Vi capita mai di sentirvi pesci fuori dall'acqua? Io ultimamente con questa sensazione ci convivo. Charles Bukowsky in "Una pioggia di donne" scrive una cosa di profondità e verità stupefacenti, che riassume il mio stato attuale:
Già. Questo è proprio quello che avverto da un po' di tempo. E' che mi sento lontanissimo dalla maggior parte dei replicanti che vedo per strada, però, di contro, avverto subito a pelle quelli che si sentono come me. Guardo la tv e, troppo spesso, penso che sia molto più interessante da spenta. Il mezzo, che per tanti anni è stato veicolo di cultura, è passato ad essere un elettrodomestico deleterio, senza nemmeno sostare per un attimo nella posizione di inutile. Se ci pensate bene, fa meno danni una sega elettrica in mano ad uno psicopatico che la televisione in mano alla De Filippi e alla Barbara d'Urso.
Sono momenti di totale sconforto e allora mi spengo, mi perdo nelle pagine dei libri o mi lascio cullare davanti al candido biancore di fogli di carta, in attesa che il vortice di pensieri prenda un minimo di forma e senso. Rileggo un passo di un racconto o di un romanzo, oppure mi perdo nella musica. E' la mia terapia per rigenerarmi. Poi ritorno alla realtà trattenendo il fiato, vivendo in apnea fino alla prossima crisi. Grazie a Dio sono fatalista e, tutto sommato, ottimista. Il lavoro? Lo troverò. Tanto sò per certo che non è la mia via per realizzarmi. Per il resto tutto bene. Finché avrò libri da leggere e musica da ascoltare ma, soprattutto, un cuore e un cervello per comprenderli, ho la certezza di poter dire che vivo. Sopravvivere non mi interessa. Anzi, il giorno che mi accorgerò che sopravvivo vorrà dire che sarò già morto da tanto.