Entro all’interno del complesso e superata la scalinata risalgo “la strada dei leoni”, dove alcuni giardinieri estirpano ogni piccola erbaccia fuori posto e sistemano ogni piccola mattonella scheggiata, come se fossero artisti alle prese con una loro creazione. Alla fine del viale eccomi nella “piazza delle cerimonie”, capace di contenere oltre 15.000 persone nelle cerimonie ufficiali, sormontata da un enorme bandiera rossa con la mezzaluna che alcuni addetti orientano in caso di necessità in modo che sventoli quasi in continuazione. Ci sono molti turisti, ma il grosso dei visitatori è composto soprattutto da turchi, di tutte le età e condizioni, famiglie e scolaresche con le loro divise inconfondibili, comitive di vario tipo, uomini d’affari in giacca e cravatta, donne vestite “all’occidentale” e donne che indossano turban colorati, ma il tono della voce di questa umanità molto varia è generalmente basso, quando poi si assiste al cambio della guardia tutti osservano i soldati in un silenzio religioso, interrotto solo dagli ordini che l’ufficiale urla ai sottoposti.
Su un lato della piazza vi è una piccola tomba con una targa che ci ricorda come lì riposi Ismet İnönü, il successore di Atatürk alla presidenza della Turchia, mentre sul lato opposto vi è invece l’imponente costruzione simile ad un tempio greco e che ospita il catafalco di granito che simboleggia la tomba di Atatürk, le cui spoglie mortali sono invece esattamente qualche metro più sotto, nella “stanza della tomba” all’interno del museo dedicato al Gazi e alla guerra d’indipendenza che occupa molti spazi coperti di questa cittadella. Entro dentro il mausoleo dove nessuno fiata, come dovrebbe essere normale in una chiesa o moschea, e come capita anche in questo imponente tempio “laico” dedicato ad un personaggio che nel bene e nel male ha segnato la storia della Turchia moderna. Ho letto da qualche parte che nelle cerimonie ufficiali i vari ministri ed alti funzionari che si avvicinano al granito per rendere l’omaggio ad Atatürk, una volta deposta la corona di fiori si ritirano verso il percorso d’uscita senza dare subito le spalle al monumento, guardando bene mi accorgo che lo fanno anche molti visitatori, non penso proprio che sia un obbligo, visto che ovunque ti giri trovi il personale addetto che nella sua impeccabile divisa e con toni molto gentili ma fermi ti dice se una cosa è consentita o meno, è una forma di rispetto verso un uomo che è considerato uno dei più grandi tra gli uomini.
La successiva visita al museo è molto istruttiva al riguardo, attraverso varie sale dove è vietato scattare foto e filmati, vengo introdotto a quello che è un vero e proprio culto della persona e delle sue eroiche imprese: statue di cera, vestiti ed oggetti personali, pannelli e quadri, fino alle ricostruzioni molto efficaci, con tanto di manichini e rumori di guerra in sottofondo, di alcune sue imprese militari. Procedo attraverso le varie stazioni di questo “pellegrinaggio laico” con lo sguardo sereno di Atatürk che non mi molla un attimo, fino ad arrivare ad un lungo corridoio dove vi sono i ritratti e le storie di molti suoi compagni di lotta ed eroi della guerra d’indipendenza, di alcuni so per certo che finita la guerra entrarono in disaccordo col “Gazi” e vennero esautorati dai loro incarichi, ma nei pannelli esplicativi figure non vi è traccia dei dissidi o dissapori, tutti hanno lavorato insieme ad Atatürk ed appoggiato le sue riforme, a cui è dedicata un’altra ala del museo che illustra l’abolizione del califfato, laicizzazione dello Stato, riconoscimento legislativo della parità dei sessi, suffragio universale, sebbene con l’istituzione di un regime autoritario fondato sul partito unico, l’adozione dell’alfabeto latino e del calendario gregoriano, la proibizione del fez per gli uomini e la politica dissuasiva verso il velo per le donne, riforme che hanno fatto uscire la Turchia “da un passato di decadenza per proiettarla verso la modernità ed il futuro”.
