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Apocalisse in salsa gamma

Creato il 21 dicembre 2012 da Stukhtra

Tutto quello che non avreste mai voluto sapere sulle più terrificanti esplosioni dell’universo

di Alessandro Tavecchio

E’ un normale giovedì mattina. Al Polo Sud, nelle profondità della Terra ma soprattutto del ghiaccio, all’Ice Cube Neutrino Observatory, alcuni ricercatori annoiati seguono la routine, controllando i dati della notte precedente in cerca di qualche segnale interessante. Ancora nel dormiveglia, uno di loro nota qualcosa di strano. “Oh, ma avete visto l’ultimo set di dati? Si dev’essere fuso qualcosa: è completamente fuori scala!”, urla agli altri, ancora distanti, mentre un sottile fumo si alza e condensa dal suo caffè bollente. Le letture sono fuori da ogni norma. I neutrini sono particelle al limite dell’etereo, difficilissime da rivelare, eppure una pioggia improvvisa di questi fantasmi ha colpito i rivelatori. Perfino i neutrini solari, che provengono dall’oggetto più luminoso e vicino nel cielo, vengono a malapena registrati dagli avanzatissimi strumenti nelle profondità polari. “S’è spaccato tutto, qua”, esclama un altro scienziato, frustrato. Due ore dopo, i controlli tecnici non avrebbero notato nulla di irregolare negli strumenti. Ma nessuno sopravvivrà fino a due ore dopo.

Apocalisse in salsa gamma

Il Sole tramonta dietro l’Ice Cube Neutrino Observatory. Forse per l’ultima volta? (Cortesia: K. Vanderlinde/NSF)

I primi a sentire gli effetti sono i satelliti per le rilevazioni astronomiche, con i loro strumenti per le radiazioni ad alta energia. Uno per volta, travolti da un flusso inarrestabile di fotoni, abbagliati da una luce invisibile all’occhio umano, diventano ciechi. Poco dopo, sulla Terra, gli astrofili cominciano a vedere qualcosa: una nuova stella nel cielo. Che ben presto diventa abbastanza luminosa da essere notata anche da chi al cielo non presta mai attenzione. Alcuni realizzano immediatamente che cosa sta succedendo. Altri si fanno prendere dal panico e avvisano le autorità. La comunità internazionale è in fremito. Internet si riempie di messaggi: “Tirate fuori i telescopi! C’è una supernova!”. Ma tutto questo vociare non è davvero necessario. Ovunque sulla Terra, giorno o notte che sia, il Sole e le altre stelle non possono competere: la luce della nuova stella riempie ogni angolo del cielo.

Il panico comincia a diffondersi, ma è solo l’inizio. Ogni singolo apparecchio elettronico sulla Terra si spegne: non si accenderà mai più. L’unica luce rimasta, aspra, fredda, proviene da ogni direzione del cielo. Mentre le urla di terrore si alzano da ogni angolo del globo, i raggi gamma della supernova finiscono di incenerire lo strato di ozono che protegge la Terra dalle radiazioni cosmiche. Fuggire non serve a nulla, quando la morte si muove alla velocità della luce.

L’agonia prosegue più lenta per i pochi sopravvissuti. È il Sole a portare la fine. La sua luce ultravioletta attraversa senza intoppi un’atmosfera che ormai non esiste più, inondando la Terra con nuove, differenti radiazioni. In poche ore l’intera superficie del pianeta viene incenerita. Chiunque si trovi all’aperto resta cieco, bruciato, costretto a cercare riparo nelle profondità della terra o del ghiaccio. Servirà soltanto a prolungare la sua agonia.

La morte lentamente salirà la catena alimentare, sradicata alla base dalla totale sterilizzazione del pianeta. Non una pianta, non un’alga, non un singolo organismo fotosintetico sarà risparmiato. Nel giro di qualche settimana, i batteri estremofili saranno gli unici sopravvissuti sulla biglia blu che una volta era l’unico santuario della vita nel Sistema Solare.

