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Arancia Meccanica

Creato il 05 marzo 2013 da Ildormiglione @ildormiglione

Arancia_Meccanica_000Il pensare è per gli stupidi, mentre i cervelluti si affidano all’ispirazione.

Quando si parla di “Arancia meccanica” bisogna fare attenzione a non farsi trasportare da una sorta di goduria cinematografica che offuschi l’oggettività. Stiamo parlando di uno dei film che più hanno influenzato il cinema (pensiamo a “Funny Games” e “Le iene“), di uno dei film più visti della storia, di uno dei film che ha creato un’iconografia riconoscibile in qualsiasi parte del mondo, di un film del 1971 che ancora oggi appare sempre nuovo e mozzafiato. E non stiamo parlando di un film d’amore, ma di un film che ha fatto dell’iperrealismo della violenza il suo marchio di fabbrica. Bisogna stare ben attenti a contestualizzare il film, che all’epoca della sua uscita, ma anche ora, ha scatenato una miriade di censure e critiche, salvo poi assuefarsi ad cinema che propina ciò che dovrebbe essere chiamata pornografia intellettuale. Ma le polemiche lasciano il tempo che trovano, e parliamo di quest’opera d’arte gustandoci tutto ciò che c’è da dire.

Stanley Kubrick, regista che non ha bisogno di presentazioni, nel 1971 dirige “Arancia Meccanica“, tratto dal discusso romanzo di Burgess. La storia si sviluppa attraverso alcune fasi, piuttosto evidenti, e inizia raccontando le vicende dei Drughi, un gruppo di ragazzi che rappresentano il male assoluto, quello inspiegabile e senza motivo. Picchiano i barboni, si dilettano con “scorpacciate di ultraviolenza” o col somministrare del “dolce su e giù” a “giovani devotchke“, entrano nelle case degli altri distruggendo tutto, corrono con la loro macchina in controsenso e dopo tutto questo tornano a casa a riposarsi come se niente fosse. Tutto il loro divertimento viene interrotto quando, dopo un colpo finito male, il capo della banda, tale Alex, viene arrestato e accusato di omicidio. E una volta in carcere deciderà di sottoporsi al terribile metodo Ludovico, uscendone profondamente cambiato. Ma raccontare la trama effettivamente sminuisce il senso estetico di un’opera destinata a rimanere immortale. Questo perchè ad una trama eccezionale e molto pulp si lega profondamente la mano del regista, e questo connubio darà vita al profetico (anticipa molti temi affrontati nel 21° secolo e sul nichilismo profondo che pervade la popolazione di oggi) “Arancia Meccanica“. Ciò che colpisce infatti è l’estremo realismo della violenza, anche a forti tinte sessuali, contrapposto alla pop art, quasi grottesca, della scenografia. E’ nella sua stravaganza, mai superficiale e fuori luogo, che la pellicola si eleva a capolavoro: al lavoro artistico in pieno stile Mondrian e Lichtenstein, in cui è possibile ritrovare accenni di Hundertwasser e Duchamp, si lega meravigliosamente la musica classica, specie quella di “Ludovico van Beethoven, che a sua volta permette che il linguaggio Nadsat (lo slang inventato da Burgess che parla costantemente il protagonista) scivoli via attraverso una interpretazione meravigliosa di Malcolm McDowell, attore che non si è tirato indietro neanche davanti alle difficoltà (costole incrinate, terrore per i rettili e abrasione delle cornee), e che ha donato al mondo una delle icone del cinema più intense e profonde della storia. Ma non è finita qui, perchè il film non è solo e soltanto estetica ma è anche ricco di contenuti: il tema della violenza, che tanto ha scandalizzato la critica ed il pubblico, può essere argomento di profonde riflessioni dato che non si limita ad essere quella totalmente immorale e senza motivo dei Drughi, ma si espande a macchia d’olio sulla società, sulla medicina progressista, sulla polizia. Tutto questo permette allo spettatore di non assopirsi davanti ad un profondo degrado della società ma di risvegliarsi, anche attraverso lo schock che la pellicola crea, per poi scoprire che chiunque è Alex, carnefice ed allo stesso tempo vittima. E non bisogna appisolarsi nemmeno davanti al concetto di “donna-oggetto” che ancora oggi, nonostante sbandieramenti, più politici che  reali, parlino di orgoglio femminile, è tema importante e da non sottovalutare, specie se , come ha detto il comico statunitense Fetchner, “Un uomo sulla Luna non sarà mai interessante quanto una donna sotto il sole.“. “Arancia meccanica” rimarrà per sempre nella storia del cinema per  una sceneggiatura impeccabile, una fotografia eccezionale grazie all’uso magistrale del grandangolo, una recitazione che deve fare scuola, una regia virtuosa e mai invasiva. Ci vorrebbero tante parole ancora per parlare di “Arancia Meccanica”, ma francamente, dopo averlo visto, solo una cosa può accadere allo spettatore: rimanere senza parole. Arte allo stato puro.

Voto 10/10



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