Si è parlato molto dell’inserto speciale realizzato dal Corriere della Sera che ha scatenato furiose reazioni in Rete al grido di #corrieresciacallo.
Oltre al contributo all’interno di questi spazi, in cui si esorta in buona sostanza a rilasciare nei prossimi giorni in open data tutti i dati relativi a tiratura, distribuzione, vendita, ricavi [inclusivi delle vendite extra del quotidiano generate dall’iniziativa, eh!], costi e versamento in beneficenza del libro, se vi fossero sfuggiti, valgono assolutamente il tempo di lettura le considerazioni di Massimo Mantellini e le impressioni di Luca Sofri sulla vicenda.
Credo ci siano degli aspetti che non sono emersi e che sia utile evidenziare, non per amplificare la polemica ma, al contrario, sperando che possano essere spunto, tra persone educate come suggerisce Sofri, per evitare il ripetersi di episodi di questo tipo. Per il bene della testata di Via Solferino e per tutte le altre testate che volessero trarre insegnamento da questa vicenda.
Dietro alle scuse di De Bortoli si cela qualcosa di ben più preoccupante. Un errore così dozzinale, che segue dopo quelli della vicenda del “click fasulli” e del macroscopico errore nel lancio del nuovo Corriere.it, non è casuale. Si tratta della somma di evidenze di quanto macchinosa e farraginosa sia l’organizzazione del lavoro all’interno del quotidiano la cui già difficile gestione di equilibri di più poteri, ed interessi, contrapposti, è resa ancor più difficoltosa dalle dimissioni annunciate del suo Direttore e, secondo quanto batte “radio moquette”, la voce dei ben informati, da mesi ormai di assenza di dialogo tra la parte editoriale-giornalistica e quella manageriale del quotidiano.
In caso di dubbi al riguardo, credo sia sufficiente il tweet di Michela Colamussi, Marketing Manager Corriere Digital, che a breve distanza dalle scuse di De Bortoli cerca invece di replicare alle accuse ricevute. Un exploit, diciamo, che al di là di altre possibili considerazioni è il segno tangibile della contrapposizione tra “noi e loro”, nonché il segnale della assoluta mancanza di unità di visione tra i due comparti aziendali.
È evidente che la risoluzione di queste dinamiche diviene perno centrale per evitare il prossimo “epic fail” e, possibilmente, essere finalmente parte della Rete.
La comunità di lettori è da sempre asset fondamentale per un giornale, ancor più, se possibile, per una testata per la quale si vocifera da tempo sulle intenzioni di applicare a breve un modello di membership come forma di remunerazione, di generazione di ricavo.
A prescindere di quanto siano effettivamente reali le giustificazioni addotte relativamente al poco tempo per un’operazione da instant book e la difficoltà di chiedere a tutti gli autori i permessi necessari è l’approccio che è da rivedere, anzi da ribaltare.
Se infatti gli autori delle vignette fossero stati contattati e coinvolti per tempo non solo si sarebbe evitato quanto avvenuto ma addirittura si sarebbe potuto contare su un gruppo di persone che avrebbero sostenuto e diffuso l’operazione benefico-promozionale magnificandone gli aspetti positivi contribuendo così complessivamente ad un impatto positivo non solo relativamente all’iniziativa specifica ma più in generale rispetto al “newsbrand” Corriere. Un percorso sul quale poi sarebbe possibile costruire ulteriori sviluppi positivi.
Era questa insomma una possibile occasione di creazione di valori condivisi per una testata che al contrario del suo più diretto concorrente non può contare sul senso di appartenenza. Si chiama, nel suo insieme, community management ed è ormai da tempo che se ne sente parlare, mi pare…
Credo, e spero, possano essere appunti utili per un Corriere non sciacallo e tutto quel che ne consegue potenzialmente. Buon lavoro!