All’uscita del museo nel book shop c’è una vasta selezione di libri, stampe, dvd che esaltano la figura e l’opera di Atatürk, trascurando i lati non proprio positivi di quello che ai nostri occhi resta pur sempre un regime autoritario, assolutamente non paragonabile ai crimini ed eccessi dei contemporanei Hitler e Stalin, ma che non vedeva certo di buon occhio le opposizioni e le critiche alla sua politica laicista e assimilazionista che portò a negare e reprimere le specificità di curdi ed alevi. Tuttora le offese alla sua persona sono punite dalla legge, le critiche no, ma il confine tra offesa e critica negli anni è stato molto labile. Al di là del culto ufficiale, vasti settori della società turca hanno sempre nutrito una grandissima ammirazione per Atatürk: dall’estrema sinistra (verso l’Atatürk rivoluzionario anti-imperialista) all’estrema destra (verso l’Atatürk nazionalista anti-comunista), per non parlare poi di quasi tutti i grandi leader progressisti e nazionalisti del terzo mondo, da Nehru a Nasser.
La visita è finita, mi incammino e lungo il tragitto verso l’uscita mi fermo ai bagni pubblici per rinfrescarmi un po’: tutto è lindo ed ordinato, con l’acqua che scorre da una fontana a ricordarti che questo non è un posto qualunque, come anche il guardiano che si avvicina ad una anziana turista tedesca che si è accesa una sigaretta e la invita a spegnerla subito perché anche se siamo ad almeno duecento metri dalla cittadella dove riposano le spoglie del Gazi, il divieto di fumare vale anche lì, oltre che in quasi tutta l’area. Dopo cena faccio una passeggiata nei dintorni del mio albergo, che non è propriamente in una zona centrale o turistica di Ankara, mi fermo in un bar vicino all’albergo pieno di uomini direi dai 35-40 anni in su che bevono birra o raki guardando una partita di calcio in tv, sono l’unico non turco presente ma la proverbiale ospitalità turca non mi fa sentire a disagio, quando anzi comincio a starnutire il padrone del locale, tarchiato e di mezza età, mi si avvicina e mi dà salviette e una bottiglietta con un liquido dall’odor di limone che a gesti mi mostra come usare per alleviare il mio problema, che presto si risolve.
Guardo la partita, bevo raki e mangio frutta, prima di andarmene vado alla toilette e passo vicino ad una saletta vuota e con le luci spente, le cui pareti sono interamente ricoperte di quadri e foto di Atatürk, mi fermo ad osservare il tutto e quando il padrone mi si avvicina per chiedermi se ho bisogno di qualcosa gli dico che ho appena visitato Anıtkabir: immancabile sorriso e soddisfazione del mio interlocutore che insiste per accendere tutte le luci della sala in modo da farmi vedere bene tutto quanto e scattare foto, ennesima dimostrazione che per i turchi Atatürk è veramente qualcosa che sentono come parte di sè e di cui essere fieri. In conclusione di questa mia visita ad Anıtkabir, Mustafa Kemal Atatürk per me resta una grande figura che ha segnato come poche la storia di un Paese e la vita di popolo, che a quasi 74 anni dalla morte è ancora oggetto di una sincera devozione popolare oltre che di un vero e proprio “culto della personalità”, un grande statista con le sue luci e le sue ombre, di cui i turchi finora hanno conosciuto solamente i grandi meriti, e di cui adesso dovrebbero cominciare a conoscere anche le ombre e a poterne discutere liberamente. La nuova Turchia del miracolo economico, lanciata verso una nuova costituzione ed una piena democratizzazione della vita politica, iniziata grazie alle riforme del governo islamico moderato dell’AKP, a mio parere per rompere veramente col suo passato autoritario non può rinviare troppo a lungo neanche questo importante passo.