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Consumiamo per vivere o viviamo per consumare?

Creato il 22 settembre 2012 da Theanonymato

“In un mondo dove si spreca troppo, la sfida è sviluppare un paradigma alternativo finalizzato a ridurre i nostri consumi senza necessariamente modificare il nostro livello di benessere. 
Bisogna cercare la sostenibilità dei processi, oltre che dei prodotti, per affermare una logica nuova, quella della sufficienza, che sia in grado di intervenire in modo concreto sui modelli di consumo, riducendo a monte lo spreco delle risorse. 
Dobbiamo sprecare di meno. Questo è un imperativo etico: lo spreco è dappertutto, siamo circondati. Eliminarlo è impossibile, ridurlo si può. Soprattutto non dobbiamo alimentarlo. Dobbiamo raggiungere la sufficienza: meno SPReco, più ECOlogia uguale a SUFFICIENZA.”

Con queste parole Last Minute Market, società spin-off dell’Università di Bologna nata nel 1998, si rivolge direttamente ai consumatori, i veri destinatari del progetto: quello di prevenire e ridurre i rifiuti attraverso la valorizzazione dei beni invenduti con effetti positivi dal punto di vista ambientale, sociale, economico e nutrizionale.
Nato come progetto di ricerca, Last Minute Market si è sempre occupato di analizzare tutti i passaggi delle filiere agroalimentari e individuare dove e perché si originano gli sprechi. 
Dopo alcuni anni di studi e ricerche universitarie, LMM ha messo a punto nel 2000 il primo sistema professionale in Italia di riutilizzo di beni invenduti dalla Grande Distribuzione Organizzata. Dal 2003 diventa realtà imprenditoriale ed opera su tutto il territorio nazionale sviluppando progetti territoriali volti al recupero dei beni invenduti (o non commercializzabili) a favore di enti caritativi. LMM si avvale di un team operativo giovane e dinamico affiancato da docenti e ricercatori dell’Università di Bologna. Con oltre 40 progetti attivati in comuni, provincie e regioni Italiane, LMM ha consolidato un metodo di lavoro efficace ed efficiente che permette di attivare in maniera progressiva il sistema donazioni/ritiri tenendo sotto controllo gli aspetti nutrizionali, igienico-sanitari, logistici e fiscali.
I modelli logistico-organizzativi adottati, permettono di recuperare in totale sicurezza tutte le tipologie di prodotto, inclusi i prodotti che rientrano nelle categorie dei “freschi” e “freschissimi”.

CONSUMIAMO PER VIVERE O VIVIAMO PER CONSUMARE?

