Posted on mag 17, 2013
Incontro pubblico all’Accademia Agricoltura Scienze Lettere
Palazzo Erbisti, via Leoncino 6, Verona
(Il palazzo è accessibile e dispone di ascensore, mi avvisa la segreteria che sono in corso lavori nel cortile)
giovedì 23 maggio 2013, ore 17.00
Programma:
PIERPAOLO BRUGNOLI, m.e.
La costruzione delle Beccarie al Ponte Nuovo di Verona nel 1468
ENRICO MARIA GUZZO, s.c.
Una traccia spagnola per il pittore Michele de ‘Fachai’
LUCA FABBRI, presentato dal m.e. Pierpaolo Brugnoli
Giovanni Ceschini, pittore veronese del Seicento
Palazzo Erbisti e l’Accademia
Della donazione di questo magnifico palazzo all’Accademia, da parte della famiglia Erbisti, si sa ben poco, ma la tradizione orale attribuisce all’allora socio avvocato accademico e, poi, presidente Mario Cavalieri, il merito di aver ottenuto dalla contessa Erbisti l’uso del piano nobile, per ricavarne la sede accademica.
Grazie all’immenso patrimonio archivistico della famiglia De Stefani, è possibile ricostruire la storia dell’Accademia e del maestoso palazzo che tutt’oggi la ospita. In una lettera del 10 luglio 1941, Stefano De Stefani suggerisce a Luigi Messedaglia, allora presidente, di attivarsi presso il Podestà per ottenere una più degna sede, indicando il primo piano di Palazzo Erbisti, donato dalla vedova Erbisti al Comune di Verona, quale luogo idoneo ad ospitare gli accademici: “D’altra parte come appartamento di abitazione si presenta malamente essendo costituito da sale molto grandi…Che te ne pare?”, conclude De Stefani.
Il giorno seguente, Messedaglia rispose con una lunga lettera nella quale ripercorre la storia delle sedi accademiche e termina scrivendo che la proposta sarebbe stata da lui portata in reggenza, preannunciando, però, la propria contrarietà a tale risoluzione, in quanto il presidente riteneva l’attuale sede dell’Accademia – ossia le quattro sale di Palazzo Pompei – adeguata. Un trasloco, inoltre, avrebbe comportato spese ingenti, insostenibili da parte dell’Accademia. Non si conosce la decisione finale della reggenza, certo è che De Stefani perseverò nella sua proposta, manifestando il proprio interesse anche alla contessa Erbisti.
Un anno più tardi, il 10 luglio 1942, De Stefani scrisse al segretario capo del Comune di Verona, il commendator De Dominicis, riferendo di aver avuto un colloquio con la contessa e che, in relazione all’intesa passata, sarebbe rimasto solo da trovare il modo per prendere possesso dell’appartamento di Palazzo Erbisti, nel frattempo affittato a privati.
Durante il loro colloquio, la contessa Erbisti ribadì a De Stefani la propria disponibilità a donare il palazzo al Comune di Verona, aggiungendovi una clausola con la quale destinare gratuitamente, in uso perpetuo ed onorifico, un appartamento del piano nobile dell’edificio alla Reale Accademia di Agricoltura Scienze e Lettere di Verona: in memoria del Conte Erbisti, una lapide avrebbe dovuto ricordare questa benefica disposizione. Condizione assoluta della generosa concessione, era che questa rimanesse riservata e non se ne desse notizia sui giornali.
L’atto di donazione avvenne, però, senza rispettare alcuna di queste condizioni. Fu necessario l’intervento dell’avvocato Cavalieri, il quale, nel 1944, presentò la sua strategia giuridica al segretario accademico, Gino Sandri: la cessione del palazzo al Comune, sarebbe avvenuta attraverso una donazione modale, in cui fondamentale sarebbe stata la presenza della contessa, al fine di rendere inoppugnabile e ineccepibile l’atto da stipularsi tra il Comune di Verona e l’Accademia.
Il 13 novembre 1946, l’Accademia di Agricoltura Scienze e Lettere di Verona (non più Reale), inviò a Stefano De Stefani una lettera a firma dell’assessore anziano Ettore Malenotti, nella quale la Reggenza ringrazia il socio per l’opera svolta, con dedizione e tenacia, a favore di una sede centrale e decorosa per le nobili tradizioni e grandi fini dell’Accademia.
