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“Apri gli occhi”, se puoi raccontare ciò che vedi

Creato il 19 giugno 2014 da Cremonademocratica @paolozignani

Il film può essere captato su Cubovision e parrebbe all’inizio imperniato sull’antica procedura plautina, in versione drammatica e sentimentale però, dello scambio di persona, aggiornata al fraintendimento fra realtà e sogno. Lui, lei, l’amico di lui: la retorica incombe ma viene allontanata con improvvisi colpi di scena. Lei non è lei, ma un’altra, lui è cambiato, si risveglia, che cosa sia reale non è ben chiaro. La trama perde ritmo e interesse per poi attrarre l’interesse dello spettatore. Il protagonista, innamorato di una ragazza misteriosa, che non si sa se sia reale o immaginaria, compare presto in un manicomio criminale, e non si capisce perché. Sono i suoi sogni, le sue visioni, a condurre lo spettatore verso la ricostruzione della realtà, che però viene sempre più complicata. Questa procedura di disvelamento inganna se stessa, diventa depistante.

La questione però non è psichiatrica. Il film racconta quanto sia forte il biopotere, ovvero il potere di controllare la vita anche privata, apparentemente libera degli esseri umani. Realtà e fantasia sono categorie superate, come pazzia e lucidità.

La biografia folle come quella sana sono prodotti commerciali. Il film approda, come al solito, alla definizione del cattivo e del colpevole, quasi ci fosse bisogno di un solo responsabile quando questo è il sistema nel quale già ci si trova, immersi però in un linguaggio più sottile e prigionieri di strumenti semplici e incontrollabili.

La sceneggiatura, pur con passaggi deboli, arriva comunque a descrivere un mondo in cui sia possibile scegliere quale vita vivere, anche fittizia.

Il fatto è che la finzione, anche oggi, nella realtà “vera e propria” è armata fino ai denti. La costruzione della realtà considerata vera e socialmente accettabile è già attiva da tempo. Il film così produce una consolazione pericolosa: racconta cioè che la realtà sia oggettiva, non manipolabile, eppure ha appena dimostrato il contrario.

Il cinema deve auto-rassegnarsi al ruolo che il potere che lo orienta gli assegna: far fine la fiaba, far apparire la scritta THE END per accreditare, qualunque cosa sia stata raccontata nel film, la realtà solidamente controllata. Per questo non c’è di meglio che intravvedere.


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