Nel corso degli anni il modello è stato esteso ad altre tipologie di beni e di attività commerciali e produttive, intervenendo ovunque si “producano” sprechi.
Oggi, oltre al settore dei prodotti alimentari derivato da eccedenze di attività commerciali e produttive LMM si occupa dei prodotti ortofrutticoli non raccolti e rimasti in campo, dei pasti pronti recuperati dalla ristorazione collettiva (es. scuole, aziende) ma anche di farmaci da banco e parafarmaci prossimi alla scadenza e libri o beni editoriali destinati al macero.
Grazie a LMM, non solo i cittadini vengono educati a un consumo più etico, ma Istituzioni e imprese possono trarre grandi vantaggi: le Istituzioni vedono diminuire il flusso di rifiuti da gestire e ottengono maggiori risorse per l’assistenza alle fasce più deboli della popolazione. Le imprese avrebbero una riduzione dei costi di smaltimento, con una progressiva diminuzione delle eccedenze, migliorando sia il legame con il territorio sia l’immagine stessa dell’azienda.
Il coinvolgimento attivo delle Istituzioni permette di strutturare il progetto in maniera più efficiente ed efficace. La collaborazione con le Istituzioni dà maggiore garanzia ai progetti LMM, può realizzare una rete locale in grado di avvicinare imprese e aziende del territorio alle realtà del terzo settore e di offrire alle aziende partecipanti benefici in termini di comunicazione sociale e/o sconti sulla tassa/tariffa dei rifiuti.
Tutto questo non sta ovviamente a significare che dobbiamo metterci alla ricerca di prodotti che stanno per scadere. Nel nostro piccolo ognuno deve fare appello al proprio buon senso ed è fondamentale sapere interpretare le date di scadenza dei prodotti acquistati con un minimo di cognizione. Per quanto ci sforziamo, infatti, pare non esistere cibo – dal pane ai latticini, dai prodotti in scatola ai surgelati – che riusciamo a consumare per intero, senza buttarne almeno una parte nella pattumiera.
In generale, la normativa italiana prevede che, per i prodotti che si conservano meno di 3 mesi siano specificati giorno, mese e anno entro cui consumare l’alimento. Bastano il mese e l’anno per quelli che durano fino a 18 mesi e soltanto l’anno per quelli che si conservano di più di un anno e mezzo. Alla luce di questo dato, è più semplice capire come bisogna comportarsi: dando maggiore importanza alle scadenze degli alimenti freschi e un po’ meno a quelle dei cibi inscatolati, riusciremo già a eliminare gran parte degli sprechi di casa nostra.
La scadenza che bisogna rispettare assolutamente è quella del latte, perché, dopo pochi giorni dalla produzione può fare davvero male. Stesso discorso per le uova che scadono 28 giorni dopo la data di deposizione. Lo yogurt, invece, dura un mese, ma si può mangiare anche qualche giorno dopo la data indicata sul coperchio: i termini di legge impongono la stampigliatura di una data, ma i fermenti lattici restano vivi ancora per alcuni giorni successivi, anche se diminuiscono di numero.
Il discorso è molto diverso per tutti quei prodotti in cui la data di scadenza è associata alla scritta Da consumarsi preferibilmente entro… Per esempio la pasta, che – se conservata con cura – scade dopo due anni. In questo caso si può consumare anche un mese oltre la data indicata. Per i prodotti in scatola vale la stessa regola: il tonno, ad esempio, si deteriora in cinque anni, e non sarà velenoso anche qualche mese dopo la data indicata.
Ridurre lo spreco nella vita quotidiana è il primo passo da cui partire per contribuire alla realizzazione di una società eco-efficiente o, meglio, eco-sufficiente, ed è un vantaggio per tutti.

qualche numero
Recentemente la FAO ha reso disponibile uno studio sulle perdite e sullo spreco di cibo, commissionato all’Istituto svedese per il cibo e la biotecnologia (SIK).
È stimato che circa 1/3 del cibo prodotto per consumo umano sia sprecato dai rivenditori e compratori, o vada perduto lungo i processi produttivi: circa 1,3 miliardi di tonnellate.
670 milioni di tonnellate nei paesi industrializzati, soprattutto per spreco dei rivenditori e consumatori.
630 milioni di tonnellate nei paesi in via di sviluppo, soprattutto per perdite dopo il raccolto e nella lavorazione.
Comparando gli sprechi: annualmente i consumatori dei paesi ricchi sprecano quasi la stessa quantità di cibo dell’intera produzione alimentare netta dell’Africa sub-sahariana.
Frutta e verdura, radici e tuberi sono gli alimenti che vengono sprecati maggiormente.
La produzione alimentare totale pro capite è circa di 900 kg all’anno nei paesi ricchi e 460 kg all’anno nei paesi più poveri. In Europa e in Nord America lo spreco pro capite da parte del consumatore è calcolato intorno ai 95-115 kg all’anno, mentre in Africa sub-sahariana e nel sudest asiatico ammonta a soli 6-11 kg l’anno. Nel 2010 ogni italiano ha buttato via 27 chilogrammi di alimenti ancora commestibili, 8,8 milioni di tonnellate in tutto, il 10% del totale europeo. Una perdita di 454 euro a famiglia.
Quanto alle perdite, il rapporto osserva che esse divengono perdite di reddito per i piccoli contadini. Quindi prezzi più alti per i consumatori poveri. “La riduzione delle perdite potrebbe dunque avere un effetto immediato e significativo sulle loro condizioni di vita e sulla sicurezza alimentare dei paesi più poveri”.
In Italia, la Coldiretti stima che annualmente si spreca cibo per circa 37 miliardi di euro, sufficienti a nutrire 44 milioni di persone. Circa il 3% del Prodotto interno lordo finirebbe nella spazzatura.


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