L’architettura di Palazzo Erbisti
Palazzo Erbisti sorge quasi all’imbocco di via Leoncino, signorile strada della città scaligera, che ricalca il cammino della cinta muraria voluta, nel III secolo, dall’imperatore Gallieno. Le mura si estendevano dall’Arena a Porta dei Leoni, e lunghe parti di queste sono tutt’ora visibili, incorporate negli edifici che si affacciano sulla via: alcune pietre sono riconoscibili in un angolo del basamento dello stesso Palazzo Erbisti.
Nel Medioevo, sul luogo, si innalzava un imponente edificio costruito su più piani, del quale rimangono alcuni elementi in tufo di finestre ad arco romanico, mentre una porta a tutto sesto è ancora visibile, coperta dalle lastre di pietra del basamento, sul lato sinistro della facciata.
La struttura venne completamente rimaneggiata, nel XVII secolo, a cominciare dalla facciata e dalla redistribuzione dei piani, per permettere al palazzo di rivaleggiare con i maggiori della città: di tale sistemazione, sono testimonianza alcuni dei più antichi affreschi che ne decorano ancora oggi i soffitti.
Nuovamente ridisegnato intorno alla metà del Settecento per volere dei nuovi proprietari, i fratelli Giovanni Battista e Giuseppe Salvi, della precedente struttura conservò solo la ricca facciata interna, di chiara ispirazione rinascimentale, opera forse di un allievo del Sanmicheli, Domenico Curtoni. I fratelli Salvi affidarono ad Adriano Cristofori la realizzazione della facciata su via Leoncino, che si eleva per quattro piani illuminati da grandi finestroni di modulo diverso per ogni piano.
Il palazzo raggiunse la sua forma attuale quando, nel 1812, venne acquistato dalla famiglia Erbisti, la quale ritenne necessario ampliare l’edificio – specificamente il piano nobile – comprando i casini dei loro confinanti: signor Fortis, sulla destra, e conte Sagramoso, sulla sinistra. L’architetto Francesco Ronzani venne incaricato dai conti Erbisti di uniformare alla maestosità dell’edificio centrale le due ali aggiunte e di delimitare la corte retrostante con una cinta di grandi arcate. Un leggiadro palchetto in legno, posto in alto nel vano del passaggio carraio, congiunge i locali laterali: qui, un muro recante tracce di affresco, fa pensare ad un luogo di riposo per quanti avessero voluto godere della vista della scenografica facciata interna del palazzo.
La singolarità di questa facciata, fa pensare che essa sia appartenuta ad un palazzo diverso, edificato a ridosso di quello medioevale e anteriore a quello del Cristofoli, il quale avrebbe quindi creato un unico edificio da due diverse strutture.
Lo stile architettonico, la tecnica muraria ed il materiale impiegato per la facciata interna, infatti, sono di un epoca precedente rispetto alle opere del Cristofoli: gli spazi tra le piccole finestre dello scantinato, nella parte inferiore, sono decorate da un motivo ornamentale costituito da teste di leoni, elemento ricorrente nella zona vicina alla Porta dei Leoni. All’altezza del piano nobile e del quarto, corrono due rilevanti balconi di pietra, sorretti da mensoloni e balaustrati. Le finestre del piano più importante sono sormontate, in alternanza, da aggetti triangolari e ad arco abbassato, mentre quella centrale è ad arco a tutto sesto.
Intorno al 1822, con l’arrivo dell’imperatore d’Austria Francesco I, ospitato durante il Congresso di Verona, completarono l’edificio gli stucchi neoclassici e la decorazione delle pareti e delle vele del soffitto. Al Seicento risalgono, invece, i grandi pavimenti battuti alla veneziana tuttora esistenti.
La nuova sede dell’Accademia fu solennemente inaugurata il 2 ottobre del 1955 e da quel momento si sono susseguite opere di restauro agli affreschi, ai pavimenti e agli stucchi, che hanno restituito alla città un palazzo dagli ambienti suggestivi e dall’atmosfera magica.
Oggi, l’interno della sede accademica è articolato in due settori complementari: la Presidenza e la Segreteria a destra del vestibolo, il Salone e la Biblioteca, con le sale di studio e di deposito, a sinistra. In fondo al gabinetto del Presidente, è allestito il piccolo ma prezioso stanzino dei cimeli, ove si trovano raccolti oggetti che hanno fatto la storia dell’Accademia di Agricoltura Scienze e Lettere, come ad esempio il bossolo per le votazioni del XVIII.
