Titolo: Ucciderò Sherlock Holmes
Autore: Arthur Conan Doyle
A cura di: Gianni Rizzoni
Introduzione di: Luigi Brioschi
Editore: Metamorfosi
Anno: 2012
ISBN: 9788895630519
Numero pagine: 191
Prezzo: € 15,00
Genere: Autobiografia
Contenuto: Arthur Conan Doyle (1859-1930), medico e scrittore, è passato alla storia non solo letteraria, ma anche del costume – come inventore del personaggio di Sherlock Holmes. Era quanto di peggio Doyle potesse augurarsi, visto che il suo sogno era di passare ai posteri come autore di poderosi romanzi storici, saggi sulla Grande Guerra o autore di trattati sullo spiritismo. Per questo in vita cercò più volte di “uccidere” il suo celebre detective, ma il favore popolare e, non ultimo, il denaro che gli rendevano gli episodi di Sherlock Holmes (denaro con il quale rimediava alle perdite dei suoi progetti più “nobili”) gli impedirono di compiere l’insano gesto. Sportivo e viaggiatore instancabile, in queste memorie Conan Doyle traccia un vivissimo ritratto di cinquant’anni di storia inglese ed europea, ricco di personaggi e di episodi famosi. E anche di “piccole storie”, come quella di Dorando Pietri alle Olimpiadi di Londra del 1908, per il quale lo scrittore si fece promotore di un premio di consolazione.
Diciamo subito che il titolo originario di questa autobiografia è Memories and Adventures. Quello italiano focalizza l’attenzione del lettore su Sherlock Holmes, come se tutto si imperniasse sulla sua figura. Di fatto Conan Doyle vuole mettere ai margini il suo personaggio e raccontare le proprie avventure che nulla hanno da invidiare a quelle del celebre investigatore. Il quale occupa un capitolo tra i tanti oltre che qualche rapido cenno qua e là. Per il resto, nel rammentare gli esordi letterari, Conan Doyle si attarda più volentieri a parlare delle novelle pubblicate nella rivista London Society, dei romanzi storici, di opere che, ahimè, latitano nel nostro immaginario. Ecco Micah Clark, ambientato nel XVII secolo, del quale lo stesso Oscar Wilde si disse entusiasta, o La campagna bianca, ambientato nel XIV secolo. La prima avventura di Sherlock Holmes, A Study in Scarlet rimane sullo sfondo.
Facendo un po’ il verso a quella famosa notte buia e tempestosa vicino al lago di Ginevra, in cui vennero concepiti il Frankenstein di Mary Shelley e il Vampiro di Jonh Polidori, Oscar Wilde e Conan Doyle promisero vicendevolmente di scrivere un romanzo. Il primo scrisse nientemeno che il Ritratto di Dorian Grey (che sembra abbia preso qualche spunto dalla Musa Tragica di Henry James), il secondo mise mano alla seconda avventura di Sherlock Holmes, Il segno dei quattro.
Arthur Conan Doyle se non è riuscito a “uccidere” Sherlock Holmes in quel famoso racconto, non vede tuttavia l’ora di liberarsene. Costretto a risuscitarlo a furor di popolo, si vendica tra queste pagine, calpestandolo tutte le volte che tenti di primeggiare sul resto:
… alla fine dei racconti promessi, ho in mente di uccidere Holmes e di liquidarlo una volte per tutte perché mi distoglie la mente da cose assai più importanti.
Si può essere più chiari?
Lo scrittore si racconta veramente a 360 gradi. Parla del nonno paterno che disegnava gentiluomini per un pubblico di gentiluomini, in un’epoca in cui la satira consisteva nella spiritosità del disegno e non nella deformazione dei visi. Confida la propria indole attaccabrighe e la determinazione nel far valere i propri diritti. Ci informa di essere stato un lettore vorace, tanto veloce che non poteva cambiare i libri in biblioteca più di due volte al giorno. E via di seguito, fino agli studi di mdicina a Edimburgo. Un capitolo è dedicato all’amore per lo sport, al resoconto che ha steso in occasione dei Giochi Olimpici del 1908, nella cui maratona si è interessato dell’italiano Dorando Pietri. È stato persino presente sul fronte italiano nel corso della I guerra mondiale tra Padova, Udine e il Trentino.Nonostante le intenzioni, anche nell’autobiografia Sherlock Holmes gli sfugge di mano. Uscito dai romanzi e dai racconti che conosciamo, da sempre vive un’esistenza tutta sua, confondendosi tra le persone reali. Se il suo creatore voleva ucciderlo, altri hanno tramato affinché superasse indenne qualsiasi barriera del tempo e della storia.
Colpevoli e complici sono stati Sidney Paget (1860-1908) e Eille Norwood (1861-1948). Sherlock Holmes infatti entra
nell’immaginario collettivo (una sola cosa col mito) attraverso le illustrazioni a piena pagina del primo e, nel cinema, nelle sembianze del secondo.
Che dire? Tra teatro, cinema, racconti e romanzi apocrifi, Sherlock Holmes è sopravvissuto al suo autore. E noi ce lo immaginiamo ancora lì, seduto su un sofà tra quattro, cinque cuscini e un’oncia di tabacco, a tirare le fila sul suo ultimo caso, pronto a impersonare se stesso da qualche parte.