Non sono, né voglio essere, un “tecnico” (e nemmeno, in senso proprio, un teorico) delle strategie. Esporrò quindi con mie povere parole ciò che penso (e sento) in merito al loro significato e modalità; perfino ricordando (solo dentro di me, state tranquilli) alcuni miei giochi da bambino, in certi casi innocui, altre volte piuttosto crudeli nei confronti delle formiche (rosse e nere; colore già “metaforico”, pur se in quel caso mi facevano maggior simpatia le nere, meno nevrotiche e più sicure di sé, quasi “sagge”), di cui, con la scusa di sezionarli, squassavo i nidi, dando corso all’invasione di un formicaio da parte degli insetti da me prelevati da un altro con paletta e secchiello. Lasciamo correre quel che accadeva, comunque interessante.
Secondo il mio punto di vista circa le mosse che è possibile compiere per conseguire un dato obiettivo indicato come punto B, il soggetto A progetta una serie di mosse seguite da movimenti che tracciano idealmente una linea. Ovviamente, non è possibile seguire il tracciato più breve poiché generalmente si incontrano varie resistenze e ostacoli lungo il cammino, sia “oggettivi” sia legati all’azione di più soggetti (indichiamoli con A1, A2, A3….) interessati a quell’obiettivo (o a obiettivi strettamente connessi), che dunque interagiscono, scontrandosi, tra loro. Si hanno più linee di andamento curvilineo o più probabilmente spezzato, talvolta con apparenti interruzioni che sono punti di snodo (magari di semplice “riflessione” sul da farsi). In ogni caso, da A a B (cioè, in realtà, da A1, A2, A3 …. a B) si dirama una direttrice non rettilinea che mira all’obiettivo, fra l’altro di possibile spostamento nel mentre si sviluppano le diverse operazioni implicanti un tempo più o meno lungo di esecuzione. Ogni mutamento della direzione presa dalla linea di scorrimento, relativa alle mosse compiute da ogni attore, segnala la presenza degli “ostacoli” (indipendenti o legati all’azione degli altri soggetti) implicanti la lotta per superarli o evitarli; lotta che richiede spesso “alleanze” tra certi soggetti per batterne altri e rimuovere gli impedimenti che questi rappresentano per l’azione del soggetto preso in specifica considerazione.
Le diverse linee (non rette) si dipartono dunque dai differenti punti, rappresentanti gli agenti, verso l’obiettivo da conseguire, anch’esso in spostamento poiché non può restare fisso, immobile, nel mentre si sviluppa la multipla azione (l’azione di più soggetti) che tendono a raggiungerlo. E’ ovvio che in questo molteplice percorso delle varie linee – da A1, A2…. all’obiettivo B (scopo di vittoria e supremazia) – si verificano intersezioni delle stesse che rappresentano gli incontri/scontri dei vari agenti per giungere al suddetto scopo mobile; e spesso mutevole nelle sue stesse caratterizzazioni. Non sono in grado di produrre un disegno o una formula matematica; dunque capisco che non è facile rappresentarsi, per istantanee successive, la figura che assume il campo (di battaglia) delimitato e solcato da queste diverse linee indicanti le strategie di lotta. Comunque, si dia sfogo al proprio sforzo immaginativo.
Mettiamo adesso che uno degli agenti (A1) sia in grado di esercitare pressioni su di una serie di sub-agenti (a1-1, a1-2, a1-3….) per orientarne l’attività verso l’obiettivo B (di supremazia). In genere, entro un congruo periodo di tempo si metteranno in moto anche gli altri soggetti A2, A3….; magari all’inizio da soli, ma con successiva probabile entrata in azione di loro sub-agenti: a2-1, a2-2… e a3-1, a3-2…, ecc. In una fase di transizione dal mono al policentrismo – quello che fu il cosiddetto imperialismo, per null’affatto caratterizzato da semplici imprese coloniali, ma da autentiche lotte tra A1, A2, A3…. per la conquista e ampliamento di sfere d’influenza – in genere un soggetto, ad es. A1, ha potenza prevalente e muove verso l’obiettivo B con forza decisamente superiore rispetto agli altri (A2, A3… ecc.). Le linee di scorrimento da A1 a B sono comunque disturbate dall’azione degli altri agenti e quindi costituiranno un campo da esse delimitato con percorsi zigzaganti o a tratti almeno curvilinei, ecc. Quando l’azione dei soggetti in conflitto è ancora debole, le linee da A1 a B hanno un andamento spezzato con angoli nettamente ottusi tra i diversi segmenti (oppure presentano una curvatura poco accentuata). Quanto più forte si fa il contrasto, tanto più i segmenti in questione formeranno angoli acuti (e sempre più acuti); le linee potranno anche presentare anse, inanellamenti (quindi temporanei ritorni indietro), ecc.
