Un’attrice e due attori in scena. Dietro di loro una scenografia digitale. Qualcuno fa musica appropriata quando è il momento.
[Deimos e Phobos tolgono le maschere di guerra]
Deimos [Perelman di "Apokalypsis pour homme"]: Allorché schiere di armigeri si frantumano reciprocamente corazze e ossa inscatolate nelle corazze stesse, intorno a quelle ossa destinate ad essere frantumate c’è un uomo terrorizzato dalla prospettiva di morire in battaglia. Qui intervengo io. Il mio nome è Deimos. Sono il terrore.
Phobos [Olbrecht-Tyteca di "Apokalypsis pour homme"]: Allorquando battaglioni di soldati desiderosi unicamente di tornare a casa dalle mogli e dai figli a sorbire caldi brodini di pollo si massacrano reciprocamente privandosi della possibilità di tornare da mogli, figli e brodini, intuendo che il massacro è imminente provano molta paura ma solo per poco poi la morte. Qui intervengo io. Il mio nome è Phobos. Sono la paura.
Enio: Ragazzi c’è una questione da affrontare con una certa urgenza.
Phobos: Prima ci si presenta.
Enio: L’urgenza è tanta.
Deimos: La prassi impone presentarsi.
Phobos: Fallo come sai farlo.
Enio: [con furore] Quando la terra si impregna di sangue del guerriero e per mille anni il grano che affonda le radici in quella terra beve quel sangue e i popoli che si nutrono del pane che da quel grano immerso nel sangue ha tratto le farine che ingloba e sono farine impastate nel sangue quei popoli ringraziano gli dei per il pane e non sanno che quel pane è pane di sangue e terra dove il guerriero ha urlato prima di soccombere io sono lì a fare quello che devo e mi piace fare perchè sono Enio e di mio fratello Ares sono l’arma più feroce di cui al dio della guerra spettò disporre. [calma] Può andare così? Posso dire?
Phobos e Deimos: [colpiti dalla furia di Enio le fanno cenno di esporre la questione]
Enio: [sconfitta] Con tutta probabilità non saremo più noi a gestire le cose.
Deimos: Di qualunque cosa si tratti sembra una prospettiva rilassante.
Enio: Per nulla tale. Si abdica piuttosto. Ci si ritira sommessamente e si lascia la sedia sgombra affinché il culo di qualcun altro si segga.
Phobos: A chi si lascia cosa affinché quale culo di chi?
Enio: Il volgere dell’Era degli accoglienti olimpii a favore del prevaricatore giudaico-cristiano.
Phobos: Di lui si parla dunque. Ancora di lui.
Deimos: Nostro padre Ares, parlo di tuo fratello, non lo permetterà. Quegli ipocriti cristiani non potranno fare a meno di noi a lungo. Avranno pure un dio solo che contempera il potere di innumerevoli divinità singole ma quegli starà nel centro del cielo a immergersi nell’alito tiepido generato dalle preghiere che gli sale lungo le caviglie e le cosce, appagato e tronfio. Ebbro di ciò. Chi si occuperà allora del pargolo avvolto dal grembo della madre custodendolo, chi del ruscello che scorre paziente guidandolo, chi della criniera fluttuante nella corsa orientandola, chi della schiuma curiosa dell’onda solleticandola, chi della felce emulante la mano configurandola, chi del desiderio nutrendolo, chi della saggezza apprezzandola, chi del sonno somministrandolo, chi del sogno dipingendolo, chi della guerra ordendone il compimento letale? Gli dei lo hanno sempre fatto. Ci chiameranno presto indietro a prenderci cura di ciò che senza di noi è solo e vuoto.
Enio: Ares non interverrà.
Deimos: Dovrà farlo.
Enio: Ares non interverrà.
Deimos: Dove sai essere nostro padre?
Enio: Ares non interverrà.
Deimos: Cosa vai dicendo dea dei massacri?
Enio: Dico che Ares ha disposto sia approntata l’imbarcazione che lo riporterà presso i Traci. Nella porzione di quella terra che gli spetta. Accanto ad Atena. Mi ha lasciato il suo cane con sei dita da accudire e lo puoi vedere qui accanto a divorare l’aria per non perdere la consuetudine.
