Sto sfogliando questo testo a cura di Stefania Lamberti: è pensato prevalentemente per le maestre, ma mi ha colpito uno dei (tantissimi) giochi che propongono per incentivare, tra le altre cose, la riflessione e il contatto fisico tra i bambini.
Si chiama LAVAGGIO DELLA MACCHINA: i bambini vengono disposti su due file una davanti all’altra e un bambino deve passare in mezzo, mentre tutti gli altri lo toccano come fossero le spazzole di un autolavaggio. E’ indicato per bambini di 3, 4 o cinque anni.
Mi colpisce questa intenzionalità nel gioco: educare al contatto fisico. I bambini, che sono già molto più avanti di noi adulti in questo, hanno bisogno di imparare a toccarsi? Forse è vero che nella nostra società, con la paura dei bacilli e con le (spesso malinterpretate) regole dell’educazione, ci stiamo allontanando gli uni dagli altri. E l’allontanamento fisico è solo un sintomo dell’allontanamento psichico e morale.
Soprattutto noi adulti, salvo eccezioni, è come se vivessimo dentro a delle uova invisibili: chi ci tocca il guscio, ci fa indietreggiare. Certo, sarà anche un portato della cultura: ad esempio, nei paesi orientali sembra che questo “uovo” sia più ampio, tanto che l’ultima stagista venuta da noi (vietnamita), le prime volte si trovava con le spalle al muro a forza di indietreggiare dai nostri ‘presunti’ attacchi al suo uovo. Però…. però….
Insomma, bisogna che i bambini rompano… le uova! (Il mio le rompe benissimo, n.d.c.) Prima che il guscio diventi resistente. E questo vale tanto più tra i bambini di “colori” diversi, prima che assorbano le nostre ritrosie e chiusure.