Progressivamente si arriva al multipolarismo. Generalmente in tale tratto temporale (storico) diventa sempre più visibile la presenza dei sub-agenti. Le linee da A1 a B devono passare necessariamente attraverso a1-1, a1-2… ecc. E il disturbo al loro procedere nel tempo proviene non semplicemente dall’azione (meno potente) di A1, A2, ecc. ma via via dai sub-agenti di questi soggetti (a2-1, a2-2…., a3-1, a3-2… ecc.). L’incrocio fra le linee demarcatrici del campo d’azione molteplice (formato da un certo numero di poli, ancora di differente potenza) diventa assai più complicato. Non vi è più un fascio di linee di forza, sia pure segmentate o curvilinee e con angoli e curvature sempre più stretti, bensì un reticolo a maglie via via più fitte, che è una sorta di pavimentazione solcata da canaletti intersecantisi. Finché un polo resta più potente, è come se il pavimento fosse inclinato con la parte più alta dov’esso si trova. La sua potenza si esprime al meglio quanto più è “liquida”. Non deve essere come una palla d’acciaio scagliata contro l’obiettivo B perché questa dovrebbe rotolare lungo i vari canali posti a rete, la sua marcia sarebbe rallentata nel percorrerli per i frequenti mutamenti di direzione; controllarla e guidarla nella sua corsa di oggetto unitario e compatto sarebbe problematico. Il “liquido” si diffonde invece ramificandosi in pieno adattamento al reticolo; esso fluisce quindi lungo i vari canali da A1 verso i suoi sub-agenti e da questi in direzione della parte di “pavimentazione” segmentata dall’intreccio delle linee tra A2, A3, ecc. e i loro sub-agenti (a2-1, a2-2…, a3-1, a3-2 ….. ecc.).
Man mano che ci si avvicina al policentrismo, la pavimentazione è sempre meno inclinata; e semmai assume, di tempo in tempo, deboli inclinazioni differenti a seconda della forza con cui i vari agenti esercitano la loro pressione su di essa nel mentre immettono il “liquido” (opportune mosse strategiche) nelle rete dei canalicoli. E inizia a farsi sentire, sia pure subordinatamente, anche l’azione sempre meno passiva dei sub-agenti più robusti. Dal multipolarismo in poi, entriamo nella situazione in cui i poli – prima i meno potenti e poi via via tutti – devono abituarsi alla strategia del caos. Con tale termine non s’indica una situazione di completa incontrollabilità e non misurabilità. Semplicemente, il calcolo circa l’immissione del “liquido” – e la pressione da esercitare sulla pavimentazione (solcata dai numerosi canalicoli formanti la rete) per inclinarla onde farlo scorrere verso B (l’obiettivo, la supremazia) – diventa complesso e sempre più “probabilistico”; alla fine assume un carattere largamente indeterminato. Tuttavia, nessun polo, abitualmente, rinuncia ad una strategia che mira a far sì che il “liquido” (della sua potenza) giunga infine all’obiettivo B, pur attraverso complicati “disegni geometrici”.
