Scegliere una lista e individuare un candidato è cosa seria e va fatta al di là dei giochini politici tutti interni ai confini nazionali. Il voto di fine maggio è invece lo strumento – l’unico – in nostro possesso per indicare un nuovo percorso, per incamminarci su un’altra strada di Europa. Quella dell’eguaglianza, dei beni comuni, dell’accoglienza aperta ai diversi e ai distanti, della pace. I guardiani dell’ortodossia liberista vogliono un’Europa austera a taglia unica. Magari sempre più diseguale.
Come riviste missionarie indichiamo cinque grandi tematiche che gli eletti a Strasburgo e Bruxelles devono avere a cuore: gli Epa; la pace e il commercio delle armi; i migranti; la cooperazione internazionale e il volontariato; la libertà religiosa.
Con gli Accordi di partenariato economico (Epa), l’Ue chiede ai paesi Acp (Africa, Caribi, Pacifico) di eliminare le barriere protezionistiche in nome del libero scambio. In questo modo le nazioni africane saranno costrette a togliere sia i dazi sia le tariffe oltre ad aprire i loro mercati alla concorrenza. La conseguenza potrebbe essere drammatica: l’assistita agricoltura europea rischia di svendere i propri prodotti sui mercati dei paesi impoveriti. Sono accordi da rivedere.
Per uscire dalla crisi, Bruxelles vuole poi sostenere lo sviluppo delle capacità militari continentali, con l’obiettivo di fare dell’industria armiera (che nel solo 2012 ha avuto un volume di affari di 96 miliardi di euro) un volano economico. Una sudditanza ai grandi gruppi intollerabile per chi ricerca vie di dialogo e di disarmo a situazioni di tensione e ostilità. Il nuovo modello di difesa va indirizzato a costruire l’Europa come potenza di pace, a iniziare dalla costituzione di dei Corpi civili di pace europei come forza di intervento civile e pacifico, teso alla prevenzione e ricomposizione dei conflitti, da impiegare negli interventi civili di pace all’estero, in contesti di crisi. I casi della Siria e dell’Ucraina sono un monito per tutti.
Sui temi dell’immigrazione, è urgente una riforma del regolamento di Dublino, introdotto per chiarire le competenze dei singoli stati sulle domande di asilo politico. Approvato nel 2003, si è rivelato uno strumento inadeguato e in contrasto con il principio di protezione dei rifugiati. La sua applicazione – che impone i richiedenti al primo paese dell’Ue in cui hanno messo piede – ha comportato gravi implicazioni, con famiglie divise, detenzioni ingiustificate, persone lasciate in condizioni di indigenza, spesso incapaci di accedere alle procedure di asilo. Più in generale, l’Europa deve dimostrare che il tema dell’accoglienza è tra i suoi principi fondativi. Uno strumento per lenire quell’imbarazzante e ingannevole epidemia di nazionalismo straccione ed egoistico che ci invade. A ciò potrebbe portare un contributo pure l’adeguamento e l’omogeneizzazione delle varie legislazioni nazionali in tema di cooperazione. L’Europa, con i suoi paesi, resta il primo donatore per l’Africa. Ma spesso le azioni sono dispersive. Non legate da un progetto comune. Quindi, meno efficaci.
Sulla libertà religiosa. Parrebbe un diritto garantito e tutelato nel Vecchio Continente. Invece ha bisogno di un buon restauro perché la stessa Europa non è immune da casi di violazione della libertà di credo, di attacchi a membri delle minoranze religiose sulla base delle loro convinzioni, e da discriminazioni per motivi religiosi. La stessa attenzione che chiediamo alle istituzioni europee rispetto ai paesi non europei, la chiediamo anche nei confronti dei paesi membri dell’Ue.(Fonte MISNA)
a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)