A voler essere sintetici il film Monica e il desiderio, uno dei più noti di Ingmar Bergman
(anche per via del grande scandalo che seguì alla sua uscita), non certo uno dei più grandi, elabora:
...”la storia di una ragazza che seduce un uomo, fuggono, trascorrono insieme l'estate al limite della legalità e, giunto l'inverno, tornano in città, hanno dei problemi e si lasciano”.
(da Conversazione con Ingmar Bergman di Olivier Assayas e Stig Bjorkman).
I motivi per cui il film fece rumore, ebbe successo, sebbene a molti mesi dalla sua uscita, e resta una pietra miliare nel cinema di Ingmar Bergman sono sotanzialmente tre:
- Costituì il lanciò definitivo di una giovane attrice, appena diciannovenne, bellissima e sfrontata: Harriet Andersson, peraltro sconsigliata caldamente al Maestro da un anziano regista che aveva lavorato in precedenza con lei. Quando Bergman gli chiese se avesse potuto attribuirle la parte di Monica, quello rispose sarcastico: “Non credo. Se lo fa, sarà a suo rischio e pericolo”.
- Fu pesantemente mutilato dalla forbice della censura che pensò bene di eliminare alcune scene erotiche che avevano per protagonista la bellezza fisica e travolgente della Andersson.
- Da esso scaturisce una curiosa quanto proficua querelle di giudizi critici da parte di alcuni noti esponenti della Nuovelle vague francese, il più noto dei quali fu il critico dei Cahiers du cinema e regista a sua volta, Jean Luc Godard.
Sinossi
Monica e Harry, due giovani, in cerca di vita e d'amore, si conoscono in uno squallido caffè.
Decidono di fuggire e di girare il mondo vivendo alla giornata.
Si sotengono mangiando funghi selvatici colti nel bosco, frutta rubata dai frutteti e, perfino, (Monica) un trancio di arrosto sottratto al buffet di una villa.
Trascorrono le lunghe giornate estive facendo l'amore, oziando, parlando e bagnandosi in mare.
Monica lascia a briglie sciolte tutta la sua femminilità, fisicità, bellezza, voglia di vivere e di divertirsi.
Fino a quando non confessa ad Harry di essere in cinta.
Alla fine dell'estate tornano in città con l'intento di regolarizzare il loro rapporto.
Invece dopo un litigio violento nel quale Harry accusa Monica di adulterio (che lei non nega, confessando, anzi, di amare ancora una sua fiamma: Lelle) si lasciano.
Il film finisce con un flash-back nel quale Harry rivede i felici momenti estivi passati assiema a Monica.
E un motoscafo che lentamente si allontana sull'acqua.
Recensione
Non c'è dubbio che il film viva e si regga quasi esclusivamente sulla presenza in scena (pressochè ininterrotta) e sulla intensa performance interpretativa di Harriet Andersson.
Secondo Olivier Assayas, che raccolse in un libro la sua “Conversazione con Ingmar Bergman”, quella di Harriet Andersson in “Monica e il desiderio” è una delle più grandi performance d'attrice alle quali lo spettattore abbia mai assistito.
Ingmar Bergman aggiunse:
...Lei ha una storia d'amore con la macchina da presa. La macchina da presa la stimola e lei se ne sente estremamente stimolata. Una relazione molto strana....”
Non c'è alcun dubbio che la sua recitazione originale, sfrontata, scandalosa, disibinita, da attrice consumata abbia lasciato una traccia indelebile nella storia del cinema mondiale.
Sempre Olivier Assayas, scrive:
"Uno degli elementi straordinari del film è Harriet Andersson. Sicuramente una delle più grandi attrici mai esistite”.
La replica secca di Bergman: “E' vero”.
Lo stesso Bergman (che, per qualche periodo, era stato legato sentimentalmente all'attrice) afferma:
"...Se lei la vede in “Monica e il desiderio” e poi in “Sussurri e grida”... io credo che lei...insomma...che lei sia una delle più grandi attrici del mondo”.
E ancora Bergman, indugiando, stavolta, sulle indubbie qualità fisiche ed estetiche dell'attrice:
"Harriet era molto bella. Aveva diciannove anni. Abbiamo fatto il film. Quello è stato un periodo bellissimo”.
Ma non finisce quì.
Il Maestro spinge ben oltre la sua agiografia di Harriet Andersson.
Scrive, infatti, nel suo libro autobiagrafico Immagini:
"Harriet Andersson è uno dei geni della cinematografia. Se ne incontrano soltanto alcuni rari esemplari durante il cammino tortuoso attraverso la giungla di questo mestiere. Ecco un esempio. L'estate è finita. Harry non è in casa e Monica esce con Lelle. Al caffè lui fa suonare il juke-box. Nel fracasso dello swing la cinepresa si volta verso Harriet. Lei sposta lo sguardo dal suo partner direttamente sull'obiettivo. Così veniva stabilito, all'improvviso e per la prima volta nella storia del cinema, un impudico contato diretto con lo spettatore”.