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Diversa e assai speciale è quella che potremmo definire la strategia del “pantano” (della palude, dell’acquitrino melmoso o come la si vuol appellare). Sia chiaro che non è l’azione di un agente, sulla difensiva, che fa “terra bruciata” per ritardare e logorare l’avanzata di un altro. In genere questa strategia (tipica quella di Kutuzov contro Napoleone) si usa nei confronti di un aggressore di potenza superiore che non usa certo una strategia “liquida”, bensì simile ad una palla d’acciaio scagliata per sfondare e abbattere l’ostacolo. Nemmeno ci si può riferire al cosiddetto “mordi e fuggi” (in genere usato da gruppi “partigiani”); e sempre in risposta all’aggressione di un attaccante inizialmente più forte, che s’intende logorare e indebolire onde sfiancarlo e costringerlo a ritirarsi. Le strategie appena viste servono in ambito difensivo; sono quindi utilizzate da dati soggetti (almeno inizialmente più deboli), in azione nella propria area d’insediamento per contrastare le mosse di uno o più soggetti tesi all’obiettivo di supremazia (B) mediante linee “d’attacco”, che investono direttamente chi si difende. Diciamo, in sintesi, che A1, sentendosi in posizione di vantaggio quanto a potenza, decide di regolare definitivamente i conti con A2 o A3…ecc., passando per il (e sul) loro stesso corpo; e l’aggredito re-agisce non in contrattacco, bensì con il tentativo di esaurire e disperdere la potenza di A1 mediante assorbimento del suo urto nel proprio corpo.
La strategia del “pantano” è invece una modalità d’aggressione che tuttavia sembra esprimere, in qualche modo, un deficit di potenza dell’attore A1, sia pure ancora in posizione relativamente predominante rispetto agli altri (come accade nel multipolarismo). Non è in grado di lanciare la “palla d’acciao” per demolire il “muro” della forza di A2, A3…. Nemmeno se la sente di puntare all’intrico dei canalicoli, di cui già detto, con pressione sulla pavimentazione (il campo d’azione) per inclinarla in modo adeguato a far scorrere il “liquido” (strategico) della sua potenza verso gli attori avversari, orientandolo in modo necessariamente soggetto a larghi margini di indeterminatezza a causa dei détours imposti dal reticolo; comunque in qualche modo guidandolo nel tentativo di far sì che si infiltri nel “muro” della(e) potenza(e) antagonista(e) onde farlo rammollire e possibilmente sgretolare.
Nella strategia del pantano, il soggetto in azione “molla” il “liquido” in date aree valutate le più interessanti per mettere in difficoltà gli altri attori, che inizino a mostrare capacità di infastidirlo pur se non in tempi brevi. Il pantano serve a rendere impossibile o difficoltosa l’entrata degli altri soggetti agenti in quella data area; oppure a creare situazioni di incontrollabilità e invischiamento d’essi in aree in cui fossero già installati o in via di installarsi con maggiore stabilità. Vi sono poi casi particolari di più difficile comprensione (si pensi all’azione statunitense in paesi come Tunisia ed Egitto). L’attore A1 controlla già di fatto a1-1, a1-2 …, ma preferisce rendere melmoso il terreno per consentire mutamenti apparentemente incontrollati (e che indubbiamente presentano pericoli in tal senso), poiché si pensa alla possibile formazione in quell’area di alcune “correnti più dense” in grado di penetrare in altre aree limitrofe (non in senso soltanto geografico), rendendo il loro terreno molle e scivoloso, e creando pure alcuni punti di sprofondamento in sabbie mobili. I movimenti su un terreno simile non sono manovrabili a piacere; si creano comunque sbandamenti, mutamenti di marcia, intralci reciproci e autentiche “liti” – magari per scansare il pericolo di sprofondamento – tra quegli agenti (gli A2, A3…. o anche i loro sub-agenti) che intendessero introdursi nelle aree in questione.
Si pensi all’ambiguità Usa nei confronti delle diverse “frazioni” dell’islamismo, un comportamento nettamente diverso dalla decisa lotta al terrorismo islamico sanzionata dall’attentato alle “due Torri”; e la cui fine inizia già nel 2006 (sostituzione di Rumsfeld con Gates), si accentua con lo scontro tra Obama e McChrystal (iniziato nel settembre 2009 e terminato con la rimozione del Generale il 24 giugno 2010 e la nomina al suo posto di Petraeus, già esecutore del cambiamento tattico in Irak), ed è ufficialmente chiusa (2 maggio 2011) con l’assassinio brutale e selvaggio di Bin Laden per dare il massimo risalto all’esaurimento della lotta in questione. A tale ambiguità verso l’islamismo si accompagna ovviamente quella nei confronti di Israele (dove non si sa quanto vi sia di gioco delle parti e quanto di autentica diversità tattico-strategica), della Turchia, ecc. La Libia sembra una tipica “pozza di sabbie mobili”. E probabilmente si vorrebbe crearne un’altra in Siria.
