Anna Maria Cantarella 3 giugno 2013
Vale la pena rileggere l’Antigone di Sofocle. Vale la pena confrontarsi ancora con un testo che, sebbene sia stato rappresentato per la prima volta nel 442 a.C, non smette di parlare alla coscienza e, perché no, anche al cuore. Sulla scena del Teatro Greco di Siracusa l’allestimento è imponente seppure essenziale. Le alte mura di Tebe sovrastano i protagonisti. Al centro un grande portone e porte divelte e incrociate, macchiate di sangue, a formare una scala. Da un antro scavato nel pavimento emerge l’ombra di Giocasta, il cui prologo – tratto da Le fenicie di Euripide per scelta della regista Cristina Pezzoli – spiega al pubblico l’antefatto della tragedia: la dolorosa storia di Edipo e dei suoi figli, Eteocle e Polinice, che si scontrano davanti alle porte di Tebe per chi deve mantenere il governo della città e periscono entrambi. A partire da qui, sulla scena si susseguono i dialoghi a due, o per meglio dire gli scontri verbali tipici delle tragedie di Sofocle, all’interno dei quali si possono leggere le ragioni di un contrasto insanabile che porterà l’eroina protagonista alla morte: il contrasto tra le leggi dello Stato e le leggi divine non scritte, che sono anche morali. Creonte ha stabilito con un editto che Polinice, nemico di Tebe, non riceva degna sepoltura. Antigone non può accettare l’imposizione perché contravviene alle sue leggi morali, quelle leggi imposte dagli dei, antiche e immutate, che la obbligano ad onorare il cadavere del fratello anche se il prezzo da pagare sarà la morte.
Lo spettacolo procede (quasi) senza intoppi fino alla fine nonostante l’attenzione degli spettatori sia spesso distolta dalla protagonista Antigone (Ilenia Maccarrone) e attirata da altri e più coinvolgenti personaggi, come Creonte (Maurizio Donadoni) e Tiresia (Isa Danieli). A Ilenia Maccarrone manca il pàthos, la profondità e l’intensità, nonostante i suoi gesti scenici siano adeguati alla definizione di un’Antigone sensibile ma cocciuta. Un filo di emozione le fa tremare la voce e ogni tanto qualche parola sfugge alla dizione, si inceppa, e la ripetizione inevitabilmente smorza l’onda emotiva. Più policroma è la recitazione di Maurizio Donadoni, che interpreta un Creonte testardo e inflessibile come vuole il testo di Sofocle ma riesce a passare agevolmente dai toni del despota, a quelli della persuasione e infine del ripensamento e del pentimento. La scelta di affidare il ruolo dell’ombra di Giocasta a Natalia Magni, attrice sicura, altera e fortemente coinvolgente, si è rivelata appropriata.
Il suo personaggio di apertura fornisce un appiglio al pubblico che in questo modo può inquadrare la storia di Antigone all’interno delle complesse trame del mito greco e si pone come trait d’union tra il dolore della madre che assiste tristemente allo scontro tra due figli, ugualmente amati, e il dolore della sorella, che vuole dare sepoltura a entrambi i suoi fratelli che ama allo stesso modo. Il perché questo amore debba necessariamente condurre a un gesto estremo lo spiega la stessa Antigone: «io sono nata per l’amore, non per l’odio» e così comprendiamo che per la protagonista seguire le leggi divine non scritte, le leggi della coscienza, significa in fondo seguire le leggi dettate dall’amore. La traduzione del testo greco è quella di Anna Beltrametti, che privilegia un linguaggio colloquiale dai toni dimessi, utile ad avvicinare lo spettatore alla lettura che la regista Cristina Pezzoli vuole fare della tragedia: non più il luogo di uno scontro insanabile ma la fusione tra le ragioni dei protagonisti, ognuno dei quali porta avanti la sua verità.
Una timida perplessità possiamo esporre riguardo al personaggio della Guardia di Gianluca Gobbi, la cui recitazione enfatica strappa qualche risata al pubblico, forse inappropriata. L’indulgere sul macchiettismo del povero messaggero incolpevole, sorteggiato per dare brutte notizie al re, ci sembra possa confondere un po’ l’atmosfera del dramma e farlo scadere nel comico più banale. Ci saremmo aspettati qualcosa di più anche dalle musiche del jazzista Stefano Bollani che, seppure adeguate nel ritmo, fortemente percussive quando è necessario accentuare i toni, a tratti sono poco incisive e costringono il Coro ad un canto in sincrono che risulta difficile da mantenere intatto fino alla fine. Resta però la magnificenza di un testo appassionante che, lo ripetiamo, vale la pena rileggere per molti motivi: perché ancora oggi ci parla del coraggio di chi contesta le scelte del potere, che sempre più spesso sono lontane dalla morale di ognuno; perché seguire la propria coscienza può talvolta significare trasgredire a certe regole imposte dalla società e battersi per cambiarle; perché forse dovremmo imparare a disobbedire ogni tanto, per non essere freddamente schiavi delle imposizioni che non ci rappresentano, perché solo così la disobbedienza diventa una virtù.
Fotografie di Luca Coppola
XLIX Ciclo di Rappresentazioni Classiche
Teatro Greco di Siracusa
11 maggio / 23 giugno 2013
Antigone
di Sofocle
Traduzione: Anna Beltrametti
Regia: Cristina Pezzoli
Istituto Nazionale del Dramma Antico – Fondazione onlus
www.indafondazione.org