Deimos: Il dio della guerra sanguinaria e la dea della strategia militare, quanti avrebbero potuto condurci alla vittoria contro l’usurpatore, entrambi fuggiti in Tracia, dove le genti cantano ancora i loro inni, lasciando campo libero al Signore delle croci. Gli uomini hanno privilegiato le chiese ai templi e il dio senza volto agli dei il cui volto polimorfo ogni cosa rispecchia. Arrendiamoci o soccomberemo. Senza templi e tabernacoli ed erme di noi non sarà nulla. Nulla sarà se le offerte non ci saranno più tributate.
Phobos: Arrendiamoci pure ma prima della resa trastulliamoci per un’ultima volta coi passatempi che ci dilettano tanto. Togliamo la maschera fratello crudele e mostriamo il volto di centomila aculei che ne è celato. Vibriamo percussioni delle membra come magli selvaggi sulla roccia delle montagne più dure per annunciare che Deimos e Phobos discendono verso la pianura e di ogni città che inerme li attende faranno recinto di contenzione disperata, alveo di terrore senza respiro e ultimo definitivo macello di quanto vive. Non ci sacrificheranno più cani come Ares ha insegnato loro si deve. Allora noi sacrificheremo loro come i cani che sono.
Deimos: Taci e rifletti fratello spietato.
Phobos: Rifletti tu che io sento l’odore del piscio che scivola lungo le gambe delle mie vittime future.
Deimos: Le cose non sono come appaiono.
Phobos: Dubita pure che sento il piscio di una folla unirsi in un fiume.
Deimos: Questa resa è incomprensibile. Che Ares “Il distruttore di uomini”, che Ares “L’assassino di uomini”, che Ares “Colui che è macchiato di sangue”, che Ares “Colui che assalta le mura”, che Ares “Il brutale” sia in Tracia a bere idromele è certo ma del motivo sia lecito domandarsi.
Phobos: Domandati e risponditi quanto vuoi che il piscio dei popoli divenuto fiume ora si fa lago e tosto il lago si fa mare e presto saprà sommergere il mondo se il terrore che gli uomini e le donne fa pisciare nelle vesti sia quello che io porterò tra loro. Sia quello che io diventerò ancor prima di averlo detto.
Deimos: Enio. Ci fossero cose nascoste le sveleresti a noi della tua stirpe?
Enio: Come puoi dubitare della zia?
[intermezzo musicale con visioni di evento bellico]
Phobos: Allora si va a tormentare qualche popolo?
Deimos: Cessa di latrare Phobos e considera questo: senza Ares e Atena a condurre le civiltà d’Oriente e Occidente le une contro le altre, il mondo sarà pacificato. Nessun conflitto. La quiete. Per sempre.
Phobos: Schifosa pace per sempre? Si dà a vomitare persino il cane di ferro effigiato sulla mia egida.
Deimos: Tale piano ha concepito il nuovo dio unico: mai più la guerra. Ogni popolo fratello dell’altro. Le genti che collaborano alla costruzione di una nuova età aurea.
Phobos: Si occupi di annientarci il re dei cieli pallidi. E lo faccia presto perché del suo mondo, prima che il settimo mese trascorra, non lascerò nulla vivente.
Deimos: Ci combatterà. Prima ci adulerà. Offrirà un contraccambio. Vestali. Ricchezze. Poteri. Ritenendoci ammansiti ci combatterà. Enio che ascolti immutabile ed enigmatica, cosa sai o trami. Dillo.
Enio: Accarezzo questo animale che accompagnò Ares e divorò al suo comando. Osservo due villani che laggiù, poco scostati dalle pendici dell’Olimpo, si disputano scioccamente uno stadio di terra infertile e grigia.
Phobos: Lascia i villani disputare che nemmeno ci riguarda. Che ti disse nostro padre al colloquio che aveste?
Enio: Dettagli ai margini della contrattazione.
Deimos: La contrattazione col dio unico?
Enio: Quella.
Phobos: Diccene l’essenza e dopo i dettagli pure.
Enio: Fammi rammentare.
Deimos: Tu rammenti ma tergiversi.
Enio: Sbagli dio guerriero.
Phobos: Fossimo noi due quei dettagli.
Enio: Si menzionò qualcosa.
Deimos: I nostri nomi.
Enio: Ecco qualche luce sul ricordo.
Phobos: Odoro il vapore dell’inganno che si diffonde.
Enio: Tutto questo discorrere mette sete che conviene lenire.
Deimos: Berremo quando avrai detto.