Le decorazioni interne di Palazzo Erbisti
Lo Scalone d’onore
L’androne di collegamento tra la strada ed il giardino, all’interno del quale si trova l’imponente scalone a doppia rampa che conduce al piano nobile, presenta una partitura architettonica monocroma, che prosegue nelle vele del soffitto con eleganti allegorie della musica e delle arti. Il decoro segue moduli ornamentali più lineari e geometrici, rispetto a quelli barocchi delle sale del palazzo. Al centro si trova l’ovale affrescato da Giorgio Anselmi, di mano precedente al lavoro dei decoratori, definito un “cammeo porcellanato” in quanto la scena mitologica è caratterizzata da tonalità cromatiche delicate. L’immagine raffigura tra le nubi la dea Flora, accompagnata da putti che spargono rose, mentre viene protetta da Zefiro nell’atto di porre una barriera, affinché i venti non arrechino offesa alla dea.
Il Salone degli Accademici
Dal piano balaustrato dello scalone, si accede al salone d’onore tramite un importante portale neoclassico sormontato da una decorazione allegorica in stucco, che racchiude al centro un busto di Marte, assopito tra due figure a tutto tondo: la Fama e l’Industria. Su ciascuna parete, in alto, campeggiano i busti classicheggianti di quattro personaggi, probabili rappresentanti della famiglia Salvi, e, sulle quattro porte interne, putti in stucco incorniciano clipei con figure allegoriche della Verità, della Nobiltà, della Giustizia e dell’Abbondanza.
Le due pareti senza finestre ospitano, in cornici di stucco con filetto dorato, due grandi ed antiche tele: una rappresenta un’impetuosa battaglia di cavalieri cristiani e turchi, l’altra raffigura un’affollata fiera campestre. Il primo dipinto, che richiama la guerra di Candia, ricorda soggetti simili di Antonio Calza, il secondo, invece, sembra appartenere alla bottega dei da Bassano.
La parte che più sorprende, però, è rappresentata dalla decorazione barocca dell’ampio soffitto ad opera di Giorgio Anselmi. Il pittore vi ha rappresentato una scena allegorica complessa, il Trionfo di Atena, avvalendosi per la quadratura dell’opera di collaboratori che organizzarono la scenografia in tre ordini: nicchie, balconata rettangolare e cornicione ovale. Nelle finte nicchie, alloggiano figurazioni delle principali divinità olimpiche: Giove e Giunone, Nettuno e Anfitrite, Mercurio e Diana, Saturno e Minerva (quest’ultima con gli attributi della Musa Urania, ossia il globo terrestre). Le finte nicchie si alternano alle vere, che racchiudono talune delle finestre, talune delle balconate dipinte con statue e fiori. Al di sopra, si trova una finta balconata con putti e trofei floreali e, oltre ad essa, il cornicione ovale viola che delimita il cielo affrescato. La dea Atena, nella parte superiore, è seduta su una biga trainata da cavalli galoppanti, trattenuti da un genio alato. Accanto vi sono altre divinità, tra cui le Arti e Venere che, assieme al corteggio di colombe e putti, accompagnano la venuta della dea. In basso, Bacco ed il suo corteo travalicano, su nubi cupe, i limiti della quadratura, quasi penetrando nello spazio reale dello spettatore, assecondando la predilezione settecentesca per l’illusionismo spaziale e i virtuosismi prospettici. Un cornicione perimetrale sosteneva un balcone in legno con dei poggiolini sporgenti, rimosso nel 1983, che permetteva alla servitù di accendere i lumi della sala.
Nel 1976 venne affidato a Pinin Brambilla il restauro dell’affresco, in seguito alla caduta e alla polverizzazione di circa due metri quadrati di dipinto, purtroppo irrecuperabili.
Oggi, il Salone degli Accademici è il luogo ove si tengono le sedute, sia pubbliche che private, dei membri dell’Accademia di Agricoltura Scienze e Lettere ed è qui che si svolgono settimanalmente gli eventi culturali aperti anche al pubblico.
Nel luglio del 2010, il Salone, insieme alla Sala Dante Alighieri, è stato protagonista di alcune scene del filmLetters to Juliet di Gary Winick.
La stanza delle tre Grazie
Così chiamata per l’affresco che ne decora il soffitto, caratterizzato da una scena centrale con le tre Grazie e Venere su di un carro guidato da colombe e accompagnato da putti con ghirlande di roselline.
L’autore del dipinto, collaboratore dell’Anselmi, è un pittore settecentesco gradevole nei cromatismi e nella grazia figurativa. La scena presenta Venere con in mano una mela, presumibilmente quella del giudizio di Paride, che si ipotizza fosse raffigurato nella parte inferiore del dipinto, crollata e purtroppo perduta durante l’ultima guerra. Il trionfo è incorniciato da una finzione prospettica di architetture, mentre panoplie di armi sono disposte lungo i lati e cartouches rosa con le allegorie dei quattro continenti ornano gli angoli.