Pur avendo realizzato, a causa della sua prematura scomparsa e della visionarietà dei suoi progetti, una sola opera (Villa Elisi a Brunate, in collaborazione con Girolamo Fontana), Antonio Sant’Elia è una delle figure più importanti dell’architettura italiana del novecento. Nato a Como nel 1888, manifestò sin da piccolo una spiccata predisposizione per il disegno e per l’architettura ed intraprese un percorso di studi tecnici, diplomandosi capomastro nella scuola Arti e Mestieri G. Castellini della città natale nel 1906. Trasferitosi a Milano, ottenne un impiego nel cantiere del Canale Villoresi e successivamente come collaboratore esterno del comune meneghino. Nel 1909 si iscrisse all’Accademia di Brera nel corso triennale di architettura, ma, nonostante il buon profitto, si ritirò nel corso del secondo anno. In questo periodo, Sant’Elia iniziò a inviare progetti alla stampa specializzata e ai concorsi pubblici, ottenendo la pubblicazione sulla rivista La casa e una menzione a un concorso per un villino nel quartiere di Milanino, progetto che riprese nel 1912 per Villa Elisi; inoltre, superò le prime selezioni per il nuovo Cimitero di Monza, ma il suo progetto venne considerato, benché interessante, non realizzabile. Il 1912, oltre che per la realizzazione della Villa Elisi, fu importante anche per il brillante conseguimento del diploma di Professore di disegno architettonico all’Accademia di Belle Arti di Bologna.
Dopo aver aperto uno studio a Milano e aver fondato il gruppo Nuove tendenze, collaborò con l’architetto Cantoni per il concorso per la sede della Cassa di risparmio di Verona, venendo classificati come terzi. In seguito disegnò e realizzò i progetti per la tomba della famiglia Caprotti a Monza e per quella del padre, deceduto nel 1914. Sempre nel 1914, dopo aver stretto amicizia con Carrà e conosciuto Boccioni, aderì formalmente al Futurismo. Dapprima, su invito dell’Associazione degli architetti lombardi, allestì una mostra dei suoi schizzi e presentò il progetto Città Nuova, una serie di disegni per una città avveniristica, in cui l’architettura era espressione dello spirito della civiltà delle macchine. L’estetica non doveva derivare dal decorativismo Eclettico o Liberty, ma dalla nuda essenza del progetto, dalla prodigiosa funzionalità dei nuovi materiali, come il cemento armato; dall’ostentazione del progresso tecnologico, con gli ascensori non più relegati come “vermi solitari” nella pancia degli edifici, ma visibili dall’esterno; dalla superiorità dinamica delle linee oblique ed ellittiche rispetto all’ordinarietà di quelle orizzontali e perpendicolari; dalla capacità dell’architettura di armonizzare l’uomo con l’ambiente.
Le idee della Città Nuova vennero ribadite nel Manifesto dell’Architettura Futurista, pubblicato a cura della direzione del Movimento. Nonostante le sue simpatie socialiste, seguì i futuristi anche nelle loro smanie interventiste e, all’entrata dell’Italia in guerra, partì volontario con Boccioni e Marinetti. Inizialmente fu irreggimentato in un reparto di ciclisti con i suoi due compagni. Successivamente, venne trasferito alla Brigata Arezzo, di stanza a Monfalcone, dove fu incaricato dal Comando di disegnare il progetto per il cimitero di guerra del paese. Dopo essersi guadagnato una Medaglia d’Argento al Valore, il 10 ottobre 1916 venne colpito in fronte durante un assalto. Influenzata da Otto Wagner e dalla Secessione viennese, la sua opera esercitò a sua volta una profonda influenza non solo su Terragni e il Razionalismo italiano, ma anche su forme d’arte non architettoniche, come il capolavoro cinematografico di Fritz Lang Metropolis.