È passato molto tempo dall’ultima volta che un’estinzione di massa è stata causata da un evento astronomico.

Ma, alla fine, il giorno è giunto.

Bah! Sembra pessima fantascienza in stile Anni Sessanta, con un certo gusto per il macabro, uscita dalla penna di un emulo senza talento di Vonnegut o di Heinlein. Peccato che potrebbe succedere… beh, oggi, magari. In questa apocalittica giornata in cui non è successo ancora nulla. Per ora, almeno.

Armi di distruzioni di massa e altre cose ben peggiori

Andiamoci un attimo, in quegli Anni Sessanta, durante il momento più caldo della Guerra Fredda. Stati Uniti e Unione Sovietica stavano testando armi nucleari a tutto spiano, un po’ per renderle ancora più letali e un po’ per intimorire il prossimo. Nel 1962 gli Stati Uniti fecero esplodere un ordigno, lo Starfish Prime,  a un’altitudine di circa 400 chilometri sopra il Pacifico, al confine tra l’atmosfera e lo spazio vero e proprio. Un ordigno relativamente piccolo, di “soli” 1,4 megatoni (cioè 1,4 milioni di tonnellate di TNT), il cui scopo non era distruggere attraverso una semplice esplosione ma generare fotoni ad altissima energia: raggi gamma. Quest’ondata di raggi gamma si diffuse nell’atmosfera, strappando con la propria energia gli elettroni agli atomi nell’aria. Gli elettroni, essendo particelle cariche, quando sono messi in movimento generano un campo magnetico intensissimo, che si diffonde nello spazio circostante sotto forma di impulso elettromagnetico, il famigerato EMP. L’esplosione dello Starfish Prime sovraccaricò le linee elettriche e fulminò i lampioni nelle Hawaii. A 1.500 chilometri di distanza.

Apocalisse in salsa gamma

L’aurora generata dall’esplosione dello Starfish Prime, vista da Honolulu il 9 giugno 1962. (Cortesia: pubblico dominio)

Gli Stati Uniti temevano che i Sovietici riuscissero a costruire un ordigno simile. Volevano tenere i loro rivali sotto controllo e sapere immediatamente se stavano testando armi nucleari equivalenti. Avevano però un grosso problema: i raggi gamma non penetrano nell’atmosfera e, se l’URSS avesse testato le sue armi nello spazio, gli Americani non se ne sarebbero resi conto. Per poter vedere il segnale avrebbero dovuto lanciare un satellite per rilevare le radiazioni generate da questo tipo di testate sovietiche. Ma avrebbero anche dovuto imparare a distinguerli dai raggi gamma generati dal Sole o da altre fonti astronomiche. La soluzione era semplice ma costosa: lanciare più satelliti e triangolare la direzione da cui veniva il segnale, per verificare che cosa stessero architettando i dannati comunisti.

Detto, fatto: tra il 1962 e il 1967 gli Stati Uniti lanciarono cinque coppie di satelliti della serie Vela, con i loro rudimentali sistemi di rilevazione dei raggi gamma. Nel 1969 questi satelliti rilevarono qualcosa di strano. Il segnale non sembrava per nulla una bomba atomica, ma qualcosa di molto peggio: un picco di radiazioni gamma altissimo, della durata di una frazione di secondo. Ma non era chiaro quale fosse la sorgente. I sovietici avevano forse sviluppato una nuova, terribile arma?

