Conosciamo tre pagine di un grande libro illustrato. Aspettiamo di contemplarne la quarta, conclusiva. Aleksandr Sokurov nel flusso caotico del cinema europeo degli ultimi vent’anni ha rappresentato una corrente autonoma, potente e di cristallina purezza. La sua Russia è un’Arca che naviga in un mare minaccioso, uno scrigno di tesori dimenticati che cerca l’approdo salvifico, per nulla scontato, in un “porto” della memoria riconosciuta. Nella visione di Sokurov l’approdo non può che (ri)trovarsi nel cuore stesso della cultura europea, alveo naturale di quelle “radici” (religiose, artistiche, filosofiche) recise, spesso nel sangue, dalla Russia socialista, materialista e autarchica. Già in “Elegia della traversata” (2001) il viaggio, passando attraverso un lontano e indistinto porto di Helsinki, si era concluso a Rotterdam, nel museo Boijmans Van Beuningen dentro i dipinti dei grandi pittori fiamminghi. Non è forse casuale che la tappa conclusiva di quella che si va componendo come una grande Tetralogia sul Potere coincida con una rielaborazione (ancora non sappiamo quanto distante o fedele rispetto al testo di Goethe) di un “mito” fondativo della cultura mittel-europea come quello del Faust. Per prepararsi al meglio alla scoperta del tassello finale, può essere utile riannodare il ricordo dei primi tre. La prima pagina di questo Libro che riflette sulla natura del Potere e dei Potenti (Moloch, 1999) è occupata dalla ingombrante ombra di un Leviatano, di un mostro partorito dal Male Assoluto e incarnatosi nel corpo flaccido e putrescente di Adolf Hitler. Una fortezza sulle alpi bavaresi, altissima e avvolta da nebbie lattiginose, è il luogo dove si pronuncia la bestemmia di un Potente che si sostituisce a Dio, tentando di imitarne l’Assolutezza, e ottenendo come risultato solo la messa in scena, grottesca e folle, di una effimera quanto tragica auto-rappresentazione. La seconda pagina (Taurus, 2001) illustra la dimensione più intima e sofferente di un Lenin condannato all’impotenza e alla immobilità fisica. L’uomo che ha mobilitato migliaia di coscienze determinando il corso della storia mondiale è costretto a letto, o su una sedia a rotelle, comunque isolato, impacciato e ostacolato dalla malattia in ogni movimento. Anche del pensiero: una banale operazione aritmetica, o una considerazione sulla origine fisica dei temporali, possono rappresentare un ostacolo intorno al quale si aggroviglia il filo di un pensare fattosi difficile, faticoso. L’inevitabile autocoscienza del proprio essere (stato) maschera, e della intrinseca caducità di ogni “potere” umano, segna però il più evidente scarto rispetto alla cieca e stolida determinazione del Moloch/Hitler che imita Dio. La frattura è destinata ad esplicitarsi nel terzo, straordinario, momento di questo Libro: il racconto dell’Imperatore giapponese Hirohito (Il Sole, 2005) che “rinuncia” alla sua Divinità quando riconosce l’errore della guerra. Il suo è un drammatico percorso di consapevolezza compiuto fino all’estremo, fino ad una rinuncia che dischiude la conquista di una piena e mai vissuta Umanità. Il passaggio ancora mancante del Faust potrebbe essere antitetico rispetto a quello di Hirohito, o riecheggiare il sulfureo ricordo di un Moloch immortale, o rappresentare la possibilità ultima per un altro Taurus in punto di morte. Ancora qualche giorno e la pagina mancante, quella con il finale che aspettiamo, si aprirà al nostro sguardo.