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Antonio Juvarra – Concepimento e immaginazione nel canto

Creato il 02 marzo 2016 da Gianguido Mussomeli @mozart200657

concert

Il consueto contributo mensile inviatomi da Antonio Juvarra è dedicato questa volta al concepimento del suono nel processo creativo che porta a dar vita alla parola cantata. Come sempre, le osservazioni del docente veronese sono interessanti e ricche di buon senso nella logica espositiva. Credo che i lettori potranno ricavarne diversi spunti di riflessione. Ringraziando come sempre il maestro Juvarra per la collaborazione, vi auguro una buona lettura.  

 CONCEPIMENTO E IMMAGINAZIONE NEL CANTO

    Hypotheses non fingo.

     Isaac Newton

Nel canto il concepimento del suono (cioè la sua naturale genesi per atto mentale istantaneo) va tenuto nettamente distinto non solo dalla fabbricazione razionale della forma dello spazio di risonanza (procedura meccanica che induce rigidità e determina un risuonatore fisso con conseguente risonanza forzata), ma anche dalle cosiddette ‘visualizzazioni mentali’.

Il concepimento-creazione del suono è infatti un atto mentale caratterizzato dall’ immediatezza, nel senso letterale che non si concilia con nessuna ‘mediazione’ razionale. Rientra in queste mediazioni razionali (le quali non sono altro che sovrastrutture esterne) l’ immaginare che il suono abbia una direzione, o in avanti (‘proiettare’ la voce) o all’ indietro (‘bere’ la voce) o in basso (‘affondare’ la voce), con o senza annessi ‘giri’.

Queste ‘visualizzazioni mentali’ non hanno nulla a che fare col concetto belcantistico del concepimento-creazione del suono quale risultato di una “previsione” (Mancini), di una “anticipazione mentale” (Lamperti), di un’ “intenzione” (Cotogni), ma si iscrivono nel novero di quelle immaginazioni soggettive, che costituiscono il folklore didattico-vocale.

Infatti, che il suono (sia nel suo aspetto di ‘vocale’, sia nel suo aspetto di ‘nota musicale’) venga creato da un atto mentale di concepimento mentale è un fatto reale (e basti pensare a come noi intoniamo una nota cantando o a come creiamo una vocale parlando), mentre che esso debba essere immaginato nella sua presunta ‘direzione’ è una mera fantasia, smentita dal dato di fatto obiettivo che il suono NON è un oggetto spostabile a piacere in punti vari dello spazio (interno o esterno), ma è una serie di onde concentriche che si propagano a 360°.

Il rispetto del carattere di immediatezza del vero concepimento mentale del suono è fondamentale nel canto perché determina ab origine sia la quantità sia la qualità dell’energia suscitata, come dimostrano le insistenze dei cantanti di tradizione belcantistica che il suono iniziale sia “pronto” (Mengozzi), “franco” (Tosi), “vero e puro” (Caruso), “sorgivo” (Caruso), con ciò escludendo dal suo DNA tutte le manovre pseudo-tecniche tese a ‘impostarlo’, nel qual caso esso risulterà, seguendo il criterio di Lauri Volpi, non più “sorgivo”, ma “retorico”. Tutto ciò si evidenzia in modo più chiaro se noi paragoniamo il suono iniziale a una scintilla o a un seme: entrambi non hanno bisogno di nessun ‘trattamento preliminare’ (come succede invece con i ‘giri’ del suono e le modificazione delle vocali) per dispiegare la loro azione naturale: devono solo essere messi a contatto, rispettivamente, con il gas e con la terra.

Il secondo elemento (qui simboleggiato dal gas e dalla terra) di questo rapporto creativo evidentemente non può essere rappresentato da alcuna fantasia ‘mentale’, ma solo da qualcosa di reale: il respiro.

Appartengono alla categoria di quelli che abbiamo indicato come ‘trattamenti preliminari’ pseudo-tecnici tutte le manovre volte a mescolare una vocale con un’altra, a preformare lo spazio di risonanza in base a qualche modello ‘ideale’ (a cui poi le varie vocali dovrebbero adattarsi) e, appunto, tutte le sovrastrutture immaginarie, basate sull’ipotesi fittizia che il suono sia una sorta di ‘oggetto volante non identificato’ che, a seconda delle relative ‘immaginazioni’, viene ‘proiettato’ ‘avanti’ (o ‘fuori’) oppure compie una di quelle bizzarre circumnavigazioni all’ esterno o all’interno del corpo, chiamate ‘giri’.

È chiaro che in questo caso si può parlare di ‘visualizzazione mentale’ solo in senso improprio, dato che in realtà qui ci troviamo di fronte a mere costruzioni razionali, basate su interpretazioni errate di percezioni subliminali (queste sì equiparabili eventualmente a ‘visualizzazioni mentali’), come quelle del nucleo luminoso del suono e dello spazio vuoto che lo circonda.

Il ‘giro in avanti’ e la ‘proiezione’ del suono non sono poi neppure illusioni ottiche come potrebbe essere quella (effettivamente percepita) del movimento della scena di un film (movimento apparente suscitato dalla velocità di scorrimento dei fotogrammi che lo costituiscono), bensì il risultato di un’ attività mentale che si può chiamare sì ‘immaginare’, ma solo nel banale senso traslato di ‘congetturare’, più precisamente congetturare che il suono emesso, invece che trovarsi istantaneamente (come in realtà accade) in tutti i punti dello spazio vicino al corpo che lo ha prodotto, faccia un preciso percorso, rappresentabile come una freccia o come una linea curva (ascendente o discendente) ) e creabile ‘a tavolino’.