Raggi mortali dall’oltrespazio

Ci vollero nuovi e più moderni satelliti, un sacco di soldi e altri sei anni prima che si capisse da dove diavolo venivano quei fenomeni, totalmente sconosciuti e incomprensibilmente potenti, che nessun astronomo sulla Terra si aspettava. Due scienziati, Ray Klebesadel e Ray Olson, pubblicarono una possibile soluzione all’enigma su “The Astrophysical Journal”, in un articolo intitolato “Gamma-Ray Bursts of Cosmic Origin”. Secondo i due, quelle cannonate di fotoni ad alta energia sembravano venire da punti a caso nello spazio… perché effettivamente venivano da punti a casi nello spazio. Non avevano idea di che cosa davvero fossero questi Gamma Ray Bursts (GRB) o di che cosa potesse causarli: erano soltanto riusciti a stabilire che non solo non venivano dalla Terra, ma che probabilmente non venivano neppure dal Sistema Solare. Era difficile immaginare che quello che li generava fosse all’interno del nostro sistema planetario, perché sembrava impossibile che un oggetto in grado di sprigionare così tanta energia fosse rimasto invisibile agli astronomi fino ad allora. E allo stesso tempo non potevano venire da troppo lontano, cioè da fuori della nostra galassia: quanto più lontana è una sorgente, tanto più deve essere luminosa per essere rilevata da noi. O i GRB erano gli eventi più energetici dell’universo, oppure una cosa del genere non era possibile. E l’idea di esplosioni assassine dall’oltrespazio sembrava veramente pura fantascienza.

Sembrava.

Levati di mezzo

Prima abbiamo scritto che i GRB sembravano arrivare da direzioni a caso nello spazio. Così era all’inizio degli Anni Settanta e così rimaneva nel 1991, quando la NASA lanciò il Compton Gamma Ray Observatory, un satellite dedicato a cercare la direzione precisa da cui venivano questi fenomeni incomprensibili. 2.700 osservazioni di esplosioni di raggi gamma dopo, la situazione non cambiava: la direzione continuava a sembrare casuale e le sorgenti distribuite in maniera uniforme nello spazio.

Apocalisse in salsa gamma

Anelli di raggi X si espandono e vengono rifratti da polvere cosmica, come increspature in uno stagno. Invece che da un sasso, queste onde sono state generate da un lampo gamma. (Cortesia: S. Vaughan/R. Willingale et al./XMM/ESA)

Questo, per quanto sembri un vicolo cieco, ci dà un’informazione importante: siamo al centro del mirino di chiunque stia lanciando queste ondate mortali. Ma, come Copernico insegna, noi non siamo al centro del Sistema Solare: siamo lontani 150 milioni di chilometri dal suo centro. Se i GRB venissero da una sorgente all’interno del sistema planetario ne osserveremmo una quantità maggiore da una particolare direzione. E invece siamo al centro del mirino.

Non solo: i GRB non possono venire neanche da sorgenti sparse nella nostra galassia. Siccome la Terra è più vicina all’orlo esterno della Via Lattea piuttosto che al suo centro, dovremmo vedere più segnali provenire dal centro. Ma non è così. Quindi i GRB devono venire da molto, molto lontano.

Quanto lontano? Nel 1997 un satellite italo-olandese, il BeppoSAX, rileverà un’esplosione di raggi gamma a stento osservabile anche nella luce visibile, rendendo così possibile una determinazione precisa della distanza. L’esplosione in questione ha il numero di serie GRB 970228 e viene da 9 miliardi di anni-luce di distanza. L’estensione spaziale dell’universo osservabile è di circa 14 miliardi di anni-luce: fa’ tu le dovute proporzioni.

Apocalisse in salsa gamma

Questo è tutto quello che Hubble, ai tempi il più sensibile telescopio ottico in attività, è riuscito a percepire di GRB 970228, il lampo gamma da nove miliardi di anni luce di distanza. “Ma è solo un blob con un altro blob praticamente indistinguibile!”, vien voglia di dire. Vero: ma è anche una foto 9 miliardi di anni nel passato, e solo il fatto che sia riuscita ad arrivare un po’ di luce, per quanto poca, fa capire quando può essere grande l’energia sprigionata da questi fenomeni.

La lampada e la torcia

Quando i fisici sostenevano che i GRB non potevano venire da fuori della nostra galassia perché sarebbero dovuti essere troppo energetici, si basavano su un principio molto semplice, che ci affligge nella vita di tutti i giorni.

