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Antonio Moresco, un imperfetto nessuno. Malaeditoria e scrittura ombelicale

Creato il 15 febbraio 2011 da Iannozzigiuseppe @iannozzi

di Iannozzi Giuseppe

Moresco lo si può solo stroncare con queste “Lettere a nessuno”.
Nico Orengo ha tutte le ragioni di questo mondo a non perdere tempo dietro a chi consuma la penna per centinaia di pagine tutte di un futile piangersi addosso senza alcun ritegno. C’è poco altro da dire, se non che Melissa P. a confronto di Morescoè milioni di volte meglio. “Lettere a nessuno” era uno scartafaccio impubblicabile: comunque non sorprende più di tanto che in Italia ci si permetta di pubblicare Moresco affossando così sempre più l’editoria e sceverandola della già poca credibilità di cui gode.

Antonio Moresco, un imperfetto nessuno. Malaeditoria e scrittura ombelicale
Il problema è anche questo: il libro, in versione meno voluminosa, uscì dieci anni or sono e già allora ci trovammo di fronte a osservazioni impubblicabili per stile e contenuti fatti di niente; oggi sono state ripubblicate “Le lettere a nessuno” con altre lettere scritte nel corso di altri dieci anni, un totale di 730 pagine e passa, dove Moresco continua a rompere gli zebedei con le sue solite paranoie, dallo scrittore incompreso agli anni perduti della giovinezza, degli amori impossibili. Mon Dieu! Non se ne può proprio più di simili diari buoni neanche per pulircisi il deretano. Come già ho osservato, “Lettere a nessuno” era impubblicabile e il fatto che sia stato pubblicato di nuovo mi fa solo capire che l’editoria italiana è cieca e masochista: ben venga dunque che simili libri non vengano toccati da mani umane e che presto finiscano al macero, perché miglior destino davvero, in tutta sincerità, non gli si può augurare. Nico Orengo fa un’osservazione geniale quando cita Aldo Busi: «Mandami una pagina, la prima, e ti dico se val la pena pubblicarlo». Dopo mezza pagina delle vecchie lettere, dopo mezza pagina delle nuove lettere, ero già stomacato: Moresco è solo impubblicabile e non difendibile.
E in ogni caso “Lettere a nessuno” più che impubblicabile era da cestinare senza pensarci su due volte, punto e basta.

Moresco fa difatti soltanto dello osceno diarismo, di stampo pubescente. E’ un frignare per 700 e passa pagine. Il mio invito non può che essere: non leggete Moresco e le sue lettere, tenetevi i soldi in tasca che c’è la crisi e le lagne di un signore di sessanta anni non interessano a nessuno. E’ poi osceno che si dica che Moresco “si colloca nella grande tradizione dello Zibaldone di Leopardi e del Mestiere di vivere di Pavese” nelle note di copertina. Questa indicazione è d’una falsità bestiale, che non so davvero spiegarmi che gran faccia tosta c’è voluta per scrivere simili note. Note ingannevoli in dispregio ai potenziali lettori; si è superato davvero il limite: che i lettori stiano attenti, attentissimi, che non credano di aver in mano anche solo una virgola di Pavese o Leopardi. In “Lettere a nessuno” c’è solo un gran piagnisteo senza né arte né parte, altro che mestiere di vivere e zibaldone.

Io consiglio vivamente di leggere e capire sia Pavese che Leopardi. Ma in qualità di critico e di consumatore anche, in questo caso, non consiglio Moresco: le sole note di copertina, fuorvianti e ingannevoli sono irrispettose non solo verso la cultura, ma soprattutto verso i lettori potenziali e accidentali. In coscienza non posso consigliare a qualcuno di spendere 22 Euro per leggere qualcosa che potrebbe essere tutto tranne un accostamento a Pavese e Leopardi. Che se qualcuno non l’avesse capito sono due giganti, mentre Moresco proprio no, al massimo una stanchissima e vecchissima melissa di sessanta anni. Consiglio Melissa P. piuttosto, perché molto più valida, e non c’è provocazione in ciò, rispetto a “Lettere a nessuno”.

