“ I fatti si affermano con la loro ostinatezza”. Cosi Hannah Arendt nel suo libro “Verità e politica”. Una affermazione che il magistrato Antonio Ingroia, procuratore aggiunto di Palermo, porta con sè nei dibattiti, nelle interviste e nel suo libro scritto alcuni mesi fa (edito da Stampa Alternativa) sull’attualissimo tema delle intercettazioni dal titolo, C’era una volta l’intercettazione, quasi ad indicare una via, che al di là delle polemiche strumentali, è possibile seguire sempre: quella dei fatti. Pochi giorni dopo l’approvazione del cosiddetto “legittimo impedimento”, dopo la legge sul processo breve, il Disegno di legge sull’uso investigativo e giornalistico delle intercettazioni telefoniche. Con il magistrato Antonio Ingroia, abbiamo ricostruito i fatti e le informazioni mancanti su questo Ddl che sembra voler imbavagliare la stampa libera e mettere un freno alle indagini della magistratura.
Non sembrano esserci molti spazi di manovra per un cambiamento del Disegno di legge sulle intercettazioni soprattutto, come ha dichiarato ieri sera il ministro della Giustizia, Angelino Alfano “perché il Governo intende tutelare la privacy dei cittadini”. Non ci sono altri modi per garantire questa tutela senza privare gli investigatori di questo strumento prezioso?
Ci sono molti modi per farlo. Non nascondiamo che in passato ci sono stati problemi, violazioni del segreto investigativo, con danno agli indagati o a terzi coinvolti, ma di fronte a questa situazione è necessario trovare un punto di equilibrio che consenta da un lato di tutelare meglio le persone coinvolte in un’indagine ma dall’altra di garantire i cittadini e lo svolgimento delle indagini. Non si può in nome della tutela della privacy finire per cancellare lo strumento investigativo oggi più importante per contrastare i poteri criminali. Noi riteniamo che questo Disegno di legge non costituisca un punto di equilibrio perché tutela solo la privacy e non tutela la sicurezza dei cittadini.
Il rimedio per evitare ipotetici danni alla privacy degli indagati, c’è?
Si, c’è. Il rimedio è una più rigorosa tenuta del segreto sulle indagini attraverso meccanismi che ne garantiscano la tenuta del segreto. Il rimedio è un registro riservato sotto la tutela di un responsabile, che consenta di poter risalire all’origine della fuga di notizie. Il rimedio è inoltre una rigorosa disciplina che preveda la distruzione delle parti di intercettazioni irrilevanti, o che riguardano terzi non coinvolti nell’inchiesta. Bastava intervenire limitatamente a questo piano, sul quale interviene anche il ddl, soltanto che poi invece il disegno di legge, si è spinto molto oltre. Sono previsti infatti: forti restrizioni nell’uso delle intercettazioni, forti penalizzazioni al diritto di cronaca e libertà di stampa. Quello che è diretto al vaglio del Senato non è un disegno di legge sbilanciato soltanto verso la tutela della privacy. Una tutela a senso unico.
Se questi rimedi sono già contenuti nel Ddl perché il mondo della politica procede legiferando ulteriormente a danno di questo strumento?
Se vogliamo dare anche una valutazione, oltre quella giudiziaria, io temo che alcuni casi specifici in cui è stata violata la privacy, abbiano finito per costituire una occasione per dare un altro colpo all’azione della magistratura. Si trascina da anni, d’altronde, una sorta di “regolamento dei conti” della politica nei confronti della magistratura, dimenticando però che così non si punisce la magistratura, ma esclusivamente il diritto alla sicurezza di ogni cittadino.
Sulle indagini per reati di mafia che conseguenze avrà questo Ddl intecettazioni, se dovesse rimanere cosi com’è?