Con questo non si vuole affermare che tutte le visualizzazioni mentali siano inutilizzabili. Alcune di esse (quelle che rispettano la logica della realtà e non quella della fantasia) possono aiutare a cogliere (grazie allo strumento dell’analogia universale) alcune verità parziali del canto. Questo a due condizioni: che non sopprimano il senso di naturale immediatezza e ‘sorgività’ dell’ avvio del suono e che non vengano assolutizzate, nel qual caso la bipolarità costitutiva di ogni realtà, compresa quella del canto, verrà distrutta.

Ad esempio, la visualizzazione mentale della ‘proiezione’ del suono in avanti di per sé tende a negare e inibire il polo opposto, rappresentato dallo spazio della gola aperta (che dà rotondità al suono) e, a sua volta, l’immaginazione (che non è concepimento!) della ‘proiezione all’indietro’ tende a far arretrare l’asse della pronuncia naturale parlata, che (al di là delle fantasie pseudo-scientifiche) è la causa reale della brillantezza e del focus della voce, con la conseguenza che il suono, privato in questo modo della sua brillantezza naturale, rischierà di diventare opaco e di venire percepito come ‘intubato’ e ‘indietro’ (in senso negativo).

Questo è quello che succede se non viene ben individuato, chiarito e stabilito nella sua autonomia l’elemento che genera rispettivamente la rotondità e la brillantezza naturale del suono e che non è dato né dal ‘portarlo indietro’ né dal ‘portarlo avanti’.

Ancor più lontane dal concepimento-creazione del suono (nel senso di genesi REALE della fonazione umana) appaiono poi le manovre muscolari volontarie e localizzate, finalizzate ad esempio ad allargare attivamente la gola o a contrarre i muscoli pelvici o delle natiche. E’ chiaro che queste manovre non hanno in sé nulla di ‘mentale’ (e tanto meno di italiano), a meno che per ‘mentale’ non si intenda qualunque azione muscolare che semplicemente nasca nella mente, nel qual caso anche l’atto volontario del defecare o quello del gridare dovrebbero essere definiti ‘mentali’. Non solo: seguendo questo criterio, gli unici atti non mentali verrebbero ad essere quei movimenti involontari del corpo, provocati dai riflessi naturali, come l’ improvviso raddrizzarsi della gamba che avviene, se si colpisce un determinato punto del ginocchio.

È anche evidente che mescolando tra loro questi diversi approcci (meccanico-muscolare, mentale e immaginativo), a prevalere su tutti sarà l’ elemento più pesante e meno mentale (ovvero l’ attivazione volontaria e localizzata dei muscoli) con la conseguenza di rendere gli altri due elementi, di per sé più sottili e impalpabili, vanificati dal primo, e di questo non c’ è da stupirsi così come non c’ è da stupirsi se il piombo non si mescola con l’ acqua e neppure vi galleggia sopra.

In effetti cercare di far convivere tra loro questi approcci antitetici è come proporsi di creare non tanto il schopenhaueriano ‘ferro ligneo’, quanto l’ ancor più surreale ‘pietra ariosa’ o il ‘fuoco acqueo’.

E a questo proposito, ancora una volta, ci si dovrebbe chiedere: ma perché i belcantisti, a cui si deve l’ intuizione della dimensione mentale (che NON è mentalismo immaginativo!) non si sono mai sognati di brevettare manovre meccanico-muscolari? Forse perché non avevano ancora raggiunto le ‘altezze conoscitive’ della moderna ‘scienza’ del canto? Sì, certo, questa è “vecchia fiaba che beatamente ancor la beve” la modernità ‘trionfante’, quando ama autocelebrarsi. Corollari, altrettanto fiabeschi, del medesimo ‘teorema’ sono: la necessità di nuove tecniche vocali ‘turbo-proiettive’, finalizzate a superare la barriera orchestrale grazie al raggio laser della formante dei 3000 Hz in grado di fornire portanza acustica alla voce bla bla bla…

Chiunque, dopo questi voli nell’ utopia, voglia riprendere contatto con la realtà, potrà farlo, ‘immaginando’ con la mente quello che è l’ equivalente metaforico del monstrum ‘mentale-immaginativo-muscolare’ delle moderne tecniche vocali e cioè una Ferrari fiammante con un motore potentissimo (la componente mentale naturale), smontato e sostituito da maniglie laterali (le manovre muscolari volontarie) al fine di spingerla meglio nel caso qualcuno volesse anche farla correre su strada e non solo tenerla ferma in esposizione.

In sintesi, scomporre l’ unità vivente degli atti globali naturali nelle loro componenti meccanico-muscolari immaginarie è il gioco del lego cui i dilettanti ‘scientifici’ della didattica vocale amano giocare e che ha effetti ‘contaminanti’ analoghi a quelli prodotti da altre “scissioni”: quelle nucleari.

Questo perché nella realtà (al contrario che nella fantasia) tout se tient.

Antonio Juvarra



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