Dal dizionario De Mauro Paravia che va tanto di moda in alcuni lit-blog, per “collocare”: inquadrare in un preciso ambito cronologico, storico, culturale e sim., anche esprimendo un giudizio di valore. Le note di copertina sono scandalose, e soprattutto ingannevoli verso il consumatore, in quanto è evidente che portano un giudizio di valore creando una trinità (impossibile), Pavese, Leopardi e Moresco. Le informazioni che vengono messe nero su bianco sono gravi, perché portano il lettore (occasionale e non anche, se sprovveduto) a trovarsi di fronte a qualche cosa di enorme letterariamente parlando, quando invece così non è. Il fatto non è semplicemente grave, è invece gravissimo proprio perché all’interno delle note di copertina che sono tra le prime cose che un qualsiasi lettore-consumatore consulta per decidere se acquistare o meno il prodotto che ha in mano. Le note di copertina di un libro svolgono lo stesso ruolo delle etichette sui prodotti presenti sui bancali del supermercato e che poi portiamo in tavola. In qualità di critico non ravviso che il testo di Moresco “Lettere a nessuno” si possa collocare in una qualche tradizione letteraria del passato. E’ nient’altro che un diario, diarismo del più banale, di quello che si fa sui banchi di scuola in età pubescente e adolescenziale. Stabilire un rapporto di fiducia fra consumatore e marchio è alla base del commercio. In questo caso la fiducia che il consumatore ha nei confronti di Einaudi viene conculcata.

Facciamo dunque il punto.

Ho segnalato il libro di Moresco per una e una sola ragione: la particolare insignificanza di contenuti. Avrei però evitato di fare la segnalazione e avrei preferito tacerne con una sana e robusta indifferenza, non fosse stato per le note di copertina ingannevoli che accostano Moresco a Pavese e persino a Leopardi. Non è modo onesto di presentare un libro: prima che lettore io sono un consumatore e quanto scritto nelle note trae in inganno il consumatore con il chiaro intento di fargli credere una cosa non vera. Il consumatore ha il diritto ad essere informato sul prodotto in maniera chiara e precisa e quelle note sono a dir poco fuorvianti, più che scandalose. Se a quattro gatti gli piace pensare che Moresco sia accostabile a Leopardi e Pavese ciò non rende in alcun modo vera la loro impressione, che in ogni caso a chi la sente non può che provocare almeno almeno profondo imbarazzo. Prima di fare certi accostamenti portati nelle note di copertina per quelle che sono evidenti ragioni commerciali, ci si dovrebbe pensare su non una e nemmeno due volte, ma almeno un centinaio.

Dire che “Lettere a nessuno” è brutto sarebbe un atto critico assai  riduttivo e insufficiente. Tantissime cose sono brutte, ma definirle brutte non costituisce in alcun caso una critica chiara. Tantissime cose a questo mondo sono brutte, ma ci sono milioni di gradi/di sfumature di bruttezza. 

Abbiamo dunque stabilito che con quel “si colloca nella grande tradizione dello Zibaldone di Leopardi e del Mestiere di vivere di Pavese” si sta esprimendo un giudizio di valore. 

E’ questo un caso di malaeditoria conclamata, in quanto si porta in maniera più che marcata ed evidente un giudizio di valore sul lavoro di Moresco.

Se ci si vuole arrampicare sugli specchi negando l’evidenza, negando persino il significato dei verbi, negando il valore semantico delle parole, etc. etc. pur di portare con la forza l’acqua al mulino di Moresco, io non ne posso nulla, tranne ribadire che sconsiglio vivamente di leggere Moresco credendo in maniera cieca totale e assoluta alla buffonaggine espressa nelle note di copertina perché l’accostamento di Moresco a Pavese e Leopardi è a dir poco impossibile.

La critica deve essere sveicolata dal buonismo e soprattutto dall’accondiscendere a simili malsane forme di raggirare il lettore dicendogli il falso sul prodotto.


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