampferbund (Lega dei combattenti rossi di prima linea, associazione combattentistica legata al Partito comunista), i nostrani Arditi del Popolo, gruppi di resistenza antifascista composti essenzialmente da giovani sottoproletari disoccupati per la crisi economica, come Antifaschistiche Aktion (Azione antifascista, nota per il famoso simbolo della bandiera rossa e di quella nera sovrapposte) o la francese Tojours Prets pour Servir (Sempre pronti per servire) furono quei movimenti “irregolari” che cercarono di fermare l’avanzata dei fascismi rispondendo colpo su colpo agli attacchi ricevuti e non esitando a passare alla controffensiva.

Arditi del popolo

Arditi del popolo

Battaglia il cui cammino venne spesso ostacolato dai mancati appoggi, se non malcelate critiche di metodo, da parte delle dirigenze dei vari partiti della sinistra: i socialisti ed i socialdemocratici perché vedevano in queste organizzazioni e nel loro fare militare un allontanamento dalla democrazia che proprio in quel momento andava difesa; i comunisti invece perché consideravano queste organizzazioni collaterali come un possibile concorrente, privo di una precisa connotazione ideologica e difficilmente egemonizzabile da essi, nel controllo dei quartieri popolari e di quanto si muoveva alla sinistra dei partiti socialisti.
Addentrandoci nell’analisi del testo è doveroso sottolineare che quest’opera, per quanto apparentemente frutto di un lavoro un po’ affrettato (nella parte conclusiva si trovano difatti vistosi errori di editing), assume un’importanza fondamentale per essere uno dei pochi testi in lingua italiana che trattano quest’aspetto poco conosciuto dell’antifascismo: con l’eccezione di Teoria dell’insurrezione dell’indipendentista sardo Emilio Lussu, scritta a ridosso della sconfitta del 1936 dei gruppi di difesa socialdemocratici e delle barricate del Karl Marx Hof di Vienna e del più recente Nazismo e Classe operaia di Sergio Bologna, la storiografia italiana ha spesso sorvolato su queste prime forme “spontanee” di resistenza al fascismo.
L’originalità del lavoro non risulta però sufficiente a sminuire il carattere ambiguo di alcune delle affermazioni che si possono trovare nel testo, soprattutto quando vengono azzardati confronti fra le forze antifasciste e quelle nazifasciste. Gentili difatti parla di un periodo storico in cui il lettore deve spingersi «all’interno della dicotomia rivoluzione-reazione, attraverso i suoi, a volte labili, confini e le sue paludose zone grigie, [per cercare] le tracce dello scontro manifestatosi con intensità variabile di nazione in nazione, che oppose per le strade d’Europa eserciti di soldati politici, l’uno contro l’altro, armati». Queste parole, tratte dall’introduzione “Guerra di simboli e fenomenologia politica” (consultabile anche via web) costituiscono uno dei punti in cui il lettore può provare un senso di smarrimento: come si può parlare di confini labili e di zone grigie rivolgendosi alla descrizione dello scontro fra rivoluzionari e forze reazionarie nello scontro sociale che animò gli anni Venti, che divenne presto lotta fra fascismo ed antifascismo?

Antifascismo militante fra conflitto, memoria e confusione storica

Didascalia

Base provante di questa presunta ambiguità sarebbe secondo l’autore il comune terreno di reclutamento esistente fra le due forze: guardando al contesto dell’Europa centrale, che per il suo carattere di lotta di massa trova nel libro una particolare centralità, tanto le organizzazioni nazifasciste come le Sturm Abteilungen (le truppe d’assalto del partito nazionalsocialista) quanto le varie formazioni di resistenza armate socialcomuniste costruirono la propria forza e consistenza numerica sull’eredità morale della Grande Guerra e sulla disoccupazione di massa della fine degli anni Venti, soprattutto giovanile, la quale diede alle varie formazioni un altissimo numero di militanti impegnati solamente nella lotta politica.
Tuttavia il medesimo contesto sociale e l’uso di un linguaggio politico ed organizzativo che poteva essere simile, non implica una simmetria: la distinzione fra reazione e rivoluzione fu allora più che mai ben chiara, perché assolutamente divergenti erano gli obiettivi dei gruppi che si contesero palmo a palmo le grandi capitali europee. Gentili, a conferma di uno schema di lettura all’insegna della labilità dei confini, segnala come momento di svolta nella lotta antifascista il fatto che le varie formazioni di difesa operaia assunsero strumenti propagandistici simili a quello dell’avversario. In Italia, ad esempio,

