Antonio Mancinelli è un comunicatore, uno scrittore, un giornalista e anche un docente. Qual è la prima cosa che fai quando inizi una lezione?
Mi piace chiamarla conversazione, più che lezione. Credo che sia compito del docente trasmettere il proprio sapere senza porsi in una condizione di superiorità, per cui si ha ciò che accadeva a noi in passato, ovvero ascoltare come fosse oro colato ciò che ci veniva raccontato. La cosa che io dico la prima volta che entro in classe è “questa non è una lezione e mi aspetto che mi facciate molte domande anche cattive“, perchè è proprio dallo scambio di idee e di informazioni che nasce la conoscenza. Non credo nel sapere infuso da uno scranno. Il mio compito è quello di suscitare una curiosità.
Credo, piuttosto, che proprio dalla formulazione di una domanda nasca una riflessione profonda che porta, chi la pone, ad interrogarsi su un dubbio che forse io, per una maggiore esperienza anagrafica, posso aiutarti a chiarire .
C’è, tra le domande che ti hanno posto, qualcuna che ricordi ancora?
Di domande me ne hanno fatte molte – insegno da parecchi anni ormai. Una volta mi chiesero “Come mai una persona intelligente come te si è dedicata al giornalismo di moda?” oppure una domanda assai imbarazzante che non si dovrebbe fare o a cui si deve rispondere col massimo dell’imparzialità è “Qual è il tuo stilista preferito?”, questo perchè il ruolo di un buon giornalista è quello di prendere sempre le distanze da personalismi. Infine, credo che una domanda che ritengo inutile è quella sul percorso personale, perchè credo che ognuno abbia il proprio percorso, ormai è andata! è passato! (ride, n.d.r)
Quali sono i suggerimenti che daresti a chi volesse intraprendere la tua professione o a chi volesse fare il comunicatore di moda?
Potrebbe sembrare un paradosso ma il mio suggerimento, per chi voglia intraprendere questo percorso e sta frequentando un corso di moda, è di sfogliare il meno possibile le riviste di moda ma di guardarsi in giro, di frequentare mostre, concerti, guardare film, andare al cinema, leggere molti giornali, articoli che apparentement non c’entrano molto con la moda, leggere libri. L’immagine che ognuno creerà, il proprio stile anche di scrittura, sarà il frutto di tutte quelle informazioni raccolte precedentemente, che non arrivano necessariamente dalle riviste di moda, ma da quella connessione che sapranno trovare nei diversi campi: arte contemporanea, psicologia di massa, politica estera, cinema, letteratura. La chiave fondamentale è essere curiosi e occuparsi di tutto.
C’è un episodio, nella biografia di Steve Jobs, davvero interessante che vale la pena raccontare per chiarire quanto sia importante la curiosità.
C’è stato un momento nella vita di Steve Jobs in cui lui non sapeva bene cosa fare della sua vita. Lì nel suo garage dove non riesce a far funzionare le cose, trovandosi in difficoltà, decide di fare un corso di calligrafia. Ora, non c’era cosa più lontanta dal suo mondo fatto di tecnologia nascente, che un corso di calligrafia, di un’arte così antica, apparentemente desueta. Lui stesso dice di essersi iscritto perchè non aveva nulla da fare, senza sapere bene perchè lo facesse, eppure lo ha fatto. Il tempo gli ha dato ragione, perchè anni dopo tutta questa esperienza e competenza che aveva accumulato nel corso di calligrafia gli è servita per sviluppare la grafica dell’iphone, oggettivamente uno strumento utile ma altrettanto bello. Ecco, lui è riuscito ad applicare il sapere le regole della buona scrittura (come la spaziatura tra le lettere, il contrasto tra il foglio della pagina e l’inchiostro, l’accostamento di colori più interessanti) al suo prodotto. Tutto può essere utile, anche ciò che a prima vista ci sembra molto lontano dal nostro mondo professionale.
Quindi la chiave del successo è la ricerca?