Tale strategia non ha tratti netti che consentano una sicura individuazione delle sue direttrici di movimento. E’ senza dubbio aggressiva; eppure si serve di alcune mosse che sembrano assimilabili a quelle con cui ci si oppone all’avanzata dell’antagonista. Allagare un terreno può essere infatti una variante del fare terra bruciata, del rendere difficoltoso a chi penetra in un territorio il ricevere adeguati rifornimenti per cui esso è costretto a rallentare l’invasione. Non è questo il caso di cui si sta parlando; s’irrora di “liquido” un “terreno” per rendere poco marcate e quindi più difficilmente contrastabili le linee seguite da una strategia di sostanziale attacco. Nella mota, le linee in oggetto seguono dati percorsi non indicati dallo scavo di canali. Il “liquido” (delle strategie) sembra appunto impantanarsi nel “terreno”, ma alla fine può attraversarlo, magari suddiviso in più correnti ben poco visibili, per riapparire più denso in altre zone dove rende difficoltosi i movimenti degli avversari.
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In concreto, nell’ambito di una simile strategia, A1 sembra lasciare più ampia libertà ai suoi sub-agenti (a1-1, a1-2 …), mettendoli in realtà in competizione fra loro nel rendere assai frastagliato, ramificato, il “liquido” in questione, che appare torbido e di densità continuamente variabile nei suoi percorsi. In realtà, la presunta libertà d’azione concede ad ogni sub-agente soltanto il tentativo di acquisire qualche lunghezza di vantaggio sugli altri. Più o meno, è la situazione creata da un’impresa che intenda penetrare in un nuovo mercato. Invece di stabilire una rete di “rappresentanti” ben articolata e alle sue dipendenze, potrebbe decidere di affidare, senza nemmeno precise regole contrattuali, lo smercio dei suoi prodotti ad agenzie commerciali formalmente indipendenti, il cui guadagno dipende non semplicemente dall’abilità nella vendita, ma ancor più dal mostrarsi maggiormente dotate di mezzi e decisione delle altre; e la dimostrazione viene data soprattutto indebolendo e togliendo spazio all’azione di queste ultime. Si tratta del tipo di situazione che sembra oggi esistente tra A1 (gli Stati Uniti) e i suoi sub-agenti europei. Si pensi, ad esempio, alla Francia e all’Inghilterra rispetto all’Italia in Libia; o adesso all’Italia del governo più servile della sua storia – quindi diretto con una certa efficacia da oltreatlantico e ben coadiuvato dalla generale complicità del ceto economico e politico che passa per sua classe dirigente – nell’azione tesa a creare qualche zizzania in Europa. In effetti, il nostro paese finge un’inesistente autonomia mentre esegue precisi ordini di intralciare soprattutto la Germania, che mira a conquistare una posizione di relativa preminenza tra i vari sub-agenti europei, volendo tuttavia evitare di esporsi a scontri con gli Usa.
Qualcuno pensa che tale comportamento strategico odierno degli Stati Uniti dipenda dalla necessità di risparmiare risorse (finanziarie in specie) giacché il paese sarebbe fra i più toccati dalla presente crisi, iniziata nel 2008 e che sembra avere l’intenzione di ripetere almeno in parte i nefasti della “grande depressione” di fine secolo XIX (assai lunga: 1873-96). Probabilmente, sussiste pure un motivo del genere, ma l’attuale crisi, a mio avviso, non è tanto causa quanto soprattutto effetto del lento e non ben visibile declino che sta subendo la “potenza” degli Stati Uniti dopo il breve periodo di, almeno creduto, monocentrismo susseguente al crollo socialistico e dell’Urss. A fine secolo XIX anche il declino inglese non era comunque gran che evidente (come lo divenne, e nemmeno completamente, con la prima guerra mondiale). E ho la netta sensazione che il cosiddetto BRIC odierno non abbia le stesse potenzialità di Usa, Germania e Giappone a fine ‘800. Solo un attento studio storico potrebbe chiarire se, in qualche modo, l’Inghilterra di allora svolse la strategia del “pantano”. Ne dubito, ma non sono in grado di essere tassativo al riguardo.
