Cos’è la guerra se non la totale perdita di senso? Se non il sovvertimento dei valori? Un voto alla follia, in cui non esistono più ricchi e poveri, bianchi e neri, giovani e vecchi, uomini e donne, ma esseri umani accomunati dallo stesso, medesimo dolore. Dallo stesso, identico destino: la distruzione e la morte. La guerra è annientamento, appiattimento; la guerra ci rende tutti uguali, si dice. Mette gli uomini sullo stesso livello. E perdere il senso significa sentirsi, poi, persi. Una sensazione di smarrimento che pervade lo spettatore di fronte al film di Coppola quando, sullo schermo, come un’enorme tela, dominano sequenze monocromatiche, enormi campiture di colore. Solo grigio, solo blu, solo verde, solo giallo; le forme si confondono, dobbiamo cercare con lo sguardo i personaggi, che si perdono, nella foresta, nel campo, nel fango: il colore qui sembra avere la funzione di annientare l’identità. Di fatto la perdita della “vera” identità, che si esplicita poi nella perdita del ruolo, è uno dei temi dominanti sin dall’inizio del film: Willard, capitano senza una missione, senza una ragione, e Kurtz, colonnello del quale apprendiamo le bizzarre attitudini dal resoconto informale di documenti letti da una sterile voce fuori campo. Kurtz, uno dei protagonisti, vero motore narrativo è, sino quasi alla fine del film, solo una sollecitazione per la curiosità dello spettatore. Una fotografia, uno scritto, un racconto. Si rivelerà solo alla fine; ma, veramente? Forse, possiamo dire. Perché Kurtz rimane buio, ombra, assenza di luce e, perciò, di colore. E quando, finalmente, appare agli occhi dello spettatore in quello che dovrebbe essere tutto il suo vigore, quando insomma, finalmente, riusciamo a vederlo, egli è completamente coperto di fango nero; apparendo, in realtà, come un’enorme massa informe, che si confonde con il paesaggio circostante, che si perde nelle tenebre della notte. Proprio nel momento in cui la verità dovrebbe svelarsi, anche alla vista, il colore copre e nasconde. Annientamento dell’identità e occultamento. Non a caso ci troviamo in Vietnam, dove la vegetazione la fa da padrona. Così come il fango, la foresta cela il nemico. In una missione in cui lo scopo è trovare qualcuno, tutto ciò che circonda i personaggi volge a loro sfavore, perché, attraverso un accurato uso del colore e della luce, tutto si nasconde. Ecco perciò che i momenti in cui sullo schermo appaiono forti e distinti sprazzi di colore, quasi vigorose pennellate, sono i momenti in cui si vuole sottolineare una presenza, un contrasto, dal quale fare emergere un’identità. Willard e Kurtz sono entrambi vittime e carnefici: “ Voi assassini dite a me che io sono un assassino” dice all’inizio, tramite la lettura del racconto, Kurtz. Ecco perché sono dipinti con la medesima tavolozza. Il tenente colonnello Kilgore invece ci tiene proprio a non confondersi con la massa; il suo arrivo è annunciato dalla musica e confermato, oltre che dagli evidenti azioni di distruzione, da un diverso uso del colore: i fumogeni giallo e arancio e, segno ancor più forte, le fiammate del napalm, che accendono letteralmente lo schermo con i loro bagliori. Segnali che testimoniano una presenza, un essere lì, che sembrano dirci: “Ci siamo, siamo noi che abbiamo fatto questo!”. Azioni di un narcisismo sfrenato che hanno il fine di affermare con forza un’identità. Effimera per altro, poiché, se si nota, il colore dei fumogeni pian piano si diffonde, coprendo di una spessa coltre ocra il finale della sequenza facendoci perdere di vista, ancora una volta, i personaggi.
Dove la guerra però non è istituzionalmente definita, non è indossare una divisa in nome di una patria e non ci sono soldati, i “guerrieri” combattono per affermare la propria identità. Il colore in “The Warriors” smette di essere strumento di mimesi, per divenire strumento di affermazione, rivelazione. Tu sei quello che mi mostri: un volto dipinto, un gilet fuxia, un giacchino di pelle, un abito nero. Sul valore del colore s’incardina il paradosso di fondo del film e dei suoi protagonisti: trovandosi a percorrere decine di miglia in territorio nemico gli Warriors, invece di mimetizzarsi e rinunciare così alla propria diversità e identità pur di salvare la pelle, scelgono invece di essere se stessi, sempre e comunque, rischiando addirittura la vita. Se in “Apocalypse now” scopo della missione era la ricerca e il ritrovamento, ma ciò era impedito dal continuo occultamento, in “The Warriors” lo scopo dei membri del gruppo è quello di raggiungere una meta passando inosservati; cosa che, di fatto, è resa impossibile dalla continua volontà di affermare la propria diversità. Cosicché basta uno sguardo per scorgere, anche se lontano, il membro di una band rivale. Come membri di un’antica tribù i guerrieri della notte indossano abiti (non mimetiche), adornano il proprio corpo, lo dipingono con colori sgargianti…tanto forti da coprire persino il diverso colore della pelle. Creano per se stessi un’identità in grado di sovrastare persino l’identità razziale.
TITOLO ORIGINALE The Warriors
ORIGINE USA, 1979
REGIA Walter Hill
SOGGETTO Dal romanzo omonimo di Sol Yurick
SCENEGGIATURA David Shaber, Walter Hill
FOTOGRAFIA Andrew Laszlo
MUSICA Barry De Vorzon
MONTAGGIO David Holden
INTERPRETI Michael Beck (Swan), James Remar (Ajax), Dorsey Wright (Cleon), Deborah Van Valkenburg (Mercy) David Harris (Cochise), Roger Hill (Cyrus), David Patrick Kelly (Luther), Tom McKitterick (Cowboy), Terry Michos (Vermin), Marcelino Sànchez (Rembrandt), Lynne Thigpen (Deejay), Brian Tyler (Snow)
DURATA 93′
TITOLO ORIGINALE Apocalypse Now
ORIGINE USA, 1979
REGIA Francis Ford Coppola
SOGGETTO Dal romanzo “Cuore di Tenebra” di Joseph Conrad
SCENEGGIATURA Francis Ford Coppola, Michael Herr, John Milius
FOTOGRAFIA Vittorio Storaro
MUSICA Camine Copola, Francis Ford Coppola, Mickey Hart, The
Doors
MONTAGGIO Lisa Fruchtman, Gerald B. Greenberg, Richard marks, Walter Murch
INTERPRETI Martin Sheen (Cap. Benjamin L. Willard), Marlon Brando (Col. Walter E. Kurtz), Robert Duvall (Ten. Col. William “Bill” Kilgore), Frederic Forrest (Jay “Chef” Hicks), Albert Hall (George Phillips), Dennis Hopper (fotoreporter), Harrison Ford (Col. Lucas)
SCENOGRAFIA Dean Tavoularis, Angelo P. Graham, George Nelson
DURATA 141′ (versione originale) ,193′ (versione redux)