Qui di seguito il resoconto dell’evento che si è svolto lo scorso sabato ed ha avuto luogo nella città di Milano. Una conferenza dei “seminari di Eurasia” dedicata all’identità nazionale della Corea socialista, nel quale si è colta l’occasione per presentare il nuovo libro di Alessandro Lattanzio, pubblicato dalle “Edizioni all’insegna del Veltro” sulla dottrina del Songun.
Grande successo di pubblico per il Seminario di Eurasia dedicato alla Repubblica Popolare Democratica di Corea svoltosi sabato 21 gennaio a Milano: all’evento, organizzato in collaborazione con l’ambasciata della RPD di Corea e la sezione italiana della Korean Friendship Association, purtroppo non hanno potuto partecipare Sua Eccellenza Han Tae Song, ambasciatore della RPD di Corea, né Ro Kum Su, segretario dell’ambasciata della RPD di Corea, bloccati all’ultimo momento a Roma da improvvisi impegni istituzionali.Claudio Mutti, direttore di “Eurasia. Rivista di studi geopolitici”, ha introdotto il convegno ricordando come la Corea sia un paese interessantissimo per gli studiosi di geopolitica, trovandosi in mezzo alle pressioni di tre potenze del calibro della Russia, della Cina e del Giappone, sicché è stato uno dei fronti caldi della Guerra fredda, tanto da restare diviso, come la Germania ed il Vietnam, in due porzioni, l’una controllata dagli statunitensi, l’altra legata a Mosca e Pechino. Ancor oggi, però, Washington tiene sotto tiro Pyongyang, tanto che nel 2002 il Presidente Bush giunse a definirla “l’avamposto della tirannide” ed i media calibrano i propri servizi su questa falsariga, contribuendo ad una demonizzazione costante agli occhi dell’opinione pubblica.
È stata perciò opportuna e preziosa l’ampia relazione tenuta da Flavio Pettinari, responsabile della KFA Italia: con il supporto di alcuni video e facendo riferimento alla propria esperienza diretta della quotidianità coreana, Pettinari ha saputo fornire al pubblico una valida testimonianza alternativa.
Innanzitutto è stata presentata la filosofia Juché che è alla base del sistema politico coreano (questo termine sostanzialmente significa “uomo artefice della natura”), il quale ha vissuto, dopo la guerra 1950-’53, il suo periodo più difficile negli anni Novanta del secolo scorso, in cui venne a mancare la figura carismatica di Kim Il Sung, artefice dell’indipendenza della penisola dall’occupazione giapponese e leader della lotta contro gli statunitensi ed i loro alleati, gran parte dei Paesi comunisti con cui vi erano ottime relazioni politiche e commerciali crollarono e si scatenarono disastri naturali che causarono una grave carestia. Pyongyang, dopo essersi sollevata dai terrificanti bombardamenti americani, era riuscita a conseguire l’autosufficienza alimentare e per sollevarsi da questa nuova crisi predispose un vasto progetto di recupero di terreni all’agricoltura: in un territorio prevalentemente montuoso, riuscì l’impresa di creare nuove coltivazioni di riso su cui fare affidamento per il sostentamento della popolazione. Al termine di questa “ardua marcia” (con riferimento alla gravosa ritirata compiuta dai guerriglieri coreani verso la Manciuria incalzati dalle armate giapponesi), Kim Jong Il vide consacrato il suo ruolo come nuovo leader della nazione e poté avviare il suo programma di governo che portò sì all’acquisizione di armamenti nucleari in funzione di deterrenza contro aggressioni da parte di potenze straniere o di tentativi di destabilizzazione, ma anche si cercò di sviluppare un modello economico originale, legato alla cultura e alla specificità coreana e senza influenze straniere, partendo dal quale si potesse anche rilanciare il dialogo con Seul auspicando la riunificazione della penisola.
Torndando ai tempi della lotta per liberarsi dall’occupazione coloniale nipponica, è stato evidenziato il ruolo di Kim Il Sung, postosi a capo di un gruppo di giovani rimasti delusi dall’esperienza del neonato Partito Comunista Coreano, il quale cercava di conformarsi al modello sovietico senza curare l’aderenza al contesto locale. Cercando di configurare una via coreana al socialismo, nacque innanzitutto la simbiosi fra partito ed esercito, poiché si predispose che nei centri decisionali militari vi fosse sempre una cellula del Partito del Lavoro, nato dalla fusione tra il disciolto Partito Comunista ed un Partito Democratico che aveva aderito non in ossequio alla dialettica capitale-lavoro, bensì condividendo l’analisi leninista riguardo la nazione e la lotta al colonialismo. Riconquistata l’indipendenza e affrontata l’aggressione atlantista, la RPD di Corea dovette destreggiarsi tra i suoi due ingombranti vicini ed alleati, la Cina (un figlio di Mao era morto combattendo tra i volontari accorsi a supporto dell’esercito di Pyongyang) e l’URSS, della quale non venne apprezzato il nuovo corso accentratore impresso da Krusciov. Nel 1955 venne perciò finalmente esposta la teoria Juché, condannando contestualmente il dogmatismo ed il formalismo in voga al Cremlino ed affidandosi altresì ad una dottrina originale e coerente con la realtà coreana: pur ripudiando il riformismo kruscioviano, si badò bene di non cadere nel frazionismo. Considerando, infatti, prioritario l’impegno per l’unità del campo socialista ed anti-imperialista e giungendo pertanto a proporre una sorta di multipolarismo nel campo del Cominform, in modo da garantire le peculiarità anche dei membri più piccoli, il punto di riferimento poteva semmai essere lo Stalin che a partire dagli anni Trenta riscoprì la storia e le glorie patrie della Russia. Lo Juché si esplica in quattro settori: ideologico (ogni Paese ha la sua rivoluzione e sa come portarla avanti, l’importante è poi la cooperazione internazionale), politico (opposizione a qualsiasi ingerenza straniera), economico (conquistare l’autosufficienza) e militare (difendere la propria sovranità).
