Nel novero degli artisti attivi a Fidenza nella seconda metà del Settecento non va dimenticato il nome di Antonio Maria Ferrari (Piacenza 1736-1802), pittore piacentino di origine ma borghigiano d’adozione. L’abate Zani lo giudica “pittore bonissimo”, ma ben poco si conosce della sua vita e della sua formazione artistica, molto probabilmente fu allievo di uno dei pittori prospettici operanti a Piacenza nel pieno Settecento.
Pittore-architetto, ma anche scenografo e decoratore, Ferrari risulta attivo, soprattutto tra il 1758 e il 1761, al servizio dei principi di Borgo, Leopoldo d’Assia Darmstad e Enrichetta d’Este, per i quali eseguì, come documentano le dettagliate ricerche di Angela Leandri, “Quadri n.13 di Paesi” (1758), diverse scene per i due rinnovati teatrini di corte, di Cortemaggiore e Borgo San Donnino (1759, 1760,1761) e gli ornati di due carrozze (1759, 1761). Sempre a Borgo San Donnino è ricordato per alcuni interventi nella chiesa (1764) e nel convento (1793) degli Agostiniani di San Pietro e nel Palazzo Vescovile ove dipinge due stanze del piano nobile (1779). Nel 1786 è a Soragna, alla corte dei Meli Lupi per alcuni allestimenti teatrali e nel 1790 presso la Compagnia del Suffragio per un apparato in legno per il Sepolcro della Settimana Santa. L’ultima notizia documentaria relativa alla sua attività è del 1801 e riguarda alcuni lavori nella chiesa e nel convento dei Frati Cappuccini di Borgo (cfr.: A. Aimi, 2003). Studi recenti gli accreditano solo un disegno dell’Archivio di Stato di Parma con il bozzetto preparatorio del catafalco per le esequie di Enrichetta d’Este celebrate nel 1777 nella chiesa dei Cappuccini di Borgo San Donnino, e un’incisione di Pietro Perfetti (1720-1770), che riproduce l’analogo apparato allestito nel 1764 in occasione dei funerali di Leopoldo (A.Leandri, “Antonio Maria Ferrari pittore piacentino”, Parma, 2003). Ai due piccoli fogli vanno però aggiunte le più impegnative tempere di Palazzo Linati-Trabucchi di Busseto, già segnalate come autografe da G.Godi e G.Cirillo, ma ancora inedite e ormai dimenticate, nonostante la scritta inaugurale recante il nome del pittore, ANTONIUS FERRARIUS, insieme a quello del committente, Antonio Linati (nipote dell’omonimo vescovo di Borgo), e la data 1787. Si tratta di un’ampia serie di pitture ornamentali costituite da finte architetture e trofei d’armi con l’emblema dei conti Linati. Tutt’altro che trascurabili, queste eleganti e garbate, fantasiose “quadrature”, che coprono per intero le pareti e la volta della sala grande e di altri ambienti del settecentesco palazzo di via Roma, sono caratterizzate da un sinuoso movimento di colonne, archi, volute, trabeazioni, vasi, balaustre, fregi, medaglioni e vari mascheroni con alcuni divertenti spunti originali. Viene naturale metterle a confronto con gli ornati tardo settecenteschi dell’atrio e dello scalone di casa Macchiavelli a Fidenza. Le forti analogie compositive, stilistiche e iconografiche che uniscono i due dipinti portano infatti ad attribuire con certezza al nostro pittore anche questo secondo ciclo pittorico, ancora del tutto sconosciuto agli studiosi, forse l’unico lavoro importante del Ferrari rimasto a Fidenza dopo le dispersioni e le distruzioni dell’ultima guerra.
Ricche di citazioni classicheggianti, che suggeriscono una datazione entro l’ultimo decennio del XVIII secolo, le tempere di casa Macchiavelli sono incentrate su una grande nicchia con vaso, coronata da un arco, affiancata da coppie di colonne composite; sul fondo compaiono cenni di paesaggio mentre dalla bocca di un mascherone zampilla l’acqua cristallina di una piccola sorgente, simbolo di salute e di prosperità. Da notare inoltre l’elegante motivo della volta a cassettoni che ricorda i decori delle cappelle laterali della parrocchiale di San Pietro, ove la presenza del Ferrari è, come si è detto, documentata già nel 1764. Tornando a Palazzo Linati-Trabucchi va ricordato che la scena allegorica, dipinta al centro della volta ma purtroppo pesantemente rimaneggiata, è dovuta invece alla collaborazione del fidentino Angelo Carlo Dalverme (Borgo San Donnino 1748-1821), incaricato della parte figurativa, come egli stesso annota nel suo diario di lavoro: “Accordato pure coll’Ill.e Sig.r Cap.o Linati una medaglia favolosa rappresentante l’Arma istoriata senza veruna spesa da dipingere a tempera nel volto della sua Sala in Busseto, come pure li 18, Agosto accordato per una medaglia nella Scala e quattro teste a chiaro scuro nella sala” (A.Leandri, “Il pittore Carlo Angelo Ambrogio Dal Verme 1748-1825”, 2007).
Abile nel creare sfondati e scorci prospettici, il Ferrari sembra eccellere soprattutto nei paesaggi d’invenzione. Lo provano, a mio avviso, le ridenti vedute idilliche che adornano la sala ovale del palazzo Sforza Fogliani di Castelnuovo Fogliani, rimaste fino ad oggi senza un’attribuzione certa ma a lui senz’altro ascrivibili in base a quanto scrive il Dalverme, la cui testimonianza sembra non lasciare adito a dubbi circa la paternità dei dipinti: “1817. Nella fine di ottobre, andato a Castelnuovo per accomodare li Paesi del fu Antonio Ferrari di Borgo rovinati per le crepature della fabbrica del salone ovale oltre le spese L.63”. Incorniciati da eleganti stucchi tardo settecenteschi di gusto parmense (cfr: ”Ville piacentine”, 1991) questi paesaggi con boschi, rovine antiche, danno un senso di incanto e di sogno e si rivelano veramente notevoli, se presi uno ad uno, per la sensibilità del tratto e la ricchezza dei dettagli. Un altro apprezzabile esempio di capacità illusionistica e compositiva del Ferrari, un artista meritevole forse di maggior considerazione, è dato con ogni probabilità dalle pitture esistenti presso il castello di Pellegrino Parmense. Sulle pareti del salone dello storico maniero, già dei Pallavicino e poi passato in proprietà agli Sforza Fogliani, si possono vedere infatti una serie di paesaggi tardo settecenteschi stilisticamente molto vicini alle luminose scene agresti della sala ovale del vanvitelliano palazzo di Castelnuovo Fogliani e per di più accomunati dallo stesso committente (Guida artistica del parmense, II). Per concludere, proponiamo ai lettori de “Il Risveglio” un’ultima testimonianza, presa sempre dall’inesauribile diario di Dalverme, ove si accenna al restauro di altri dipinti del Ferrari, esistenti presso il Seminario Vescovile di Borgo San Donnino, andato distrutto, come noto, in seguito ai bombardamenti aerei del ‘44 : “1807. 29 Luglio. Per aver rimesso il dipinto guasto di una camera dipinta dal fu S.r Antonio Ferrari nel d.o Seminario netto di spese in giorni 9 L.90”.
Guglielmo Ponzi
Pubblicato dal settimanale "Il Risveglio" 10 maggio 2012
La Rocca di Borgo San Donnino (Fidenza) nel
novecento in un disegno di Ettore Ponzi