Magazine Lavoro
Mi scrive Antonietta: è saltato il mio contratto, sia pure precario. Aveva sperato che con la tanto decantata «riforma» si aprissero nuove porte per un futuro meno ansioso. Non è andata così. La porta di quello che la Cgil ha chiamato un «labirinto», si è chiusa. La scelta è presa perché le nuove regole contro quella che chiamano «flessibilità cattiva» pongono dei paletti sull’uso dei contratti flessibili.
Non possono durare a vita, ha sostenuto la ministra Fornero giustamente. Ma non ha indicato, magari discutendo, magari «concertando» il da farsi con i rappresentanti del mondo del lavoro, sindacati e imprenditori. Non ha avuto sentore della realtà, cioè dei rischi che si correvano, se non si prendevano altre misure che aiutassero la stabilizzazione del lavoratore «scaduto» o perlomeno una protezione sociale adeguata in termini di tutele economiche e non solo (formative magari per aumentare le possibilità di nuovi impieghi). È il rischio, anzi il fossato, in cui è caduta Antonietta. Ora sola e senza lavoro.
Un’esperienza desolante che dovrebbe essere corretta perché le Antoniette sono una moltitudine. E a me torna in mente quanto avvenne anche col centrosinistra, con tanti, a sinistra, che rivendicavano la cancellazione pura e semplice della legge 30 (quella che diede origine a 40 diverse forme contrattuali) senza indicare le contemporanee misure capaci di impedire la trasformazione dei contratti brevi in contratti nulli. Fu il ministro Damiano, a quell’epoca, a cercare soluzioni intermedie.
Ora siamo al punto che un ministro di quel centrodestra che ha devastato il campo del lavoro, Giulio Tremonti, parla inorridito di come «’un milione di persone nei prossimi mesi rischiano di rimanere senza lavoro perché non si vedranno rinnovare il contratto a termine».
E un altro autorevole commentatore del centrodestra Giuliano Cazzola osserva: «Il timore diffuso è che molti datori interrompano i rapporti di collaborazione con effetto immediato, evitino di rinnovare quelli scaduti, in attesa di comprendere quali siano le conseguenze effettive dei cambiamenti…».
C’è poi il caso di una categoria, quella degli stagionali. Qui in trecentomila, denuncia la Cgil, a contratto scaduto non avranno più un reddito. Niente indennità di disoccupazione e la cosiddetta mini Aspi, solo nel 2013. Un anno senza una lira.
C’è già chi, come il Corriere della Sera fa un primo bilancio citando una serie di casi: la Rai, l’Aspen Institute Italia, le compagnie aeree, dove si pongono questi nuovi problemi al popolo dei precari. Certo talvolta si è trovato un rimedio con accordi sindacali. Come alla Golden Lady, al Credito valtellinese.
Sarebbe utile, però, che la proposta della Cgil («Questa legge va cambiata») trovasse un coinvolgimento unitario. Con la consapevolezza che lo stesso problema della crescita, della produttività, della democrazia economica, oggetto di prossimi incontri, ha bisogno di essere sostenuto da un mondo del lavoro aperto alla fiducia.
http://ugolini.blogspot.com
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