Anna Lombroso per il Simplicissimus
Se vi chiamate Mario Rossi, se vi chiamate Giuseppina Esposito, allora non fa per voi. Se lavorate in un call center, se siete precari della scuola, allora non fa per voi. Se abitate a Vibo Valentia, se state ancora a trent’anni con papà e mamma, allora non fa per voi, allora vi conviene continuare a fare i gufi, allora siete legittimati a essere disfattisti.
Allora avete ragione di essere incazzati, incazzatissimi, perché non siete tra quelli galvanizzati dalla decisione e dal cipiglio “di una volontà giovanile che non cerca sconti né per sé né per le dure scelte d’affrontare”, perché non ve ne frega niente di far sentire “al governo un feedback in corso d’opera dai suoi cittadini”, semmai una solenne, fragorosa pernacchia.
Allora sicuramente non siete tra i magnifici e munifici 100 firmatari dell’appello pubblicato oggi sul Corriere della Sera, l’autorevole quotidiano che alterna alle accuse di massoneria e di annuncite provvidenziali inserzioni a pagamento, che si sa pecunia non olet. E poi i sottoscrittori rappresentano la crème de la crème della buona società meneghina, quella sobria, operosa, quella delle prime alla Scala, della quale si diceva un tempo che compariva sui giornali solo per gli annunci della nascita e della morte, al quali da un ventennio si è aggiunta qualche menzione in cronaca giudiziaria.
Si inanellano quindi i doppi cognomi in odor di nobiltà (Clarice Pecori Giraldi, Vannozza Guicciardini Parravicini, Gerolamo Caccia Dominioni) reduci dalla delusione del premier tecnico Monti, nel quale si erano riversate molte aspettative per un elegante riscatto, dopo aver dovuto subire gli sberleffi e le sguaiataggini del venditore porta a porta, utile, addirittura necessario per ristabilire le doverose differenze tra padroni e servi, tra potenti e umili, tra chi ha e merita sempre di più e chi non ha, per carità, ma così volgare. Signore che si avvicinano al corrierone per l’istante di una firma da apporre in calce a buoni auspici per il “futuro dei giovani”, allontanandosi dalle pagine patinate di Vanity Fair, dalle cronache mondane dove campeggiano come è naturale: sono la nuora di Giulia Maria Mozzoni Crespi, la direttrice di Christie’s, si ritrovano al Clubino a casa degli Omenoni, o alla Società del Giardino, o al circolo dell’Unione, quei posti che tra lobby e massoneria sono pensati per stringere matrimoni, sodalizi, affari, patti opachi, alleanze finanziarie.
E poi ci sono imprenditori, finanzieri, manager, avvocati e commercialisti, che si sentono l’elite di “ un’intera Italia che vuole cambiare le cose …. . E che supporta il premier, visto che sta cercando di farlo”. Scendono in campo in sua difesa, cavalieri di una moderna Camelot, per “far arrivare un sostegno dagli italiani al primo ministro in un momento in cui gli arrivano strali da tutte le parti: i vescovi, il sindacato, i giornali, il suo stesso partito…”.
Non perdiamo tempo a guardare le loro dichiarazioni dei redditi sommesse e schive, a cercare sul catasto le loro proprietà intestate a società di comodo, non interroghiamoci sui loro frequenti viaggi in location, direbbe il premier, note per una certa indulgenza fiscale. Se lo appoggiano loro, se ci si riconoscono, se vogliono che vinca e stravinca quanto noi perdiamo e perderemo, nemmeno per i più distratti, i più creduloni, i più ingenui, i più mentecatti possono esserci più dubbi. Chiamiamo l’accalappiacani per quei 100 – più uno, lui – e leviamoceli di torno.