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Per comprendere a fondo la natura di noi italiani, i meccanismi sociali che regolano la vita nel nostro paese, i codici etici intrisi nel DNA nazionale, non è necessario scandagliare decine e decine di sondaggi politici, o addentrarsi in chissà quali raffinate analisi da psicologia delle masse; basta andare al supermercato e vedere l’inferno che si può scatenare nella banalità del quotidiano per un semplicissimo, inutile avvicinamento al nastro trasportatore.
Ero in fila alla Billa, stamattina, in attesa del mio turno per pagare sei bottiglie d’acqua frizzante, e una vera e propria battaglia mi si è scatenata attorno non appena una signorina col camice giallo e rosso del supermarket ha fatto per sistemarsi alla cassa vicino alla quale io e un’altra mezza dozzina di clienti ci preparavamo a svuotare il carrello.
Ecco che immediatamente, scaltra, una delle massaie d’assalto allenate alla trincea del hard discount che avevo attorno, ha divaricato le gambe assumendo una posizione plasticissima tipo giocatrice accanita di Twister tenendo occupata con un piede la sua momentanea posizione nella fila per non perdere la priorità acquisita, e allungando l’altra zampa in direzione dell’appena comparsa signorina col camice per attaccarla tipo cacciabombardiere e chiederle aggressiva: “Sta aprendo?”
Come da tradizione letteraria, la sventurata rispose, lasciandosi andare a un cortese “Sì.. apre anche questa cassa!” E, appunto, di colpo ha avuto inizio la guerriglia suburbana, con casalinghe-kamikaze pronte all’autodistruzione pur di guadagnare qualche posizione nella coda.
Ora… in un paese normale – civile, diciamo – è abitudine piuttosto diffusa, quando si è in una coda, quella di mantenere comunque l’ordine di arrivo, rispettando il diritto di precedenza e conservando sempre le buone maniere indispensabili alla comunità. Abbiamo visto, nelle recenti disgrazie che hanno colpito il Giappone, centinaia di persone evacuare palazzi tremolanti in perfetta fila indiana. In Italia no. In Italia si è pronti alle peggiori nefandezze e a tecniche biechissime, pur di far la figura dei furbi e di fregare il prossimo anche su una stupidaggine come un posto in prima linea al supermercato.
Ho visto una pensionata tuffarsi nel carrello per afferrare un casco di banane, sbucciarle a tempo di record e spargere le bucce tra i piedi delle altre clienti in coda. Ho visto una madre di due figli piccoli spruzzare il Glassex negli occhi del vicino che le stava passando davanti.
E’ che siamo fatti così: ci sentiamo meglio quando riusciamo a prevaricare l’altro, a parassitarci succhiando via un po’ di sangue non nostro, a rosicchiare un grammo di carne dall’osso lasciato incustodito nel piatto di chi ci sta di fronte. Il rispetto per l’altro da noi non è un valore che ci gratifica o che ci fa apparire migliori a noi stessi; al contrario: ci sentiamo presi per il naso e fottuti ogni qualvolta si stanno semplicemente rispettando le regole e il bon ton e a noi, invece, pare si stia compiendo un increscioso sopruso nei confronti del nostro granitico, inattaccabile egoismo.