Assolutamente, anche perchè si rischia di guardare solo al proprio mondo. Viviamo in un momento di grande stanchezza culturale, soprattutto nel mondo occidentale. Grazie alle nuove tecnologie oggi è possibile avere notizie dirette da posti lontani, spazialmente parlando. I blog oggi sono una fonte inesauribile di notizie, in ogni campo, dall’economia alla psicologia, alla moda. Sono stato poco tempo fa in Brasile per la Brazil Fashion Week. Lì, ad esempio, l’atmosfera è diversa, ancora stimolante. Maggiori sono le fonti di informazioni, maggiore è la possibilità di elaborare un’immagine originale. Questo è ancor più vero nel campo della moda proprio per quello che ci si aspetta da chi fa moda. Non una persona che venda, disegni dei capi, ma qualcuno che sappia disegnare dei mondi, una persona che abbia delle visioni personali del mondo.
Mi dicevi di essere tornato da poco dal brasile, dalla settimana della moda. Qual è l’immagine che ti ha colpito maggiormente?
C’è un grandissimo ottimismo. Una gran voglia di riscatto nei confronti dell’Europa, una cultura geografica molto ricca di colori e tradizioni. Ho provato molta tenerezza: ho avuto l’impressione di trovarmi nella Milano degli anni 80, quando si riusciva a percepire l’euforia della creatività. D’altra parte, mi ha anche colpito questa grande attenzione verso la generazione giovane della moda. Ci sono 4 o 5 giovani designer brasiliani che stanno diventando dei nomi internazionali. Ad esempio, il giovane Alexandre Herchcovitch, che ha curato il look di Dilma Rousseff durante le campagna presidenziale, o il duo dietro il brand Neón che si presenta come erede della corrente culturale tropicalista.
C’è, quindi, una attenzione notevole ai giovani che, proprio perchè appartenenti ad una generazione di individui iperconnessi con il resto del mondo, fanno parte di una cultura planetaria in grado di creare, attraverso il linguaggio universale della moda, nuovi ed interessanti codici estetici. C’è stato ancora, per fare un altro nome, Pedro Lourenço, che a soli 21 anni sfila anche a Parigi, che realizza collezioni meravigliose, attingendo a immagini proprie della cultura brasiliana. Tutti questi giovani non fanno altro che sottolineare la tendenza ormai in atto del Glocal, del locale nel globale: pensare globale e agire localmente. E’ su questo che anche la moda europea deve puntare, forti della nostra tradizione di stile e culturale. Oggi lo stesso consumatore è globale, penso ai russi, ai cinesi, agli arabi e ai sudamericani che sono tutti consumatori della nostra moda europea. Pensare globale è, quindi, ciò che un nuovo designer di moda oggi dovrebbe fare.
Prima parlavi di blog e della dimensione connettiva che c’è in rete. C’è una battaglia molto aspra tra i giornalisti della carta stampata e digitale e i blog. Che evoluzione avrà, secondo te, il mondo del giornalismo?
E’ un terreno molto complicato. Per ciò che mi riguarda, ho salutato il fenomeno dei blog come qualcosa di molto positivo. I blog come forma espressiva in realtà, secondo me, sono già superati. Oggi siamo già passati a Tumblr, blog fatti solo di immagini, alcuni dei quali trovo davvero bellissimi. Trovo che all’inizio i blogger fossero depositari di una libertà che a noi giornalisti della carta stampata non era data. La libertà di decifrare con la massima autonomia una collezione, di fare una critica scevra da ogni connessione con i magazine, dai legami con gli inserzionisti, e quindi poter dichiarare il proprio parere senza nessuna paura o soggezione, strada che – tra l’altro – in Italia non è stata per nulla battuta, deludendomi enormemente. Cosa che invece ho ritrovato in alcuni blog stranieri, come fashionologie.com.
