"Apocalisse in pantofole" di Francesco Franceschini

Creato il 26 gennaio 2012 da Sulromanzo

Apocalisse in pantofole è un titolo forte, o cool, come direbbero gli inglesi. In primo luogo perché presenta un contrasto metaforico-ossimorico tra l'evento estremo della catastrofe e della fine del mondo, con la placida comodità dell'elemento casalingo. Mi ha catturato per questo. E poi perché l'apocalisse è di per se qualcosa che affascina; l'atto finale, il momento in cui si fanno i conti con se stessi e con l'universo, il profumo devastante della catastrofe, in cui nulla può permettersi di essere banale. Non è un caso che la letteratura e il cinema degli ultimi anni tornino costantemente sul tema, e non solo con i polpettoni inconsistenti di Roland Emmerich, ma anche con prodotti di qualità, per quanto riguarda il cinema, ispirati anche a grandi capolavori come La strada di Corman McCarthy, tanto per fare un esempio.

Il secondo motivo di interesse, da parte mia, consiste nel fatto che a pubblicare il romanzo è una piccola e nuovissima casa editrice indipendente di Siracusa, dal nome oggi quanto mai emblematico, Verbavolant, la quale porta nello zaino pochi testi freschi di stampa e tanta voglia di fare e di scommettere. Con la sua collana Ad maiora, la casa editrice appena fondata, ha deciso di puntare ed investire su autori giovani o debuttanti, pubblicando interamente a proprie spese. Questo non può che fare piacere, considerato soprattutto che le case editrici disposte a rischiare di tasca propria su autori esordienti sono oggi una merce discretamente rara. E Francesco Franceschini, con il suo Apocalisse in pantofole, è appunto un esordiente, seppur leggermente "tardivo"; nel suo passato c'era solo qualche racconto e due appassionanti carriere, insegnante e speaker radiofonico per Radio TNA di Terni.

La storia è quella di tre amici quarantenni, intenti a risolvere i piccoli grandi problemi della vita quotidiana, mentre attorno a loro il mondo si sta esaurendo. Proprio così, si sta esaurendo senza eventi catastrofici o minacce interplanetarie. Il vento smette di soffiare, gli animali scompaiono e il cielo violaceo si scioglie come melassa. Il mondo finisce come se, da sempre, il mondo non avesse fatto altro che quello. La vicenda nella sua evidentissima e ironica contraddittorietà presenta numerosi siparietti interessanti; un ragazzino che ha sognato di essere un cinquantenne tornato all'età adolescenziale e che forse lo è davvero, un gruppo di frati che commercia costosissime macedonie di contrabbando, apparenti agenzie di viaggio che offrono invece ottime bare di qualità, un ex circense paffuto e bonario che gironzola con una tigre al guinzaglio.

Peccato solo che a tratti l'autore perda di mano il filo, peraltro sottilissimo, che separa l'ironia sogghignante dalla banalità scontata e che, nel tentativo un po' “tornatoriano” di aprire e chiudere il cerchio tra presente e futuro, attualità e ricordo, incubo e memoria, abbia levigato leggermente l'aspetto straniante e surreale. E purtroppo l'atmosfera straniante e straniata, surrealistica e surreale è tutto quello che conta in un’apocalisse; a maggior ragione se è una di quelle che vengono attese dai suoi personaggi in tutta tranquillità. Quella voce narrante che ci racconta la vicenda in prima persona invece è appena un po' troppo leggibile, troppo dichiarata. Ci avverte troppo in anticipo che questo mondo in decomposizione, senza sussulti e senza panico, probabilmente, è solo una grossa metafora dell'affascinante, contorta e controversa avventura che comunemente chiamiamo “vita”. Il rischio di aspettare un'apocalisse «in pantofole» è proprio quello di renderla troppo falsa per farla sembrare assurda e troppo vera per farla sembrare reale.

In ogni caso è un rischio corso dall'autore con coraggio. Va riconosciuto che non è facile esordire con un'apocalisse. Dire tutta la montagna di cose che si hanno da dire, mentre ogni cosa volge al suo termine; ci sono sempre troppe possibilità a disposizione o ce ne sono sempre troppo poche. Per questo coraggio dimostrato siamo ben disposti a perdonare Francesco Franceschini anche per aver messo in bocca a uno dei personaggi quello che mai, in un'apocalisse che si rispetti, andrebbe inserito con troppa leggerezza in un dialogo, e cioè che, in fondo, semplicemente, “sia meglio voler bene alle persone”.

Apocalisse in pantofole, non è certo un esordio indimenticabile, uno di quelli che ti strappa il sonno e il respiro, che ti fa gridare al miracolo, ma è pur sempre un esordio di rispetto; un biglietto da visita che mostra tanta audacia e tanta personalità. A lui e alla casa editrice che ha il merito di averlo pubblicato, di cuore, “ad maiora!”.

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