Uno dei fenomeni dilaganti e degradanti del c.d. “berlusconismo” consiste nell’accentuazione dell’uso di determinate categorie tali da rappresentare una vera e propria ghettizzazione, resa socialmente approvabile e giustificata tramite lo strumento della falsa ironia che, a mio modesto parere, altro non è che un’arma di distrazione di massa.
Per principio mi sono sempre battuto contro le categorie. Quando queste sono uno strumento di analisi (kantiana) del discorso, allora le approvo. Ma se la categoria è il fine ultimo, allora, come diceva quel tale, facciamo due comunità diverse.
Tante comunità diverse quante categorie esistono. Tanti ghetti diversi.
Premesso che la ghettizzazione invisibile e onnipresente nel corso della storia è quella dei ceti sociali (non dico che non sia possibile passare da un ceto all’altro nella società occidentale, però riconosco anche che proprio questo passaggio suggella l’esistenza del ceto. Si badi, non uso la parola casta, connotata da chiusura, da alto feudalesimo, ma appunto ceto, parola figliata dall’ammorbidente uso della linguistica), non vedo però come non ci si debba occupare di problemi considerati “minori”.
Il bimbominkia.
Come sempre accade quando si rileva un fenomeno sociale, il problema non è dei rilevati, ma dei rilevatori, di chi si accanisce a compiere l’indagine.
Su youtube è facile trovare centinaia e centinaia di video su questa categoria, altrettanto condivisi dalla rete all’interno di post di blog (come questo) e social network. Nel 99,9% dei casi, questi ragazzini che giocano, che per me sono questo, ragazzini che giocano, sono oggetto di scherno.
Finché si diventa, consapevolmente o no, oggetto di scherno, restiamo nell’ambito della natura umana. Qualsiasi antropologo, penso da ignorante, ce lo potrebbe confermare. In fondo parliamo anche dell’esigenza della catarsi e del riso.
Quando però abbandoniamo l’umana natura e la questione si fa patologia? Penso quando una categoria nasce, chi l’ha fatta nascere (non quelli all’interno, loro malgrado) della categoria, ma il categorizzante, il padrone del ghetto, è appunto l’esempio sfrenato di “proprietario convinto dei propri valori”.
Nimby: not in my backyard. Non voglio bimbiminkia nel mio guardino, al massimo solo nani. Che lavorino.
Ora proviamo a entrare, per quel poco che mi concerne, nel merito della questione.
Questi bimbiminkia saltano al ritmo della loro musica, giocano a modo loro con quel che vogliono. Finché ciò non attraversa il comune senso del pudore e del buon costume, penso sia consentito. Senza facili ironie, però, sul comune senso del pudore e del buon costume: ho già concesso questo paletto.
Usano le “k”. Questa generazione potrebbe, omg, cambiare il futuro della lingua. Dove finiremo? Oh tempora, oh mores! Sono questi il nostro futuro? Signor parroco, l’umanità è afflitta dal problema del bimbominkia! Come facciamo, signor sindaco? Faccia qualcosa! Fate qualcosa!
Ma scusate, ma voi, prima eravate tanto meglio? Solo perché non c’era youtube, allora non potevate mettere le vostre “Kazzate” sul tubo? Cosa ascoltavate, voi migliaia? Chopin e Bach? Che cosa mangiavate a pranzo? Caviale e champagne?
Di solito quando vedo il video di un bimbominkia non mi viene da pensare “come sta messo” ma semplicemente: beato lui che si diverte. E poi ricordo che io, come lui un giorno se sarà fortunato, devo tornare al lavoro.
Siamo probabilmente, inconsciamente, invidiosi di quella “parvenza di libertinaggio”. E ho anche il vago sospetto che le generazioni meno giovani di oggi, costrette a guardare troppi bimbiminkia a causa di precariato e disoccupazione, stiano diventando la punta dell’iceberg di un nuovo, solidissimo conservatorismo.
La colpa non è loro, la verità è che al mondo, a voi, a noi, loro…servono così.