Ancora, la possibilità attraverso la rete di fare ricerca, di ricercare le novità, quindi la possibilità di far conoscere, senza le canoniche vie pubblicitarie, nomi nuovi o sconosciuti al fashion system.
ph. Massimo Ferrari
L’evoluzione va sempre più verso le immagini e sempre meno verso le parole. Quello che mi interessa di più è la dimensione dei magazine online, quelli che vivono solo online o al limite sull’ipad – dove noi (di Marie Claire, N.d.R.) siamo già da oltre un anno. Certo credo che saremo gli ultimi noi della moda ad andare solo sull’online, per una questione di visione nostalgica del magazine, di collezionismo dei vari mensili, e una questione di qualità della resa fotografica dell’immagine.
Contemporaneamente, sono convinto che alcuni magazine possano nascere esclusivamente per il web o per device interattivi come l’ipad, sfruttando tutte le potenzialità del mezzo. Ho visto un magazine australiano ultimamente, fatto solo per l’ipad, e sono rimasto stupito dalla multidimensionalità ragionata, per quel mezzo, che si riesce a raggiungere.
Cosa cambia, per un giornalista, dalla carta stampata all’approccio ai nuovi media?
Nei fatti non so quanto cambi. Io sono stato, in Italia, uno dei primi giornalisti ad avere un blog personale – che poi ho chiuso, avendo adesso il mio spazio su Marieclaire.it (Beato fra le gonne, N.d.R.). Prima si diceva di stare attenti al linguaggio, perchè il linguaggio del web deve essere più breve, più comprensibile, adatto ad un pubblico più ampio, più vasto; adesso, mi rendo conto che i blog più interessanti sono comunque quelli curati da giornalisti della carta stampata – quindi ritengo che la qualità della carta stampata riesca a suscitare comunque un certo fascino. E’, come dire, se un medium è buono o cattivo dipende da come usi il mezzo, quindi il blog, e da quello che riesci a trasmetterci attraverso. Quello che cambierà è la tipologia di informazioni multimediali che l’online e le tecnologie riusciranno a trasmettere in più rispetto alla carta stampata, realizzando così un ipertesto dalle dimensioni infinite.
C’è il rischio, secondo te, nella possibilità che hanno tutti di aprire una pagina personale, un sito, un blog di comprimere e ridurre la qualità delle informazioni?
Sicuramente il rischio c’è, per il lato oscuro che la rete ha in sè, ed è quello di “semplificare” nella speranza di avere il maggior numero di contatti e di commenti. Ci si espone al rischio di utilizzare un linguaggio impoverito o di condividere opinioni che non sono il frutto di una conoscenza approfondita della materia di cui ci si fa portavoce, di cui si sta scrivendo. Credo che in futuro ci sarà una selezione quasi naturale di quei siti, di quei blog, di quei magazine online che andremo a vedere, per cui ci saranno alcuni che susciteranno comunque il nostro interesse e altri che perderanno un pochino la loro capacità di appealing.
Già adesso io mi connetto giornalmente alle pagine fashion di thedailybeast.com, diretto da Tina Brown, giornalista eccellente, già direttore del New Yorker. Ecco, lì trovi dei bravi giornalisti, diretti da un bravo direttore, che producono delle ottime notizie solo per il web. Come, ad esempio, un altro sito che vale la pena di andare a leggere è l‘Huffington post, un sito dove si possono trovare articoli interessantissimi di economia che riguardano anche la moda; o ancora il blog di Katy Orrick, giornalista del New York Times. Credo, quindi, che ci sarà una selezione naturale, e saranno gli utenti col loro feedback diretto ad agevolare questa selezione, senza censure.
