Alessandro Puglisi 10 maggio 2013
Antigoni ce ne sono tante, oggi, in questi nostri tempi grami. Così come tante sono le “illacrimate sepolture” subite giocoforza e impietosamente fatte salire agli onori della cronaca. Sembra essere questa, l’acquisizione suggerita dalla rilettura che Valeria Parrella ha operato della tragedia sofoclea, in una coraggiosa, quanto pericolosa, attualizzazione verso la bruciante e dolorosa tematica del fine-vita. A portarla in scena, in un tour che ha toccato anche il Teatro Stabile di Catania, dal 23 aprile al 5 maggio, il regista napoletano Luca De Fusco. Nella scenografia fredda, claustrofobica, introiettante, di Maurizio Balò, Antigone (Gaia Aprea), con autentico spirito di impegnatissimo, e fortemente contemporaneo, détournement, si trasforma in una sorella che non sopporta più la sofferenza, l’inazione, l’immobilità del fratello Polinice, mantenuto in vita da una macchina da ben tredici anni, dopo un incidente. Creonte (Paolo Serra) diventa invece un Legislatore, proprio con l’iniziale maiuscola, che, attraverso il Guardiano (Alfonso Postiglione), figura grottesca, quasi da avanspettacolo, impedisce, per decreto, con protervia e cieca e crudele ostinazione, di “staccare la spina”. Tuttavia, come già nell’archetipo, la riaffermazione di sé, l’autodeterminazione che Antigone mette in campo, innescano il dramma e riconfigurano i rapporti di forza tra i personaggi. Il testo della Parrella fornirebbe, in teoria, un ottimo spunto alla regia di De Fusco, per la costruzione di un’azione drammatica facente sicuro perno sulla parola e sul suo potere. In questo senso, centrale è lo stratagemma, suggestivo e funzionale, almeno per la prima metà dello spettacolo, di una sottile rete trasparente, tesa dinanzi alla scena, sulla quale vengono proiettati i volti degli attori nel contesto di alcuni passaggi-chiave. Tra questi, l’importante “confessione” di Antigone in apertura, ma anche l’asprissimo confronto tra la stessa Antigone e il Legislatore; il richiamo cinematografico è immediato, ma non scontato, sebbene manchi la piena coerenza dell’utilizzo dell’espediente “visuale” come costante rappresentativa.
La regia di De Fusco sa dunque di non compiuto: l’algida bravura di Gaia Aprea, chiusa in una gestualità compressa e trattenuta, con per contro, un’articolatissima mimica, non viene sfruttata fino in fondo, come sarebbe stato preferibile, e com’è avvenuto più di una volta, in passato, anche con lo stesso De Fusco come regista, per esempio ne La trilogia della villeggiatura o in Peccato che sia una sgualdrina; il gioco di piani sovrapposti, perciò, rimane pregevolmente in piedi almeno finché non si entra nel vivo del dramma. Quando ci si addentra nella carne viva dell’opera, peraltro in concomitanza con lo scivolamento della base testuale in un manierismo inappropriato, quando non sgradevole, purtroppo la “narrazione” si sfilaccia e la tensione si allenta. In questo senso, anche considerando le interpretazioni degli attori, e tirando le opportune somme, è da chiedersi, sempre che un discrimine preciso possa essere individuato, e in verità non lo crediamo, dove finiscano i limiti dello scritto di Valeria Parrella e dove inizino, per contro, quelli della messa in scena. A stilare, e verificare, una immaginaria checklist degli elementi di codice dello spettacolo, sembra esserci tutto o quasi, spazio, musica, attori, visualità, e ciò nonostante si deve constatare, in questa attualizzazione, lecita ma, come si diceva poco sopra, rischiosa, la perdita della configurazione originaria della tragedia, in favore delle istanze di un disinnescato e compassato dramma a tesi. Non che non si possa, e anzi si dovrebbe farlo ancora di più, parlare di tematiche come quella che si affronta in questo Antigone; è solo che ci vorrebbe la leggerezza del Denys Arcand de Le invasioni barbariche, e l’incisività di Alejandro Amenábar in Mare dentro. Paragoni azzardati? Di certo. Non meno, però, di una rilettura che intacca nella sostanza il mito, ma senza portare a termine la sua missione, a quel punto quasi una obbligatoria vocazione, di destrutturazione e distruzione.
Gli scatti inseriti nell’articolo sono stati gentilmente concessi dal Teatro Stabile di Catania
Antigone
di Valeria Parrella
Regia: Luca De Fusco – Scene: Maurizio Balò – Costumi: Zaira de Vincentiis – Disegno luci: Gigi Saccomandi – Musiche originali: Ran Bagno
con Gaia Aprea, Anita Bartolucci, Fabrizio Nevola, Giacinto Palmarini, Alfonso Postiglione, Nunzia Schiano, Paolo Serra, Dalal Suleiman
Produzione: Teatro Stabile di Napoli – Fondazione Campania dei Festival
Catania, Teatro Ambasciatori, dal 23 aprile al 5 maggio 2013