Accendi una lampadina: la luce che genera si espanderà in una sfera con la lampadina stessa al centro. A mano a mano che la sfera cresce, la luce si affievolisce, e sembra così che la lampadina sia meno luminosa a un osservatore lontano. La relazione è il famoso inverso del quadrato: raddoppiando la distanza la luminosità diventa un quarto, e se ti sposti 10 volte più lontano la luce che ti arriverà sarà solo un centesimo di quella emessa dalla lampadina. Secondo questa semplice relazione, perché un Gamma Ray Burst sia visibile sulla Terra nonostante la distanza intergalattica che ci divide la quantità di luce emessa deve essere insensatamente grande: decine di ordini di grandezza superiore a quella che si può ricavare perfino convertendo tutta la massa di una stella in energia, secondo la formula E=mc^2 di einsteiniana memoria.

E se la sorgente non si comportasse come una lampadina ma come una torcia elettrica? Quando è puntata nella direzione giusta, una torcia appare molto luminosa anche da molto lontano, poiché la luce non viene spalmata in ogni direzione. Se così fosse, a un GRB basterebbe una quantità “solo” spaventosamente grande di energia per essere visibile a 9 miliardi di anni luce di distanza. Ma che cosa diavolo può concentrare un’esplosione in un raggio?

Un’altra buona ragione per temere i buchi neri

I fisici hanno gusti semplici in fatto di nomi. C’è una grossa stella rossa? La definiscono gigante rossa. C’è una piccola stella bianca? La chiamano nana bianca. C’è una grossa piega nello spaziotempo da cui assolutamente niente, neppure la luce, può riuscire a scappare? Lo chiamano buco nero. In quest’ultimo caso, tuttavia, sarebbe più appropriato un nome pieno di consonanti, alla H.P. Lovecraft. Perché poche cose nel cosmo sono più terrificanti di un buco nero.

Nulla sfugge all’attrazione gravitazionale di un buco nero. Nulla. Qualsiasi cosa si trovi nei suoi pressi sarà inesorabilmente inghiottito. Come può allora essere lui il responsabile dei GRB? Come può sparare lontano i GRB?

Dove c’è un buco nero, prima c’era una stella. E le stelle e i loro nuclei ruotano. Quando il nucleo collassa per formare un buco nero, la velocità di rotazione aumenta, proprio come la solita pattinatrice sul ghiaccio che stringe le braccia contro il corpo per piroettare più velocemente su sé stessa. Il buco nero ruota su sé stesso molto velocemente. E tutta la materia che gli gira attorno ruoterà, come l’acqua che scende per il lavandino. Quello che cade in un buco nero non viene semplicemente succhiato come in un aspirapolvere per sparire per sempre: no, si ritrova in un’infinita spirale discendente verso il centro del buco nero. La materia appena all’esterno comincia ad accumularsi e forma un disco schiacciato, che viene chiamato disco di accrescimento. Un buco nero veramente grosso può far ruotare le parti più interne del disco di accrescimento a velocità molto vicine a quelle della luce. La materia intrappolata in questo furioso roteare comincia a scaldarsi per attrito, dovuto allo sfregamento e alle collisioni tra tutto quello che viene trascinato ad alta velocità dal buco nero. L’attrito è tale che la temperatura arriva a milioni di gradi. Questo calore tende a spingere via le particelle leggere. Quando si spostano verso l’esterno del disco di accrescimento, verso il raggio più ampio della spirale, si schiantano contro altre particelle e non possono allontanarsi. Ma, se queste si muovono perpendicolarmente alla spirale, verso l’alto o verso il basso, non sono ostacolate da nulla e possono essere accelerate e sparate lontano dal buco nero. Due flussi gemelli vengono generati perpendicolarmente al buco nero. Pochi istanti dopo la formazione del buco nero nel nucleo stellare, la stella viene totalmente divelta e lasciata a brandelli a miliardi di gradi dai due getti di materia che si propagano inesorabili a velocità quasi indistinguibili da quelle della luce. All’interno dello stesso getto alcuni fronti d’onda si muovono più velocemente di altri. Quando si scontrano tra loro, si contorcono creando turbolenze che disgregano tutto quello che si trova all’interno in particelle subatomiche, emettendo di conseguenza quantità mostruose di raggi gamma. A quel punto la stella è definitivamente morta. E il lampo di raggi gamma inizia il suo viaggio.