Sono d’accordo con te quando parli di feedback diretto dei consumatori, perchè possono essere loro a determinare il successo o meno di un marchio proprio attraverso i social network, così come è accaduto nel caso di una nota azienda di intimo low cost e della sua testimonial…
Assolutamente si, o a stabilire quale capo di una collezione preferisci rispetto ad altri, così come nel caso di Burberry, dove gli utenti potevano selezionare, già durante la sfilata i prodotti più interessanti e magari acquistarli. Sono quelli che Morace chiama il consum-autore, l’autore dei propri consumi, il consum-attore, quello che agisce sui propri consumi. E allora sono d’accordo con te quando dici che sono i consumatori a dare il proprio feedback nei confronti di un testimonial non gradito come il caso della blogger per l’intimo. Il web è una democrazia, una piazza virtuale dove il blogger può o meno fare da intermediaro, ma credo che scegliere direttamente e durante una sfilata cosa acquistare sia uno strumento davvero formidabile.
Dicevi prima che oltre ad essere un giornalista “tradizionale” della carta stampata, hai anche un blog su marieclaire.it, “Beato tra le Gonne”, e hai scritto dei libri, uno dedicato proprio alle donne, che si chiama “Finalmente Libere” dedicato alle donne…
Si ho scritto diversi libri…questo si occupa oltre che di donne anche di moda. La nostra storia è segnata da tendenze culturali, dall’attenzione alla bellezza, alla freschezza, alla giovinezza come figura di riferimento culturale. Allora, questo libro è una riflessione sulla moda, sulle tendenze, sulla dimensione della giovinezza, su come le donne, special modo le donne italiane, possano vivere tranquillamente una tematica tabù, come il tema dell’invecchiamento, bombardate come sono da messaggi di chirurgia estetica, di creme ringiovanenti e di tutti quei prodotti che servono a mantenere lo status di giovane perenne.
Alla fine, scrivendo il libro, ho fatto una piacevolissima scoperta, perchè intervistando tante donne, tante signore tra i 45 e gli N anni, ho capito che reagiscono molto bene, che vivono il fatto di invecchiare senza problemi, non curandosi dei messaggi che vengono dal mondo della pubblicità, o guardando a quei messaggi in maniera disincantata. Le stesse pubblicità ora puntano su un pubblico più adulto – vedi Sharon Stone testimonial alla sua “veneranda età” laddove anni prima alcune sue colleghe erano state rimosse per raggiunti limiti di età – questo forse dipende dal fatto che certi tipi di prodotti possono essere acquistati ormai solo dagli adulti e non dai giovani, senza potere di acquisto…(ride, N.d.R.).
C’è un dato interessante che è emerso dalla mia ricerca, ovvero che quasi tutte le donne che ho intervistato ammettano serenamente di fare uso di botulino come ritocchino, facendolo rientrare nella categoria cosmesi.
C’è un blog molto singolare, che ho scoperto mentre facevo ricerca per il libro, che si chiama advancedstyle di Ari seth Cohen. Questo giovane ricerca e fotografa signore di una certa età che vestono in modo eccentrico, sottolineandone la bellezza e lo stile.
Questo mi fa sperare che il mito della eterna giovinezza sia appunto solo un mito e niente altro, e che sia lo stile a rimanere il punto di riferimento personale di ognuno, anche quando giovani non si è più.
C’è una tendenza, dovuta anche alle immagini fotografiche estremamente ritoccate, a falsare il normale percorso di invecchiamento e di accettazione anche di una piccola ruga sul viso?
Si c’è una tendenza a non voler mollare il campo, forse anche dovuta alle immagini a cui ti riferivi, anche se nessuna ammette di farsi un lifting, preferendo – come ti dicevo prima – il botulino…però sai, non so quale possa essere ormai considerato il percorso naturale di invecchiamento di una donna.
Siamo ad un livello di disincanto che credo ognuno sappia che – anche vedendo una foto o una copertina di un disco di una donna che ha raggiunto i 50 anni – le foto siano ritoccate e che non corrispondano alla realtà. C’è ormai una fruizione, una percezione dell’immagine che è più scanzonata, più realista. Non scordiamoci che dietro una fotografia c’è la costruzione dell’immagine di tutta una serie di professionisti, dallo stylist che ha creato il look, al truccatore, al fotografo che ha lavorato di luci e post produzione meravigliose. Insomma, mi verrebbe da dire che è meglio immaginare Madonna, che vederla realmente.
