Voi amate il mare? Se sì, quanti di voi hanno desiderato di possedere una barca tutta loro? Tutti, senza dubbio.
Ma veniamo al dunque.
Oltre al costo effettivo dell’imbarcazione desiderata, c’è l’obbligo di conseguimento della patente nautica per il governo di alcuni tipi di imbarcazioni (art. 1, 39 del d.lgs. 18 luglio 2005, n.171).
E qui molte persone spesso si scoraggiano pensando che l’esame in sé sia equiparabile ad una visita dall’urologo. Niente di più sbagliato.
Con ciò non voglio dire che il mestiere del marinaio sia facile, piacevole e veloce da imparare. Voglio perciò scindere i due ambiti: conseguire la patente nautica e andar per mare.
Il primo, di per sé, è abbastanza semplice: basta studiare!
Il secondo, è frutto del lavoro e della passione di una vita intera.
A volte mi diletto a preparare qualche allievo per l’esame di patente nautica; o più semplicemente amici e conoscenti che conoscono la mia (modesta) esperienza e la mia (grande) passione mi chiedono informazioni sull’arte di navigare. E ho notato che il mio approccio è enormemente differente da quello dei comuni diportisti che vedo spesso per mare.
Quindi l’esigenza di scrivere questo articolo nasce dalla mia voglia di condividere con voi il modus operandi di un marittimo. Ma prima, un paio di stereotipi (lo ammetto, un po’ estremi) presi dalla mia esperienza.
Un mio allievo alle prese con un esercizio di carteggio.
“Cos te rompi le bale, son qua per divertirme!”
Il caso più classico. Scusate il triestino, ma sono le solite parole che mi vengono ripetute millemila volte quando faccio l’ormeggiatore alla Barcolana.
È vero, diportismo vuol dire divertimento e spesso anche relax. Ma in barca le situazioni d’emergenza sono sempre in agguato. Ci vuole quindi preparazione e il materiale giusto a bordo. Esempio. Barcolana 2011: molo IV, tutti ormeggiati all’andana, àncora e prua a mare. Di mattina avvisiamo i comandanti delle imbarcazioni che arriverà un fortunale, con relativi -inascoltati- consigli di rinforzare le cime, filare altra catena, ecc… Arriva la burrasca. Risultato? 56 ancore aggrovigliate una sopra l’altra, due barche alla deriva per rottura degli ormeggi. Meraviglioso.
“Ara che mi son velista da trenta anni!”
Gli arroganti e i superbi, che sfoggiano sempre magliette lustre e pulitissime di yacht club sconosciuti o di marchi per velisti.
Muggia, pronti per salpare in vista della Barcolana 2013. Arriva un nuovo membro dell’equipaggio, amico dell’armatore, tutto in ghingheri con maglietta, pantaloni, borsone, orologio, cappellino (e forse anche mutande) ufficiali della manifestazione. Grande sfoggio di aneddoti sul suo passato marinaresco.
Molliamo gli ormeggi e iniziamo a manovrare verso il campo di regata. Rigorosamente a vela, con un vento fresco sui 30 kts di Bora. Arriva una raffica, straorziamo inclinandoci oltre i 45º. L’esperto velista molla la barra del timone e inizia a urlare: “aiuto, ho paura, qualcuno faccia qualcosa”. Nessun problema, scotte in bando; la barca si stabilizza, vele a segno. In triestino: “cicio no xe per barca“.
Tutto questo per farvi capire che spesso, navigando ma anche in porto, ci si trova di fronte a situazioni potenzialmente pericolose. Il mare non perdona errori, del resto.
È buona regola, per l’allievo che si avvicina allo studio marinaresco, ricordare che il “Capitano” è l’unico responsabile della sicurezza dell’imbarcazione e delle persone a bordo (art. 292 e seguenti del Codice della Navigazione). Dovrà dunque fare tutto ciò ch’è in suo potere per adempiere ai suoi doveri. Ripeto, doveri.
Con questo non voglio dire che bisogna tornare ai tempi rigidissimi della marineria a vela del XVIII secolo (ah, i gloriosi vecchi tempi…). Ma l’allievo sicuramente dovrà avere coscienza che l’andar per mare prima di tutto è un mestiere.
Certo, i corsi di patente nautica non aiutano: troppo spesso ci si concentra su aspetti teorici poco utili, e sovente si tralascia la pratica e le procedure di sicurezza. Anche gli esempi non sono dei migliori: ricordiamo i tragici momenti in cui Schettino abbandona la sua nave, “infischiandosi” dei passeggeri ancora a bordo e delle regole (art. 303 del Codice della Navigazione).
La pratica, durante un corso di marinaresche, è essenziale: conta più l’esperienza della teoria. Ad esempio, è davvero facile imparare un nodo marinaro; è molto più complesso applicarlo alla situazione in cui serve. Saper fare una gassa d’amante doppia è essenziale per recuperare un uomo caduto in mare. Oppure, prendetemi per pazzo, tenere un grosso e affilato pugnale in tasca durante la navigazione può salvare la vostra stessa vita, in alcune situazioni.
