“Arruffata” non è sinonimo di “intricata”.
Cosa può essere successo per far sì che un bel ragazzo, nato senza nessuna malformazione, ad un certo punto della sua vita, si trovi evirato?
E in seguito a quale curioso gioco del destino questo bel ragazzo che mai più potrà avere una vita sessuale normale scelga di fare, di mestiere, il pappone?
Sfruttamento della prostituzione collegato a bische clandestine, a loro volta collegate con la criminalità organizzata che, come già detto e risaputo, non potrebbe esistere senza appoggi nel mondo della politica.
Siamo a Milano nel 1978, e la vicenda si svolge esattamente nel periodo compreso tra il sequestro di Aldo Moro, citato più volte, e la sua tragica uccisione. Se l’autore avesse ritenuto opportuno inserire più riferimenti storici, il romanzo avrebbe potuto costituire un interessante parallelo milanese alla Roma degli anni di piombo.
Nulla di tutto ciò. A quanto pare, per il nostro autore, i riferimenti storici sono inutili. Meglio citare una ripetitiva raffica di luoghi comuni e banalità finto-ciniche, tipo “solo gli stupidi e gli innocenti non hanno un alibi” o “con te ci verrei gratis”. Un incalzante e fastidiosamente lamentoso fraseggio, talmente petulante da dare l’impressione di essere immersi nella lettura retrò e appiccicaticcia di un fotoromanzo. Ed è talmente forte l’impressione di stare leggendo qualcosa di petulante e melenso da dimenticare che questo romanzo vorrebbe essere un noir.
Vorrebbe.
Perché in un romanzo di tutto rispetto, qualsiasi sia il genere, ma in un noir in particolare, la trama deve essere dinamica e intricata, al punto da coinvolgere il lettore e da obbligarlo a una costante attenzione, per non perdere passaggi fondamentali alla comprensione.
Stendiamo un velo pietoso sul lato “dinamico” della trama, noiosamente lenta e ripeto, simile alla sequenza di immagini proposte dai fotoromanzi.
Per quanto riguarda il lato intricato, qualcosa mi sfugge. Forse ignoro come sia sufficiente ottenere lo stesso risultato, non importa il mezzo.
Quindi, l’importante è che la trama risulti incomprensibile. Non importa se “intricata” o, semplicemente, “arruffata”. D’altra parte, perché scervellarsi a ideare un complicato e arguto intreccio di personaggi e vicende, da seguire con attenzione affinché la lettura risulti comprensibile, quando lo stesso risultato, cioè la mancata comprensione da parte dei lettori lo si raggiunge dando vita a una serie di improbabili personaggi e vicende, mescolandoli poi tutti insieme a caso?
Tanto, si sa, i lettori sono ignoranti e poco attenti, non capirebbero quasi nulla in ogni caso.
Quindi, tanto vale appioppare loro una storia con poco senso logico, per di più scritta in uno stile talmente logorroico da somigliare al fastidioso sfogo pre-puberale di uno studente delle medie inferiori. Nessuno vorrà ammettere di non aver capito nulla, nessuno dirà che questo romanzo “È” nulla. Anzi, tutti ammireranno i vestiti dell’imperatore. Ciò è, se non proprio scandaloso, perlomeno altamente offensivo. Vergogna.
Sono delusa. Un quarto di secolo fa, ero una delle spettatrici inchiodate davanti alla TV ad ammirare la storica, geniale comicità del cabaret televisivo di Giorgio Faletti.
Rapita da tanta bravura, non potevo muovermi finché lui non aveva finito di parlare, addirittura cercavo di non ridere per paura di perdere anche una sola battuta.
Con “Io Uccido”, espressione della più pura genialità, Faletti diede fondamento alla teoria secondo la quale non può esistere una grande comicità in assenza di una mente eccelsa.
Che sia d’uopo creare una leggenda urbana simile a quella su Paul McCartney, che impazza da circa 40 anni, e far circolare la voce che il vero Giorgio Faletti si sia ritirato in un atollo sperduto dei Caraibi e un sosia si sia impadronito del suo nome e stia scrivendo libri al suo posto?
Sì, credo proprio che metterò in giro una diceria del genere. Preferisco pensare ad un impostore, piuttosto che credere che il ragazzo che teneva milioni di telespettatori con il fiato sospeso e che, più tardi, avrebbe scritto un romanzo sorprendente, ora viva della sontuosa rendita dello sfruttamento commerciale del suo nome e della sua immagine, sfornando una serie di schifezze di cui questo “Appunti di un venditore di donne” è l’emblema.
Furbo fino alla fine: uscita del romanzo: 9 novembre 2010, un mese circa prima di Natale. Bravo. Ma non come il nome del protagonista-voce narrante. Bravo davvero.