APPUNTI SULLA SOTTRAZIONE
intorno a
PORTA OGNUNO, di Cristiano Poletti, L’Arcolaio 2012
di
Gianfranco Fabbri e Sebastiano Aglieco
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Dovendo parlare di questo Porta a ognuno di Cristiano è preferibile iniziare a riflettere sulla caratteristica che più è saltata all’evidenza; in questo terzo lavoro di Cristiano è mirabile il grado di ritrosia dell’uso del verbo; ovvero, risulta encomiabile la reticenza come figura retorica. Se si pone attenzione ai livelli dichiarativi, si nota come questi paiano (tutti o quasi tutti) vaghi e amplissimi nelle possibilità di valenza comunicativa.Rispondono all’appello, nella prima sezione (Posti al riparo), molti participi, usati con funzione aggettivale (ad esempio: prestato, ferito o preoccupato). L’autore dà così l’impressione netta di nascondersi dietro l’ambiguità poetica e dietro anche all’allusione di più riflessioni in simultanea.
Il testo di pag. 19, intitolato Il rifugio, è sin dal titolo metafora del non detto, del detto a mezza voce. “Brucia al sole aperto dagli auspici / la nostra attesa” ovvero: “il futuro dell’io che brucia / ” (forse è la vita che procede per somiglianza?) “annuncia il freddo” (il freddo… mortifero).
La poesia di Cristiano è di cifra esistenziale, tutta raggrumata nell’auscultazione del profondo. Vagamente, l’esterno al sé appare labile nella connotazione e attraversa parti di città, disegni cromatici di iridi oculari (da porre in similitudine con i cieli invernali della Bergamasca). Compaiono, infine, nomi di paesi che rimandano a diverse e lontane temperie. Ecco allora apparire, come già si notava all’inizio, cospicue parti in cui è possibile leggere interi versi di natura nominale, o, tutt’al più abitati da isolati infiniti verbali, a titolo “assoluto”.
L’autore sancisce condizioni e protocolli, disposti su differenti livelli di reticenza. Ne consegue una temperie feriale, di cromatica grigio-luminosa, dove il silenzio dell’uomo è garantito dalle molteplici dichiarazioni d’amore – sussurrate nell’attutito silenzio, a mezza voce e con il sospetto che si possa venire ascoltati.
La Lombardia c’è, ma appare di più nella forgia lessicale e nella partitura sintattica dinoccolata. Questa Lombardia è raffigurata come terra di agitati silenzi e di colori-non colori. È terra che pare svolgere una quiete di ipotesi impossibili a muoversi.
Poi c’è il titolo. Una questione d’intenti, più che di contingenze. Un titolo che assicura una previsione di pani e pesci distribuiti, ma che poi trova la propria vocazione nei cieli suggestivi e un po’ ultramondani della pianura di Treviglio. Il titolo porta la visita episcopale a chi necessiti di “conforti poetici”; la bellezza di questo Porta a ognuno sta quindi nella differenza di potenziale che s’accende tra gli intenti e le loro impossibilità.
Insomma, è lo schioccare dell’ossimoro nella sua più alta consistenza.
Gianfranco Fabbri
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Il libro porta un epigrafe tratta da Matteo:
sia il vostro linguaggio: si, si; no, no; il superfluo procede dal maligno.
Queste poesie, allora, tentano di stare dentro un’ onestà di lingua, una fedeltà a dire ciò che gli è più prossimo, che conosce meglio. E’, quindi, anche un libro monacale, che spesso si censura fino al balbettamento, alla destrutturazione delle frasi lunghe per conservare il ricordo percettivo di quel dato senso, di quella urgenza.
Un esempio:
Cattedrale di rouen
Architetture, di acuto e di vuoto
e in fondo al vuoto c’é chi ride
della salvezza. In frammenti gli resta
quello che vogliono, i giorni contatti…
p.13
E’ un testo tutto pieno di questa infinitezza: precarietà, acuto, vuoto, frammenti, chi resta, i giorni contati…
Qualcosa quindi rimane offuscato e provvisorio, indissolubilmente legato al dato percettivo del ricordo che si sottrae e si intensifica a seconda della potenza sensoriale o emozionale. Così, per esempio, nel testo iniziale a tutto tondo…”E dov’è Lalino, adesso?”
O in quello conclusivo, con lo stesso significato emotivo del primo.
Questa sottrazione – quando Poletti opera per sottrazione – è a volte segnalata dall’utilizzo di puntini di sospensione che isolano il testo breve tra due nulla, il prima e il dopo. Per esempio:
Sud, un mare
…e anche il mare sembrava gracidare
come i loro corpi contro il vento
del pomeriggio; in un attimo ognuno
distinto sulla barriera del nulla …
p.16
Ma soprattutto, al di là di questi valori formali, c’é la questione, ben più seria, del “tu”
Il “tu” che uso ancora
è rimedio contro di me.
Se sia amore questa cosa
io davvero non te lo dico.
p.64.
La reticenza a dire, segnala una modalità del dolore: una è quella del “tutto pieno”, della dichiarazione della perdita; l’altra quella della distanza sottrattiva da thanatos, dall’oscura porta che esso tiene socchiusa come promessa di abbandono.
Si potrebbe dire che Poletti voglia esorcizzare la colpa del non esserci, del non esserci stato, laddove per esempio, nei testi scritti a Berlino – un viaggio dunque – la sottrazione non riguarda la parola postuma del corpo ma la parola che cerca di lenire, seduta stante, qualcosa che col tempo sarebbe diventato offuscato e innominabile.
La parola insomma, si situa nel cammino, nel tentativo di fare storia di se stessi, progetto. E’ certo, arma potente ma spuntata, necessaria ma incapace di spiegare…
Cosa vuol dire venire alla luce?
A ora incerta, a fondo
lavoravo e non capivo
quanta fatica per dire soltanto
una parola, essere salvati.
Chi nella carne del mondo
prende il dolore e lo brucia
rinasce.
p. 58
E’ diario, certo, dell’accadere entro i margini della propria vicenda nel mondo, considerando che il mondo preme e la parola è costretta a farsi carico degli arrendimenti.
Ciò che va inoltre detto, a proposito di queste poesie, é che esse hanno conosciuto l’ impervia strada del non apparire da sole - sono poesie che evocano accompagnamenti e solitudini – e il titolo del libro, scelto “insieme”, sa cogliere il senso di queste piccole storie raccontate a fior di pelle, dolorose come dovrebbe essere un po’ ogni poesia.
Sebastiano Aglieco