Enio: E i due villani laggiù si azzuffano come i galletti della Cappadocia. Pare uno di loro sanguini. Ciononostante continuano a discutere anche menandosi. L’eloquio loro mi sorprende. Paiono versati nella retorica e nella sofistica.
Phobos: Guarda qui che di laggiù non ce ne cala.
Enio: Forse mi sovviene qualcosa ma prima si beva se no la bocca arida produrrà solo sibili di basilisco.
Deimos: Allora si beva tutti che di parlare occorre tanto e ancora.
[bevono tutti durante un intermezzo musicale condito dalla visione di nuovi eventi bellici]
Enio: L’acqua fresca mi fa tornare parola e memoria. Ora vi dirò le cose che accadranno.
Phobos: Hai visitato gli aruspici di recente, zietta?
Enio [cambia tono divenendo cupa e minacciosa]: Ora taceranno le bocche che non sono la mia. Quanti parleranno saranno morsi dal mio cane che lo aspetta.
[Deimos e Phobos tacciono sorpresi dalla metamorfosi di Enio]
Enio: Il dio unico ha prevalso. Gli dei molteplici hanno rinunciato a opporsi quando i popoli si sono voltati verso la croce che quegli idioti di Romani hanno creduto risolvesse la questione e adesso si trovano appesa ovunque a rammentare che il paganesimo e l’Era delle narrazioni è giunta al termine. Colui che ci ha vinti prima che iniziassimo a combattere ha richiesto due condizioni per non dissolvere ogni traccia del nostro nome e della nostra immagine. Nome e immagine. Quanto di più preioso abbia l’uomo come la divinità. Quanto gli necessita affinché si sappia chi è ed egli stesso lo sappia. La prima condizione: ciascun dio sarebbe tornato alla terra da cui proveniva. A Perciò ad Ares spettò la Tracia. La seconda condizione: affinché la fede in Lui non decada, occorre che peste, carestia, distruzione e morte non smettano mai di sancire che l’uomo è fatto di dolore ardente e di null’altro da questo, e che solo a Lui possa appellarsi per trovare sollievo. Ma Lui non ha tempo per organizzare e gestire complicate faccende che sporcano le mani e i piedi se ti ci metti a trafficare. Allora, secondo gli accordi, alcune divinità minori asseconderanno per l’eternità l’incessante e ciclico perpetrarsi della sofferenza nelle forme che l’uomo conosce. A voi questo ruolo nel campo che vi spetta per natura, indole e retaggio.
Deimos: Tu sai. Tu, avverto, sei lo strumento del compiersi di quanto hai descritto.
Enio: Lo sono Deimos.
Phobos: Dirti meretrice è adularti.
Enio: Mi insulti senza ferirmi. E dal tuo sguardo individuo che già non comprendi più chi insulti. Forse lo stai dimenticando?
Deimos: Cosa bevemmo in quelle coppe ingannatrice? Cosa vi versasti lercia secrezione di culo d’erinni?
Enio: L’acqua del Lete che dona l’oblio anche agli dei se necessita. Dimenticherete chi siete e combatterete in eterno ripetendo ogni gesto senza sapere che accade e come la macina di un mulino nel suo incessante ruotare procurerete il nutrimento all’odio degli uomini. La ferocia del fratello sarà rivolta verso il fratello. Nel mio teatro di nessun’altro, dove nessun’altro potrà divenire bersaglio del vostro odio innato, sarete a dilettarmi e quando vorrò giocherò con voi e quando mi stancherò di guardare accarezzerò il mio cane.
Phobos: La fine dei tempi fermerà tutto questo? Potremo salvarci allora?
Enio: Spiacente. L’Apocalisse è la menzogna che permette di credere alla fine del tormento.
Phobos: Ai figli di tuo fratello fai ciò.
Deimos: Come puoi tu?
Enio: Sì. Non è costume. Vi darò un nome diverso in ogni epoca così mi parrete estranei. E affinché tutto questo colpire e ferire e mutilare e uccidere sia condito dalla varietà e dalla modernità che necessita.
Deimos: Dove saremo imprigionati. Quale segreta o antro dell’Ade hai predisposto?
Enio: Nessuna segreta o antro infernale. Ruoterete interno al pianeta che chiameranno come il dio della guerra.
Phobos: Chi erano quei due villani Enio. Dillo prima che dimentichi di avere domandato.
Enio: Erano il vostro riflesso lesto nel precedervi.
[sigla]