Antonio Spagnuolo, IL SENSO DELLA POSSIBILITÀ, Kairos 2013
Funerea, appunto, perché la festa della vita si trascina dietro la malinconia del perduto, l’odore del disfacimento e della sconfitta fino alla tragedia dell’ineludibile. A eros sfrontato nella prima parte del libro, seppur non risolutivo, assetato infinitamente di se stesso, si contrappone la predella del rimpianto e della rievocazione del perduto: ” La casa era tutta tua, è tutta tua ancora, / anche nella tua assenza inaspettata, / ed io disperdo le mie mani / tra i ninnoli che non hanno più valore”, (In memoria di Elena, p. 87).
Il senso della possibilità, allora, si gioca nel progetto di una interruzione del desiderio, spegnere l’afflato dionisiaco della vita – che qui non avviene, né, del resto, potrebbe avvenire se non attraverso la rinuncia a non scrivere più – perché anche la poesia, a modo suo, è parola partecipe di un atto creativo di vasta portata a cui ogni cosa è invitata a partecipare.
“Lultimo accento è ancora la poesia”, dice, infatti, Spagnuolo, la poesia che non muore, ma che cambia forma. Forse, allora, il modo più consono per intendere il libro è il passaggio dal canto di un Orfeo panico, immerso nell’indistinto e gioioso teatro di un godimento che si rinnova e non si chiede, al canto doloroso di un Orfeo che ha perso la sua Euridice e inutilmente ne richiede la restituzione.
Sebastiano Aglieco
Brema agosto 2013
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