Riguardo quest’ultimo punto, importantissimo è il Songun (che significa “esercito al centro”), cioè il riconoscimento del ruolo guida delle forze armate nel conseguimento della vittoria rivoluzionaria e nella difesa delle sue conquiste: durante la crisi degli anni Novanta i soldati si adoperarono per convertire terreni in risaie ed assunsero anche altri compiti che ne garantirono il ruolo guida al posto della classe lavoratrice (protezione civile, gestione delle foreste, realizzazione di dighe e centrali idroelettriche), ma senza degenerare in uno stato di polizia. Nel sistema coreano inoltre sussistono diversi gruppi politici (Partito del Lavoro, Partito Socialdemocratico e Partito Chondu, di matrice religiosa), è consentita la libertà di culto ed esiste una suddivisione dei poteri tra la Commissione Nazionale di Difesa (ove il comandante in capo delle forze armate è la figura carismatica), il Presidente del Praesidium dell’Assemblea Popolare Suprema ed il Presidente del Consiglio. Con riferimento alle illazioni della stampa occidentale in occasione della morte di Kim Jong Il, Pettinari ha, infine, ricordato come il “caro leader” abbia guidato il Paese nei difficili anni Novanta ed abbia conquistato vasta e sincera popolarità vistando il Paese in lungo e in largo per tutto il periodo in cui fu al vertice del processo decisionale coreano: oggi la successione di Kim Jong Un è giunta dopo una gavetta nelle fila dell’esercito e s’inserisce nella programmazione finalizzata ad evitare i problemi successori che si manifestarono ad esempio a Mosca alla morte di Stalin.
E di Songun ha parlato pure Marco Bagozzi, collaboratore di Eurasia, presentando il nuovo libro di Alessandro Lattanzio “Songun. Antimperialismo e identità nazionale nella Corea Socialista” (Edizioni All’insegna del Veltro), di cui ha scritto la prefazione. Lattanzio, redattore di Eurasia ed esperto di questioni militari e strategiche che ha affrontato anche nelle sue precedenti opere, stavolta ha scritto un corposo volume ricco di informazioni militari, diplomatiche e strategiche, sottoponendo ad un attento vaglio critico le spesso faziose fonti occidentali ed ha illustrato come il concetto di Songun s’incastri alla perfezione nelle filosofia Juché. Basti pensare a quali sono le tre priorità del Songun: la difesa della sovranità nazionale, il rafforzamento dell’esercito e la centralità dello Stato. La questione nazionale, in effetti, ha sempre avuto un ruolo importante nell’analisi marxista, in particolare nelle riflessioni e nella prassi di Mao e di Ho Chi Minh, ma sarà proprio Kim Il Sung a fornirne la teorizzazione più completa. Geloso pertanto della propria indipendenza, quello che è stato sovente chiamato, con un retaggio colonialista, “il Paese eremita”, come attore internazionale gode oggi di ottimi rapporti con la Cina, apprezzabili con la Russia e solidi con l’Iran fin dai tempi della guerra con l’Iraq negli anni Ottanta del secolo scorso ed il suo popolo è compatto nel resistere ai tentativi di destabilizzazione che provengono dagli Stati Uniti d’America.
Bagozzi ha colto l’occasione per presentare anche la sua opera Con lo spirito Chollima. 55 anni di calcio della Repubblica Popolare Democratica di Corea: Chollima è un cavallo della mitologia coreana capace di compiere balzi prodigiosi ed è stato il simbolo dell’impegno profuso nella gravosa ricostruzione del dopoguerra. Coltivando una passione nata in concomitanza con la partecipazione della nazionale coreana ai Campionati Mondiali di Calcio del 2010 in Sudafrica, l’autore ha non solo fornito preziosi dati statistici per gli appassionati del calcio, ma ha anche smontato notizie prive di fondamento fatte circolare dalla stampa occidentale in merito alle sorti dei calciatori coreani reduci dalla poco confortante prestazione sudafricana ed altri luoghi comuni che, partendo dalla dimensione sportiva, puntavano a contribuire all’opera di demonizzazione mediatica da anni indirizzata contro Pyongyang.
*Lorenzo Salimbeni è redattore di Eurasia
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