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Appunti di storia – La banda Vardarelli.Quando il Regno Delle Due Sicilie tradiva e sterminava i briganti

Creato il 25 febbraio 2014 da Catreporter79

Fenomeno conosciuto già in epoca romana, diffuso e distribuito in tutta la penisola e con connotazioni prevalentemente e peculiarmente criminali e criminogene, il brigantaggio fu malaccetto e combattuto con fermezza e vigore dallo stesso Regno delle Due Sicilie, che persino durante la guerra contro i francesi, prima, e contro le truppe unitarie, poi, scelse di appoggiarsi a squadre di mercenari provenienti dall’estero, non fidandosi delle compagini brigantesche. La storia del vile tradimento compiuto dalle autorità napoletane ai danni della fedele banda Vardarelli ne è la prova e la dimostrazione.

Briganti

Carbonari, perseguitati da Murat come da Ferdinando, i tre fratelli abruzzesi Vardarelli (guidati da Gaetano) decisero di darsi alla macchia come briganti, credendo di non trovare altra via d’uscita per il loro avvenire. Alla testa di decine e decine di uomini, compivano la maggior parte delle loro azioni in Puglia, in special modo nel “Vallo di Bovino”, un corridoio lungo e stretto tra le montagne che consentiva ai fuorilegge azioni rapide e sicure, al riparo dalla particolare morfologia di quel territorio, fatto di vette inaccessibili, impenetrabile vegetazione ed ampi fossati. Patrioti, desiderosi di servire i Borbone nonostante l’ostracismo del Re, i Vardarelli riuscirono alla fine ad ottenere un accordo dal governo di Napoli, che si impegnava a cessare ogni ostilità con loro e, addirittura, ad inquadrarli all’interno di una milizia regolare. Questi, i termini del patto:

“In nome della Santissima Trinità, il trattato seguente è stato scritto, giurato e firmato:

Art 1. Sarà concesso perdono ed oblio ai misfatti dei Vardarelli e suoi seguaci.

Art 2. La comitiva sarà mutata in squadriglia di armigeri

Art 3. Lo stipendio del capo Gaetano Vanardelli sarà di ducati novanta al mese, di ognuno dei tre sottocapi di ducati quarantacinque, di ogni armigero di ducati trenta. Sarà pagato anticipatamente ogni mese,.

Art 4. La suddetta squadriglia giurerà fedeltà al re, in mano di regio commissario; quindi obbedirà ai generali che comandano nelle province, e sarà destinata a perseguitare i pubblici malfattori in qualunque parte del regno”

Un documento in piena regola, dunque, nel quale il Re e le autorità duosiciliane si impegnavano con la banda, ponendo sul tavolo delle trattative la credibilità e l’onorabilità dello Stato. Tuttavia, ben diverse erano le intenzioni del sovrano, deciso a distruggere i Vardarelli approfittando della fiducia che essi ormai riponevano nelle istituzioni. Sapendo che i tre fratelli solevano frequentare il villaggio molisano di Ururi, il Governo pagò allora alcuni degli abitanti del borgo perché tendessero una trappola alla banda, che fu decimata al termine di un’imboscata tesa nel cuore della notte (uno degli assalitori squarciò la ferita di Gaetano Vardarelli , frugò tra le sue interiora, le tirò fuori e imbrattandosene il viso iniziò a gridare: “la macchia è lavata!”, giacché l’ucciso aveva violentato sua sorella). Rimanevano però ancora 48 briganti, e giocando nuovamente d’astuzia, il Governo si finse sdegnato per la strage; il Generale borbonico Amato, che comandava nelle Puglie, mandò un distaccamento dai superstiti per tranquillizzarli, promise loro che si sarebbe istituito un processo per punire gli assassini ed invitò i due fratelli Vardarelli scampati al massacro a nominare nuovi capi ed a recarsi a Foggia per essere riconosciuti dalle autorità. Soltanto in nove decisero di non fidarsi della proposta, rimanendo nelle montagne, mentre il resto della compagine accettò l’invito. Era un giorno di festa, a Foggia, e i briganti furono accolti con tutti gli onori e passati in rassegna dal Generale in persona. La pantomima durò all’incirca un’ora, finché Amato non gettò a terra il suo copricapo. Era il segnale. Le forze napoletane comparvero da ogni angolo della città, facendo strage della banda. Soltanto in 17 sopravvissero, ma furono processati e condannati a morte. Regio Procuratore nel processo fu, per ironia della sorte, un ex sodale dei Vardarelli , tale D’Alessandro, che aveva tradito i vecchi compagni in cambio della vita.



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