all’avanzata del moto squadrista si contrapposero nel biennio 1921-22 [..] gli Arditi del Popolo, di matrice combattentistica, [di cui] già il nome richiamava l’esperienza dei Reparti d’assalto dell’esercito regio. Gli Arditi corredarono un’incombenza, quella della contrapposizione in armi alla dirompente marcia paramilitare fascista, di liturgie e simboli provenienti dall’esperienza bellica. Teschi, allori, pugnali e gagliardetti neri si sovrapponevano alla tradizionale iconografia operaia accompagnandosi a una fraseologia che esaltava il mito vitalistico dell’azione fino al suo apparentemente paradossale, corollario: la morte onorevole in battaglia.

Stesso discorso vale per la descrizione dei cambiamenti avvenuti in Germania, in cui fra l’altro non lesina sull’utilizzo di un linguaggio ambiguo, provocatorio e vagamente sessista:

sotto la bandiera del Dreipfeile (le tre frecce[1]), i giovani aderenti alle Schufos si impegnavano a combattere i seguaci della svastica: a un simbolo d’impatto facilmente riproducibile, la svastica, spregiativamente apostrofata come un simbolo omosessuale indiano, se ne contrapponeva un altro efficace[...]. Ai proclami verbosi, fino ad allora marchio di fabbrica della Spd, si sostituirono slogan diretti chiari e coincisi, anche la propaganda murale si fece più maschia (sic!)[...]. Grande sforzo impegnò la Reichsbanner nel contendere la gioventù alle più dinamiche e spregiudicate compagnie nazista e comunista, attraverso una precisa ginnastica rivoluzionaria fatta di adunate, dialoghi mistico emotivi tra leader e folle – anche qui ritorna l’imprinting dannunziano – incursioni nei bastioni ritenuti sicuri dal nemico. Tutto questo finiva necessariamente per porsi al di fuori delle tradizioni antimilitariste, pragmatiche e razionali della Spd.

Ciò che però l’autore dimentica, in quello che sembra un costante occhieggio ad una considerazione positiva di certe modalità politiche militariste e maciste, è che questi caratteri dall’autore legati all’originalità di queste destre sono in realtà frutto di una riflessione fatta dai partiti nazifascisti sulle modalità organizzative e le aspirazioni programmatiche di massa dei partiti socialisti, aspetto che li portò a distinguersi nel panorama delle formazioni reazionarie proprio per aver fatto proprie.

Reichsbanner Swarz-Rot-Gold

Reichsbanner Schwarz-Rot-Gold

Leggendo l’antifascismo secondo la prospettiva della lotta di strada e dell’uso di un linguaggio politico e simbolico comune (fraseologia, comportamenti e “divise”) Gentili arriva a descrivere un percorso dell’antifascismo che dagli anni Venti arriva direttamente agli Ottanta con l’esplodere dei conflitti nella galassia skinhead, in cui si contrapposero giovani allo stesso modo abbigliati provenienti tutti dalla classe operaia.
Ma nel frattempo cosa è successo?
L’antifascismo, pur con caratteri che poco hanno a che vedere con l’analisi di Gentili, è stato ampiamente protagonista della politica europea dalla fine della seconda guerra mondiale: da ideale ispiratore della stesura delle nuove costituzioni europee, negli anni Sessanta-Settanta è diventato motore di una conflittualità rilevante e spesso molto violenta, che almeno in Italia segnò profondamente la storia della Repubblica. Ma di ciò nel testo non si trova traccia.

Un libro quindi da prendere con le pinze, ma che deve essere letto, approfondito e, naturalmente, discusso.

Note   (↵ returns to text)
  1. Le “Tre frecce”, simbolo che larga fortuna trovò nella galassia antifascista, furono ideate dall’ideologo russo Chaotkin, colui che fra l’altro sancì la pratica del saluto a pugno chiuso. Su questo particolare personaggio e sul altri personaggi del socialismo europeo che allo stesso modo si confrontarono con la questione della propaganda politica, Gentili dedica particolare attenzione.

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