E si giunge, così, al famosissimo sguardo in macchina di cui tanto si è parlato e scritto.
Il film, tuttavia, non fu accolto molto bene.
Almeno dalla critica.
Ebbe invece un discreto successo di pubblico.
Fu recensito in modo molto discordante dai critici dell'epoca.
Specie da quelli italiani, che non furono troppo clementi col regista svedese.
Giacinto Ciaccio lo liquidò scrivendo:
“Un dramma insieme bislacco, discutibile e commovente”.
Mario Verdone lo definì: "Un film minore” niente di più che “un solo, efficace, studio di donna”.
Alfonso Moscato, ritenne eccessivo ....” il parallelismo tra la natura e l'animo della ragazza”.
L'accoglienza tiepida che ebbe in Italia, per fortuna non fu la stessa che ebbe in altri paesi.
E fu bilanciata, ad esempio, da quella ricevuta in Francia, specie dal regista-scrittore-critico Jean Luc Godard che, dopo una retrospettiva organizzata dalla Cineteca Francese, lo riabilitò, sostenendo su i “Cahiers du cinema” che, in quel film più di ogni altro, Ingmar Bergman si era imposto come il “cineasta dell'istante”
Aggiungendo enfatico nella sua entusiastica recensione:
"Ognuno dei suoi film nasce da una riflessione dei protagonisti sul presente, approfondisce tale riflessione attraverso una sorta di frantumazione della durata, un po alla maniera di Proust, ma con maggiore forza, come se Proust fosse stato moltiplicato da Joyce e Russeau insieme, e infine diventa una gigantesca e smisurata meditazione a partire da un'istantanea. Un film di Bergman è per così dire un 24° di secondo che si trasforma, si dilata per un'ora e mezza.
E' il mondo fra due battiti di palpebre, la tristezza fra due battiti di cuore, la gioia di vivere tra due battiti di ali”
Lo stesso Godard fu affascinato dalla sequenza in cui Harriet Andersson fissa ostinatamente la macchina da presa, 5 anni prima di Gelsomina (Giulietta Masina) in La strada:
Bisogna aver visto Monica almeno per gli straordinari momenti in cui Harriet Andersson, prima di riandare a letto con un tale che aveva piantato (Lelle, ndr), guarda fisso la macchina da presa con i suoi occhi ridenti pieni di smarrimento, prendendo lo spettatore a testimone del disprezzo che essa prova nei suoi confronti per il fatto di scegliere involontariamente l'inferno contro il cielo”.
E la definì: “l'inquadratura più triste di tutta la storia del cinema”.
Curiosità
Il film, ad alto contenuto erotico, creò non pochi problemi ad Ingmar Bergman, non solo negli altri paesi, ma addirittura per la distribuzione nell'avanzata e disinibita Svezia.
Anche nella versione originale svedese infatti fu tagliata l'inquadratura di Monica che si accarezza il seno voluttuosamente.
E, nonostante il film, uscito nel 1953, fosse stato distribuito nel resto d'Europa con qualche anno di ritardo e in Italia, addirittura, nel 1961, fu censurato pesantemente.
In particolarre la forbice della censura colpì:
- a) la scena del momento in cui Monica fugge completamente nuda verso il mare sotto gli occhi di Harry;
b) l'inquadratura di Monica stesa a seno nudo sul motoscafo;
c) la scena nella quale Harry la prende con la forza strappandole i
vestiti di dosso.
Conclusioni
"Non ho mai fatto un film meno complicato di Monica e il desiderio. Tiravamo semplicemente avanti e si girava. Ci rallegravamo della nostra libertà. Il successo di pubblico fu considerevole”.
(Ingmar Bergman, dal suo libro autobiagrafico: Immagini)
Ed in chiusura di questa mia nota voglio anche aggiungere una considerazione personale sull'infelice titolo attribuito al film dalla distribuzione italiana.
Forse questo bel film del Maestro avrebbe meritato un titolo, in italiano, meno ...equivoco (come lapidariamente lo definì anche il critico Sergio Trasatti), più adatto a un film pornografico scandinavo girato in super8, che ad un film da comprendersi nella filmografia del regista più grande di sempre
Sarebbe bastato, probabilmente, tradurre anche troppo banalmente il bel titolo in svedese Sommaren med Monica nel più semplice ma più eloquente (in italiano): Un'estate con Monica.
P.S. Ma in fondo devo essere grato ai distributori italiani dell'epoca, anzi ringraziarli perchè col loro svarione hanno permesso che io potessi sfruttare quel bel titolo per il mio quarto libro (il terzo ispirato all'opera cinematografica di Ingmar Bergman).
Un saggio seguito da un racconto breve che si chiamerà appunto: Un'estate con Monika.
SMR