Firenze
D’autunno, qualche anno dopo, avevamo convegno a Firenze ; ma in ogni stagione lo spirito di Firenze è vigile in un’acerbezza di primavera primaticcia.
Agrezza è quella fiorentina che perchè s’incide e non eccede simula un grazioso riserbo d’arbusto che stia per fiorire, e non si manifesta in asperità.
Ma ogni fiorentino si tien le braccia strette ai suoi panni e con un occhio ti fissa attento, e distratto al tempo stesso : ti par certo distratto se tu pensi debba esser tu prossimo suo l’oggetto unico della sua attenzione; e la sua attenzione del resto par distratta perch’egli è attento non tutto a sé, ma più alla casa sua che testé ha lasciato, ai figli che crescono e mangiano, al cassetto ove tiene il suo danaro, al tavolo e al cassetto ove scrive e chiude i suoi scartafacci.
Chiacchiera come più non si potrebbe, ma in quel che dice conserva la più grande misura : tace un po’ di quel che a te stima non possa interessare : tace sempre di quel che a lui direttamente non offra il maggiore interesse.
Non si stordiscono di parole e non si fanno, oh già ! stordire.
Quanto da apprendere per noi, Beniamino. E noi che avevamo già trovato espressa la nostra attonita vita in quei santoni di pietra che in certe chiese barocche di Roma fanno custodia di qua e di là d’ogni porta, e dalle loro nicchie aprono libri immensi cogli occhi, però, voltati alle nuvole, coi libri però che sdrucciolano loro dal ginocchio perché una mano li va sfogliando con ampi gesti di lasciandare senza che l’altra ve li tenga poggiati con forza : ora avevamo riveduto dalle nicchie d’Orsammichele tutta quell’altra gente di bronzo che par fissare le faccie dei passanti con un’accanita petulanza e come con una fitta voglia di scendere ad agire: e tutti guardinghi! quando dietro le spalle dei santoni romani salgono i monelli a rincorrersi. Era bene, Beniamino, tenerci per mano.
Infine fra tanta gente avveduta e contenuta s’ incontrò Cardarelli, ch’era nella sua piena accensione profetica e come aveva più dubbi su di sé era più clamoroso e divideva con più grandi levate di braccio il vano accorto e silenzioso delle piazze fiorentine. Si tirava dietro Sibilla, materna, nuziale e figliale.
( Antonio Baldini, brano tratto dal racconto “Acqua passata che macina ancora” contenuto nel libro “Umori di gioventù (1911-1915)” – Vallecchi Editore Firenze, 1920 )