Tra i tuoi libri c’è anche un libro dedicato proprio alla moda (“MODA!”), dove esorti ad usare la moda e non a farsi usare da essa…
Si, il libro ha come slogan “Non è quello che tu puoi fare per essere alla moda, ma quello che la moda può fare per te” e, quindi, quando lo scrissi, era un invito a personalizzare il prodotto delle sfilate. Nello stesso periodo nascevano i primi blog di streetstyle come The Sartorialist, che coglievano- come me nel mio libro – la tendenza a personalizzare, attraverso il proprio stile, le proposte ufficiali della moda; il modo in cui anche una semplice casalinga poteva associare una gonna con un camicia o come il lattaio indossava la propria tuta da lavoro potevano essere meritevoli di una foto, perchè produceva un effetto di eleganza inaspettata, e quindi postate su un blog.
I consumatori sono sempre più colti e sempre più autonomi, la moda viene usata con più personalità. Questo è dovuto anche alla molteplicità di proposte che vengono dalla moda. Per cui, se una persona ha la disponibilità economica e di tempo per seguire le collezioni, riesce a trovare davvero tantissime proposte. Non ci sono più i colori di stagione, o le lunghezze, sono tantissime le combinazioni che ogni stagione gli stilisti propongono e diversissimi gli stili. Quindi, se anche gli stilisti propongono creazioni diversissime tra di loro, è giunto il momento non di seguire la moda ma il proprio stile.
Qual è lo stile di Antonio Mancinelli?
E’ un classico perverso. Nel senso che per motivi personali sono legato ad un tipo di abbigliamento classico (non mi piace l’abbigliamento sportivo o finto sportivo, tipo quelli da finta caccia alla volpe e allo stesso tempo l’abbigliamento eccessivamente formale). Mi piacciono molto gli abiti. Mi diverte prendere un capo tradizionale come il gessato blu, o grigio, o il balzer blu e poi pervertirlo con una cravatta con i teschi, con le scarpe con la zeppa o dei calzini surreali (abbigliamento indossato durante l’intervista, N.d.R.). Come dire, cercare di spiazzare il classico immaginario impiegatizio dell’abito scuro con alcuni piccoli aspetti di perversione. Tanta attenzione per la forma, un pò come me, tanto detesto il formalismo. Un classico deviato che mi appartiene, insomma.
Hai una icona di stile?
Ma…no, credo sia meglio non averne. Mi interessano moltissimo tantissime persone, da Margherita Hack a Obama, al Dalai Lama…Michelle Obama che trovo sicuramente più interessante e affascinante del marito, o nel passato…mi piace Oscar Wilde, o alcuni grandi eccentrici come Edoardo VII, ma tendo comunque a non avere icone di riferimento, non mi vestirei mai come “qualcuno”.
Se non avessi fatto il giornalista, che qualche altra cosa che avresti voluto fare da grande?
Il Regista, forse anche un pò il fotografo, o l’attore – che ho fatto per qualche tempo in passato. Ma il regista è quello che avrei sicuramente voluto fare, proprio per creare immagini, poi adoro il cinema, quindi…
A cura di Romina Toscano
Antonio Mancinelli è attualmente caporedattore di Marie Claire. Nel corso della sua esistenza, 4 sono le sue passioni: a) la cioccolata al latte; b) la scrittura; c) la moda, ma non quelli che vanno alle sfilate; d) il cinema. Ha scritto per Il Corriere della Sera, La Repubblica, Vogue Italia, Vanity Fair, Diario, Elle, Style e molti altri. È stato caporedattore di Mondo Uomo e Donna. Ha scritto e condotto vari programmi radiofonici per Radio Tre, ha fatto un po’ di ospitate in tivù. Si è sempre divertito molto. E’ Docente in alcuni importanti istituti e università italiani: a Milano, presso la Domus Academy e il Politecnico di Milano; a Roma presso La Sapienza e l’Accademia del Costume e Moda.