C’è davvero da aver paura?

Va bene, i buchi neri e i GRB sono terrificanti: il concetto è chiaro. Ma tutta la menata all’inizio dell’articolo… quanto è probabile che capiti? In fondo non abbiamo mica visto svariate migliaia di GRB e siamo qui a raccontarlo?

Beh, è vero: noi siamo qui a raccontarlo. Perché possa far danni davvero apocalittici un GRB dev’essere vicino e aver disperso poca energia. Non solo: la Terra deve anche avere la sfortuna di essere investita direttamente dal getto di energia in uscita, che fortunatamente sulle brevi distanze (decine di anni-luce) è piuttosto stretto. Non ha più senso preoccuparsi di cose come gli asteroidi? Quelli sì che han fatto grandi danni: hanno spazzato via i dinosauri! L’estinzione del Cretaceo ha cancellato il 76 per cento delle specie sulla faccia della Terra, e tu dovresti preoccuparti di improbabili getti assassini?

L’estinzione dei dinosauri sarà forse la più famosa, ma non è stata certo l’unica nella storia della Terra. L’estinzione dell’Ordoviciano, avvenuta circa 440 milioni di anni fa, è la seconda più grande estinzione di massa della storia della vita: forse si tratta di due estinzioni giganti separate da non più di un milione di anni. Quale sia la causa di un simile evento non è ancora chiaro, ma l’ipotesi che sia stata un lampo di raggi gamma si sta facendo strada nella comunità scientifica. Un GRB avrebbe colpito prima gli animali e le piante più esposti in superficie, infliggendo meno danni a chi abitava nelle profondità degli oceani ed era quindi meno esposto agli ultravioletti. Guarda caso, troviamo proprio un andamento di questo tipo nei fossili. Un lampo gamma avrebbe anche potuto iniziare una serie di cambiamenti climatici tali da generare una gigantesca glaciazione globale, condita da piogge acide su scala planetaria, in grado di innescare una seconda rapida estinzione. Magari un milione di anni dopo.

Apocalisse in salsa gamma

Selenopeltis buchi, uno dei tanti trilobiti spazzati via nell’estinzione dell’Ordoviciano. Preferiremmo evitare di fare la sua fine. (Cortesia: A. Tavecchio)

Queste prove circostanziali sono interessanti sebbene supportino solo un’ipotesi, senza che ci sia ancora un consenso nella comunità scientifica. Però vale la pena tener presente che l’idea che un GRB abbia causato un’estinzione di massa viene presa abbastanza sul serio… al contrario di certe cialtronate sui Maya e affini, come sembra dimostrato in queste ore.

La fine è vicina? Inizio a costruirmi un bunker?

Non è il caso di fare allarmismi. Bisogna sempre tener presente che, per colpa di quel limite superiore assoluto che è la velocità della luce, guardando lontano nello spazio guardiamo anche lontano nel tempo. La maggior parte dei GRB arriva dallo spazio profondo e da galassie lontane: vengono perciò da un passato profondo. I lampi gamma sono diventati meno frequenti, tanto più che l’universo è cresciuto ed è cambiato in struttura e composizione: le stelle più vicine a noi sono più giovani e contengono, in percentuale, molti più elementi pesanti come calcio, ferro e ossigeno, che ostacolano la produzione di questi raggi della morte durante il collasso del loro nucleo, fossero anche stelle gigantesche.

Quindi no, per quanto sia tecnicamente vero che la fine del mondo per colpa di un GRB potrebbe arrivare anche domani, non vale la pena di perderci il sonno. Anche perché comunque nessuno potrebbe farci nulla. E del resto l’Apocalisse si affronta meglio ben riposati.


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