Ciò che distingue un diportista da un marittimo è la mentalità stessa: il primo pensa principalmente al diletto e al sollazzo. Il secondo ad essere pronto alle situazioni pericolose. Sicuramente è folle pretendere che un diportista debba avere la stessa preparazione di un professionista, ma attenzione: un marinaio esperto, attento e responsabile può godere di tutte le bellezze della nautica da diporto pur con una preparazione impeccabile.
Una barca a vela naufragata sulla spiaggia di Grado, maggio 2014.
Ma procediamo per gradi. I casi nel diportismo possono essere due: l’allievo ha già un’esperienza, oppure è un neofita completo.
Nel primo caso, non vale la pena di disquisire troppo. L’allievo più esperto dovrà comunque usare il buonsenso e il rigore logico che contraddistinguono ogni bravo marinaio, ma i consigli in questo caso vanno rivolti alle scuole nautiche da diporto e agli enti preposti al rilascio delle patenti. Di ciò, quindi, parlerò nei miei prossimi articoli.
Concentriamoci invece sul neofita -terrazzano, seguendo le tradizioni della marineria a vela-.
Cosa sarà importante imparare per prima cosa, si domanderà l’allievo? Manovre, ancoraggio, segnalamenti notturni, carteggio, nodi? Tutte cose essenziali, senza dubbio. Io però penso che l’allievo debba innanzitutto concentrarsi sulla sicurezza della sua persona, degli altri e dell’imbarcazione. E iniziare ad aver coscienza, gradualmente, delle proprie potenzialità e dei propri limiti. Faccio un esempio pratico: quando mi iscrissi al corso di patente nautica, avevo diritto ad un’uscita gratuita a vela con la scuola. Per curiosità, ci andai. Il Capitano ci fece un panegirico -anche piuttosto noioso- sulle manovre, sui termini nautici e sulla regolazione delle vele. Tralasciando completamente di spiegare quali possano essere i momenti critici durante una navigazione. Ovvero, navigazione in burrasca, con vento forte, uomo a mare (certo, la manovra viene insegnata, ma come si recupera realisticamente?), incendio a bordo, abbandono nave, falla o disalbero.
Ai neofiti ricordo che un bravo marinaio affronta sempre il brutto tempo in porto, e possibilmente mai in mare. Ma in quel caso, come ci si comporta? Primo, regola universale: mantenere la calma. Questo fa la differenza. Secondo, priorità: ogni azione dovrà essere congruente all’urgenza e al bisogno. Terzo, comportamento: decisione, riflessione attenta e critica sulle proprie azioni. Quarto, materiali: bisogna sempre avere a bordo tutto il necessario per affrontare la situazione -magari ipotetica- peggiore. Mi sale una rabbia omicida quando vedo diportisti che armano la propria barca con cime inadeguate (sono addirittura senza cavi, a volte), impiantistica votata al risparmio e strumenti inutili o mancanti. Spesso sono sprovvisti persino delle dotazioni di sicurezza obbligatorie. Quinto, velocità: a pronto comando, pronta risposta, senza discussioni. Un ordine è un ordine. Come disse il ministro della Marina francese riguardo all’assistenza prestata da parte del transatlantico Île De France all’Andrea Doria nel lontano 1956, il Comandante è “l’unico signore, dopo Dio”, della nave (cfr. Andrea Doria, Alvin Moscow, pag. 103).
Un bravo allievo deve anche ricordare le tradizioni. Il mare è un mondo a parte, un elemento diverso. Dunque ha la sua terminologia specifica. Certamente i termini marinareschi non sono proprio immediati alla pronuncia (controparamezzale?), però fanno parte della barca stessa (ed essa è un essere vivente, per un uomo di mare), della passione che -credo- ogni futuro marinaio ha in sé. Ai neofiti inoltre raccomando di andare fieri della propria bandiera, del proprio jack, e delle sue tradizioni. Ricordate che in qualsiasi posto vi troviate, quella bandiera sta a rappresentare, a riva sulla vostra barca, la marineria della vostra patria. Siate degni di ciò. Rammentatevi poi che la bandiera del paese ospite va inalberata sulla dritta, e non sopra la bandiera nazionale come dicono quegli ignoranti che io chiamo “muratori del mare” (e a cui comanderei volentieri di fare un paio di giri di chiglia).
A livello generale, penso che sia tutto. Prossimamente scriverò degli articoli di approfondimento sull’argomento, e anche sulla conduzione dell’imbarcazione e degli aspetti teorici e legali dell’arte marinaresca. Spero di non avervi annoiato troppo (rileggendo l’articolo penso che qualcuno di voi possa aver già considerato l’idea del suicidio appena dopo un paragrafo!), ma penso che l’approccio critico verso questa materia sia essenziale.
Non mi resta che augurare una buona navigazione ai “già” marinai e un grande incoraggiamento agli allievi e ai cadetti. Al prossimo articolo!