Molte conseguenze. Le indagini sulle organizzazioni criminali non nascono già con l’etichetta di “reati di mafia” è molto più frequente invece il contrario, cioè che nascano da inchieste che portano l’etichetta di “reati comuni”. Spesso questo passaggio è possibile soltanto grazie alle intercettazioni, che consentono di individuare questi reati di stampo mafioso a partire da reati ordinari. E’ quindi evidente che se, il disegno di legge dovesse rimanere così com’è, verrà vanificata la possibilità di fare di indagini sui reati comuni coinvolgendo pesantemente anche i procedimenti per mafia. In particolare sarà difficile individuare quella rete di “insospettabili” che sono in collegamento con i mafiosi. E’ accaduto molte volte, soprattutto nelle indagini su riciclaggio, investimenti finanziari e altri reati di questo genere che le intercettazioni fossero l’unico strumento possibile per rintracciare questi individui e i reati connessi.
Per poter raccontare questo e tanti altri aspetti dello strumento investigativo lei ha dovuto scrivere un libro (C’era una volta l’intercettazione) cosa non ha funzionato nel sistema dell’informazione, in particolare pubblica, nel racconto di questo sistema investigativo?
C’è stata una informazione a senso unico, dominata da luoghi comuni, spesso da “contro” informazione, polemiche politiche, da campagne di stampa indirizzate ad orientare l’opinione pubblica in modo favorevole a disegni di legge, come quello sulle intercettazioni. Una campagna stampa, orientata talvolta da falsità e menzogne, creata per far crescere soprattutto questa “paura delle intercettazioni”, far passare ai cittadini l’idea che le intercettazioni costituiscano una minaccia nei loro confronti e loro privacy, anziché una risorsa per la loro sicurezza. Così ho provato a sintetizzare in un libro, che certamente non può competere con l’unanimità (quasi) dei mass media, altri fatti; fatti oscurati che i cittadini non sono stati messi nella condizione di conoscere, sui costi reali delle intercettazioni, di gran lunga al di sotto delle cifre fornite dalla stampa e dalla politica, sui numeri effettivi degli utenti intercettati. Il numero di cittadini italiani intercettati, ad esempio, è più basso di molti altri paesi esteri, nel farlo ho provato anche a raccontare come il sistema italiano della giustizia sia di gran lunga più garantista di altri paesi europei. Tutti fatti che l’opinione pubblica non è stata in messa nelle condizioni di sapere. L’ho fatto soprattutto per cercare dare ai cittadini la possibilità di farsi una loro, indipendente, idea.
La Federazione nazionale della Stampa è pronta a dare battaglia se questo Disegno di legge dovesse essere approvato con queste limitazioni sul versante giudiziario o su quello del diritto di cronaca. In caso di approvazione come si procederà?
La magistratura ha preso posizione da subito contro questo Disegno di legge, in varie sedi. Lo ha fatto anche l’Associazione nazionale dei magistrati. Adesso saranno gli organi statutari della magistratura a decidere eventuali iniziative in caso di approvazione del Disegno di legge sulle intercettazioni.
Così mentre il Ddl sulle intercettazioni rimane al centro del dibattito politico in Parlamento, dall’analisi di Ingroia emerge anche il racconto di un sistema dell’informazione “ a servizio” di alcune scelte politiche, in luogo di altre. Una buona parte del mondo giornalistico ha contribuito, consapevolmente o meno, a far circolare un’idea sbagliata, imprecisa e non corrispondente ai fatti, del fondamentale strumento investigativo rappresentato dalle intercettazioni telefoniche. Come ricorda Ingroia nel suo libro: “La menzogna nuoce sempre agli altri: anche se non nuoce a un altro uomo, nuoce all’umanità in generale”. Immanuel Kant.
(Questo testo è stato pubblicato da Libera informazione)
C’era una volta l’intercettazione - La giustizia e le bufale della politica di Antonio Ingroia
Prefazione di Marco Travaglio
Collana Senza Finzione
180 pagine
ISBN: 978-88-6222-092-7