In ogni caso, questa sembra l’odierna strategia degli Usa. E ribadisco la mia convinzione che essa è dettata solo in via secondaria da difficoltà finanziarie. La vera crisi non è quella delle risorse di tale tipo con cui alimentare imprese belliche dirette (tipo Irak, Afghanistan, ecc.). La crisi è semmai reale, per l’assenza di un centro relativamente regolatore del sistema economico (come lo furono gli Usa nel “campo capitalistico” durante l’epoca bipolare tra 1945 e 1989-91), centro che aveva molto attenuato nel suddetto “campo” il manifestarsi delle crisi, ri-denominate infatti recessioni. L’attuale crisi reale – pur tenendo conto che i processi sociali sono assai più frequentemente di tipo “circolare-cumulativo” e non “causale-deterministico” – è in ultima istanza effetto piuttosto che causa di un evolversi della situazione verso il multipolarismo.
Multipolarismo, ma ancora assai imperfetto. Gli Usa godono tuttora di margini di manovra sufficientemente ampi, possono quindi usare svariati mezzi per mosse strategiche a vasto raggio; soprattutto a largo spettro nel differenziare le sequenze di mosse che tracciano le diverse linee di scorrimento da A1 all’obiettivo B (la supremazia da mantenere). A me sembra che questo largo spettro sia utilizzato dai centri di potere americani per una strategia del “pantano” piuttosto che del semplice caos (reticolare); in ogni caso, è al momento accantonata (non sono in grado di affermare per quanto tempo) quella della “palla d’acciaio”. La strategia odierna sembra caratterizzata decisamente da assai ampia indeterminatezza, poiché deve comunque assegnare una pur relativa libertà d’azione ai sub-agenti. E’ come quando, nella battaglia (o serie di battaglie), il comando supremo di un esercito decide di garantire maggiore libertà d’iniziativa ai suoi reparti: per la non completa conoscenza del campo di battaglia o delle forze dell’avversario o perché il campo in questione è assai accidentato, magari sconvolto dal teatro di guerra, ecc. Aumenterà la flessibilità e la velocità di reazione rispetto ad imprevisti; il coordinamento si perderà però più facilmente. Se addirittura i vari reparti fossero fra loro messi in competizione per ottenere da ognuno d’essi il massimo rendimento, si capisce d’emblée a quali pericoli si andrebbe incontro.
Si tratta di un modo di comportarsi che punta soprattutto a creare un campo assai mobile, fangoso, in cui si affonda (un pantano, appunto) e si procede faticosamente, soprattutto se non si è opportunamente equipaggiati. Ci si affida principalmente allo scoordinamento, possibile fonte di contrasto tra i vari sub-agenti. Si immette dunque nei loro territori il “liquido” (delle strategie) nella convinzione che questo li attraversi – creando nel contempo paludi e competizioni fra essi per situarsi in zone di essiccazione del fango, dalle quali alcuni potrebbero dunque esercitare una relativa preminenza sugli altri – infiltrandosi pure nelle aree tutt’intorno agli attori A2, A3 …. (con i loro sub-agenti), che sarebbero così spinti ad un’attività di “bonifica”, con possibili frizioni reciproche e conseguente dispendio di energie e di tempo, che sarebbe di fatto un guadagno per A1 (nel nostro caso, gli Usa). Si tratta comunque di strategia di andamento fluido e cangiante, non certo priva di rischi per chi l’adotta; potrebbe inoltre essere temporanea. Da seguire comunque mossa dopo mossa, perché la sua incertezza implica maggiori difficoltà nel seguirla e interpretarla nel suo andamento ondivago.